Ho scritto diretto e prodotto un documentario su mio padre: "Giuliano Gemma: un italiano nel mondo" è il titolo. Racconto l'uomo e la carriera insieme a lui e tramite le testimonianze di grandi nomi italiani come Ennio Morricone, Bud Spencer, Lina Wertmüller, Dario Argento, Monica Bellucci, Nino Benvenuti e altri. Volevo rendergli omaggio da vivo. Perché i documentari sugli artisti vengono fatti sempre e solo quando non ci sono più. Quando muoiono. Una volta ho pubblicato su Instagram questa frase in cui credo molto che rappresenta anche un po' l'atteggiamento del nostro paese verso gli artisti: "Vuoi che tutti ti amino? Muori!". Quando muori infatti viene messa in atto una specie di santificazione del personaggio che era bello buono e bravo, sebbene in vita fosse preso in considerazione molto meno. Io non ho intenzione di cadere in questo ennesimo, ipocrita, tranello e ho voluto raccontare Giuliano Gemma oggi, non domani, ma farlo insieme a lui e facendogli raccontare le origini, la carriera che passa per tutti i generi del cinema, l'amore per lo sport, per il circo, per la ginnastica acrobatica, il rapporto con mia madre e anche quello con la seconda moglie, me e mia sorella. Tutto quello che fa parte della sua vita incredibile che lo vede nascere senza niente, con un padre disastroso e alcolizzato che perde tutto al gioco. All'età di 26 anni, dopo soli tre film western ("Una pistola per Ringo", "Il dollaro bucato" e "il ritorno di Ringo") è uno degli attori più famosi del mondo che porta ai produttori incassi da capogiro ed è diventato ricco. Inizialmente mio padre era contrario al fatto che proprio io, la figlia, andassi a parlare di lui: “Sembra che ci omaggiamo da soli", aveva detto. Aggiungendo, come sempre con quell'umiltà eccessiva che lo caratterizzava e che rischiava di diventare quasi un vanto: “Ma a chi interessa un documentario su di me?”. E io: “A tutti papà, cazzo! A tutti....sei famoso in tutto il mondo! Fammi iniziare a lavorare, a montare qualcosa, poi se non ti piace smetto di farlo”.
Insomma, ho dovuto lottare per mettere in atto qualcosa che nella mia mente in parte avevo già visto. Terminato il lavoro, durato quasi cinque mesi, mio padre si è innamorato del film e della mia dedizione verso di lui, ha iniziato ad atteggiarsi con i suoi amici sul fatto che sua figlia, Vera, avesse fatto un documentario bellissimo e molto dettagliato. Lo ha approvato e profondamente amato. Ha avuto grande rispetto per questo lavoro. Il documentario è stato un po' magico per noi, ci ha uniti, ci ha fatto passare pomeriggi assieme e mi ha dato modo di mostrargli la mia grinta e la mia determinazione di regista. Avevo le idee chiarissime, sapevo esattamente come volevo raccontarlo, sentivo il bisogno di dimostrargli amore ma anche il mio talento e la mia severità nel lavoro. Un giorno gli ho addirittura detto: “Tu sei un attore, fai l'attore! E lascia fare a me la regista!". Provava a controbattere, ma non era in discussione quello che volevo da lui, andava fatto e basta. "Sai che sei portata per fare la regista?" aveva risposto rispettosamente, eseguendo finalmente quello che gli avevo chiesto, ovvero dire la frase: “Io nasco povero", così, nuda e cruda e senza pudori. Ora il documentario verrà presentato a Los Angeles, dove vivo, al Festival del cinema italiano e mio padre dovrà venire qua. Sono emozionatissima nel pensare che affronteremo questa avventura insieme. Preparo la casa minuziosamente, mio padre non l'ha mai vista. Abito in un condominio bellissimo a 999 N Doheny Dr - West Hollywood. Il mercato immobiliare a Los Angeles è crollato per i mutui che gli americani non hanno pagato, inoltre il cambio euro-dollaro al momento è più che conveniente. Così ho convinto mia sorella Giuliana a vendere uno dei tre appartamenti che avevamo a Trastevere per potermi comprare una casa qui e mettermi un po' di soldi sul conto. La prova "ce la faccio a sopravvivere da sola senza piangere", d'altronde, è già stata superata e anche la punizione di mio padre: “Da me non vedrai più una Lira", dopo essermi praticamente mangiata una eredita nell’arco di dieci anni (in che modo sarebbe un altro racconto che magari troverete più avanti su MOW). D’altronde non potevo continuare a fare la spogliarellista per mantenermi da sola. È un lavoro che ho amato e che tuttora amo (e ho raccontato qui) ma a cui ad un certo punto si deve avere il coraggio di dire basta. I film che faccio sulla mia vita devono avere la parola fine. Come tutti i film. The end. Voglio fare una sorpresa a mio padre e organizzargli un pranzo con Jon Voight, hanno girato insieme una fiction sul Papa dove Voight interpretava Giovanni Paolo II e mio padre il suo segretario Joaquín Navarro-Valls. Ho il numero di telefono di Voight (me lo ha dato mio padre). Io e lui ci conosciamo. Siamo stati a cena insieme, ma non credo mi abbia capita. Mi ha guardata tutta la sera con aria di giudizio, un po' diffidente. Nemmeno lui era quello di "Un uomo da marciapiede”, mitico film dove interpretava un cowboy metropolitano che si prostituisce per soldi e ha come amico Dustin Hoffman malato. Una volta capitò che ero single e Jon voleva quasi costringermi a trovare un fidanzato sul sito “Harmony" che lui ritiene essere fatto benissimo e studiato per unire psicologia e affinità simili. Ma vacci tu, avevo pensato... Io non mi sognerei mai di andarmi a cercare l'anima gemella su un sito a pagamento fatto dagli americani. Io esco e mi trovo chi mi pare quando mi pare facendo audizioni dal vivo, se proprio sono in cerca e non resisto. Capisco sua figlia Angelina Jolie che ha avuto delle difficoltà con lui. È un uomo talentuoso, non solo nel cinema, anche nel farti sentire vagamente inferiore. Un po' come se lui sapesse tutto e tu no. Comunque con mio padre ha trovato un'intesa e sembra essere felice di incontrarlo e pranzare con lui. Così gli comunico data e nome dell'hotel in modo da raggiungerlo il giorno dopo il suo arrivo per pranzare.
Mi organizzo con Lola, la mia assistente sottopagata e confusa, autista all’occorrenza, babysitter di Maximus (mio figlio) e amica, sopratutto. Dobbiamo andare a prendere mio padre in aeroporto. Io non guido. Mai guidato in vita mia, mai presa la patente. Ho sempre pensato che se avessi guidato sarei morta. Anche quando guidavo il motorino avevo queste continue visioni di potenziali incidenti o del mio corpo sanguinante a terra. Guidare non tira fuori la parte più positiva di me, mi spaventa da sempre. Sì, a me che sono entrata in gabbia con i leoni (vedi tutti i miei articoli di MOW e capisci) fa paura guidare, e allora? Posso aver paura di qualcosa anch'io? Certo che posso, cazzo! Non sono una che fa una piroetta con la musichetta e si trasforma in Wonder Woman, sono un essere umano, non come tutti, ma con le mie paure. Lola è di origini parigine trapiantata a Los Angeles dall'età di 12 anni, ora ne ha 35 e con lei parlo a volte in inglese a volte in francese. Ha i capelli cortissimi da maschio, ma nonostante questo è molto bella e femminile. Sempre bisognosa di soldi, ha un marito alcolizzato, due figlie, e i suoi genitori a carico. Tutti nella stessa casa. E io la aiuto come posso, dandole 10 dollari l'ora per stare con me, non è tanto ma neanche poco considerato che ci sta per giorni, a volte. Il volo è atterrato. Alla vista di mio padre scorgo in Lola un sussulto di emozione e una certa esibizione civettuola nel comunicare, ma ci sono abituata. Ancora oggi a sessant'anni inoltrati papà provoca una certa emozione nelle donne, d’altronde che Giuliano Gemma sia stato e sia ancora oggettivamente bello non è certo una scoperta che faccio io, né una rivelazione o una infatuazione di figlia. È bello. Punto. Come il sole al tramonto, come la luna che si nasconde nel cielo piano piano, come la strofa "una morte dolce, come una mosca che affoga nel miele" della canzone "Brivido" di Gué, come l'infinito, come il sesso, la droga, il rock and roll, i viaggi, le scoperte, il miracolo della nascita, Il sabato del villaggio di Giacomo Leopardi, come la Cappella Sistina, il coraggio, come "Senza fine" di Gino Paoli. Bello quanto una puttana profumata venuta al mondo con la missione di sedurre. Bello come la vita. Bello, cazzo! In macchina parla quasi tutto il tempo con Lola, anche lui in francese, poi in inglese le chiede varie cose sulla sua vita. Le parla dei suoi viaggi e io sto lì che non vedo l' ora di arrivare a casa. Perché ho il vizio di trattenere la pipì, di non farla quasi mai nei bagni pubblici, e di considerare proprio l'atto del fare la pipì in sé una perdita di tempo. Quindi arriva sempre quel momento in cui non ne posso più. Arrivati a casa corro al bagno. Lola se ne va con la promessa di tornare, mio padre si guarda intorno. Esco dal bagno e lo trovo stupito.
"Ammazza come ti sei sistemata bene! Che bella casa" esclama. Effettivamente qui ho fatto tutto da sola. Parlando con la gente per strada e Los Angeles, magicamente, mi ha sempre risposto. Se avevo bisogno di qualcosa lo chiedevo. Per esempio ho chiesto alla cassiera del "Coffee Beans" - dove andavo ogni mattina a fare colazione - se conosceva qualcuno che avesse bisogno di un lavoro come babysitter e lei magicamente mi ha risposto: “Sì, conosco qualcuno". Il giorno dopo si è presentata a casa mia “mamma Rosa", una signora messicana perfetta, di quelle che ti danno fiducia, la mami di 'Via col vento", la madre di tutte le madri, "l'esperta" che si è presa cura di mio figlio ogni volta in cui ero stanca o non ne potevo più. Ogni volta in cui non mi sentivo adeguata come madre, oppure mi sentivo sola, lei mi ha rasserenato e detto: “Ci penso io". E lo ha fatto magistralmente, come una di famiglia. Ho trovato per la strada anche il perfetto agente immobiliare che mi ha fatto comprare la casa parlando con "la mafia gay". West Hollywood è un quartiere di cui i gay si sono impossessati, pieno di locali e negozi esclusivi a loro dedicati, ma è anche un quartiere per le donne che abitano da sole (proprio perché essendo pieno di gay nessuno ti rompe le palle) e per tutte le categorie di persone che amano i posti esclusivi. Principalmente è l'unico distretto di Los Angeles dove si può passeggiare, qui non serve la macchina perché hai tutto a portata di mano: supermercati, bar, farmacie, negozi, palestre, ristoranti. Qui c'è tutto. Ed è per me il posto ideale dove vivere. Credo che la strada ti dia sempre le giuste risposte, se esci positiva e determinata e inizi a parlare con le persone, a fare domande precise, alla fine trovi quasi sempre quello che cerchi. Almeno così è stato per me, che a Los Angeles mi sono sempre tuffata nella vita senza timori e sapendo di volta in volta quello che volevo. E se Vera Gemma vuole una cosa, sa quasi sempre come prendersela. Se non la ottiene significa che non era destino, ma quasi sempre conosco il mio destino, il corpo e il cervello mi avvisano su cosa è giusto per me e il mio fortissimo lato animale mi fa annusare dove devo andare a rivolgermi, captare le facce con cui è giusto interagire e intuire le situazioni più costruttive per me. So anche attaccare se mi tocca difendermi, perché per le strade di Los Angeles non si cammina come Alice nel paese delle meraviglie, si resta sempre concentrati. La strada è mia amica perché la strada è verità , vita, sensazione. La strada è per chi non ha paura di mettersi in gioco. La strada è per chi la conosce e anche per chi a volte non sa dove andare. Mio padre non è al corrente di questa mia parte intraprendente, senza paura, si stupisce di come io abbia fatto tutto da sola. I genitori non possono sapere tutto di noi, se mio padre sapesse chi sono veramente in tutte le mie sfaccettature, probabilmente si preoccuperebbe molto, ed è meglio di no. Non voglio che nessuno si preoccupi mai per me Non ci sono abituata. "Hai fame?" gli chiedo. “Vuoi che ti cucini una carbonara?". E lui risponde subito: "No no". Non è abituato a me che cucino per lui, si è sempre preso cura di me e mia sorella. Ho ricordi di piatti cucinati per noi, ma mai il contrario. Mio padre è strano, non vuole che nessuno della famiglia faccia le cose per lui. Per esempio detesta i regali. Non puoi fargli un regalo. Fa parte dei suoi traumi infantili. Quando era piccolo avrebbe tanto desiderato un regalo per Natale, ma era molto povero e suo padre Domenico aveva tanti vizi tra cui, appunto, il gioco. Più volte si era mangiato quel poco che aveva alle carte, privando lui e mia nonna Agher, di cui ho vaghissimi ricordi perché morì piuttosto presto di tumore, dello stretto necessario. Un giorno mi ha detto: “Non farmi regali, quando li volevo non me li faceva nessuno e adesso che posso me li faccio da solo". Ma dopo pochi secondi che stiamo chiacchierando mi guarda con amore e aggiunge: “Vabbè, dai, assaggiamo questa carbonara!". La prendo come una meravigliosa accettazione. Accetto di essere un padre di cui ti prendi cura, accetto di non essere sempre io a portare a casa la pagnotta, accetto che sei diventata grande e indipendente. Accetto di essere amato da te. Ovviamente la carbonara è buonissima, mi sono impegnata molto. Mia madre Natalia, quando ero un adolescente, mi disse, constatando che mi rifiutavo di imparare a cucinare: “Ti piacciono tanto gli uomini, Vera? Sappi che si prendono anche per la gola". Una volta capito che la cucina rappresentava un potere in più nell’irrinunciabile atto della conquista imparai in pochissimo tempo a cucinare. Aveva ragione, ancora oggi se sento una donna dire “io non so cucinare niente'" penso che stia rinunciando a un potere. Mi perdonino le femministe più banali, quelle convinte che essere libere significhi non fare i lavori di casa e non mettere a bollire l'acqua per la pasta. La libertà è una condizione interiore, non una ribellione alla cucina o al gratificare un uomo. La libertà è concedersi di essere donne come cazzo ci pare. Poter passare come se niente fosse dalla carbonara alla rivoluzione. La libertà è coraggio, al di là dei ruoli, degli schemi, delle etichette, dei generi e delle opinioni personali. Mio padre fa il bis e si finisce quasi mezzo chilo di pasta. Gli mostro il condominio dove vivo che ha una piscina e una palestra private e lui, sempre più ammirato per il luogo affascinante, improvvisamente cambia sguardo, sembra accusare una improvvisa insofferenza e mi chiede: “Che si fa stasera?". Gli ricordo che il giorno dopo ha un pranzo a sorpresa nel suo hotel (con Jon Voight) e lui ribadisce: “Sì, va bene domani alle 14, ma stasera dove andiamo?". E si strofina le mani. È necessario fare una premessa per capire il mio stupore.
Mio padre è l'uomo meno mondano che conosca. Non che sia un rincoglionito fissato con il divano, né posso dire che non sia un uomo di mondo. Ricordo di aver passato con lui serate meravigliose ad Almeria nei locali dove si può ammirare il flamenco fino alle due del mattino. Ricordo di essere stata con lui al Lido e al Crazy Horse di Parigi e in mille altri posti. Ma comunque sono passati anni e non mi aspettavo questo "che si fa stasera" con lo sguardo curioso, famelico e bisognoso di avventure di un diciottenne. "Chiamo due amiche italiane che vivono qui e ce ne andiamo un po in giro" rispondo. Questi giorni in cui è qui non mi coglierà impreparata su nulla. Le mie amiche Lorenza e Michela sono sempre pronte. Lorenza è una dj di Firenze, mora e aitante con dei bellissimi occhi verdi, vive a Los Angeles da una vita ed è assolutamente autoironica come lo sono i toscani. Sempre allegra e sorridente, mai superficiale. Mentre Michela mio padre la conosce, per anni ha vissuto a Roma, studiavano danza insieme e dovrebbe ricordarsela. Anche lei è molto bella, tormentata e insofferente di carattere, ma di certo non esternerà i suoi tormenti esistenziali stasera con mio padre. Tutte e due, infatti, sono felicissime di poter condividere una serata con lui. L'appuntamento e alle 20 a casa mia e papà, dopo essere tornato in hotel a prepararsi, arriva puntualissimo (è fissato con la puntualità e di conseguenza lo sono anch'io: “Non sei mai nessuno per farti aspettare" ha sempre ripetuto). Le mie due amiche sono qui e le ho avvisate: “Fatelo sentire importante". Non sembrano fare nessuna fatica. Lorenza inizia a dire quale onore sia per lei conoscerlo e Michela gli racconta un aneddoto vissuto in adolescenza confessandogli che era segretamente innamorata di lui. Inoltre gli parla di uno scoiattolo che nutre ogni mattina e che, puntuale, la va a trovare. Los Angeles è piena di scoiattoli, si vedono ovunque. Mio padre ama gli animali e sembra essere molto intenerito dal racconto. Entriamo al ristorante brasiliano "Fogo de Chão" e il mondo sembra voltarsi verso di noi. Lui è Giuliano Gemma “il divo”. Il protagonista, quello che quando entra in una stanza tutti si voltano a guardare, ha una luce intorno che va al di là della notorietà. E' uno dei pochi uomini nati belli, con una faccia scolpita dal creatore appositamente per il cinema. Un predestinato. Un predestinato che piace alle donne, da tutta la vita. Mi rendo conto che in ogni singolo uomo che ho avuto ho cercato qualcosa che appartenesse a mio padre, anche una sola caratteristica che mi riportasse a lui era un valido motivo di innamoramento. Purtroppo quasi nessun uomo ne possedeva più di una, ma pur di vivere il meraviglioso sogno dell'amore sono stata indulgente nell’accontentarmi ma non ho trovato mai “Lui", né ho mai smesso di cercare “Lui” negli uomini. Sbagliato? Sicuramente. Ma non intendo vivere facendo solo cose "giuste", concetto per altro estremamente relativo. Ho dimenticato che Michela, come molti a Los Angeles, è vegana e inorridisce a ogni portata di carne come se ci venissero serviti dei veri e propri cadaveri umani direttamente usciti da un film del mitico Dario Argento. Ma comunque la scelta del ristorante si rivela vincente. Mio padre, dopo aver girato letteralmente il mondo, improvvisamente sembra un bambino entusiasta del fatto che ti servono la carne con dei coltelli affilati e te la devi tagliare da solo: "Che bella questa cosa che la devi tagliare tu! Non ero mai stato in un ristorante cosi". Quello che noto da sempre in lui - e in qualunque grande artista abbia conosciuto - è la capacità di stupirsi sempre. Lo stupore è la prima caratteristica dei bambini che con il passare dei giorni scoprono le cose per la prima volta. Stupore che con il proseguire degli anni e della vita non si dovrebbe perdere mai. Io ancora lo provo, anche nelle cosiddette “piccole cose”. Guardo mio padre e gli confesso, dopo due bicchieri di vino rosso: “Sai papà, io non riesco a liberarmi di questa bambina che ogni tanto si impossessa di me". Lui sta in silenzio qualche secondo e poi risponde: “Non te ne liberare mai perché è la parte più bella di te". E questa frase mi resterà dentro per sempre. Finita la cena "il bambino" bramoso di nuove emozioni non sembra affatto intenzionato ad andare a dormire e chiede: “Dove si va ora?”. E Lorenza risponde: “Giuliano, io stasera faccio la dj al Beverly Hills Hotel, è un bell’ambiente, spesso arrivano anche grandi star. Se volete venire per me sarebbe un onore". E mio padre, senza consultarsi con nessuno, risponde: “Certo che veniamo!" . Fermatelo penso, è impazzito!
Vuole fare vita mondana. Sono talmente stupita e divertita che a questo punto mi viene da pensare: “Vuoi la guerra papà? Ok, stanotte torni in hotel come minimo alle 3 del mattino". Arriviamo al bar del Beverly Hills Hotel, con le sue luci soffuse e quell' aria un po' finto-retrò che caratterizza questo albergo storico a cinque stelle, dove ti sembra di vedere Jessica Lange buttata su un lettino in piscina e circondata da giornali che parlano di lei con l'Oscar appoggiato su un tavolino come fosse un fermacarte. Al di là delle mie fantasie e del mio immaginario, seduto in un tavolo di fronte a noi, c’è davvero Silvester Stallone. Ed è una realtà, un dato di fatto che notiamo tutti. Mio padre, senza esitare, si stacca da noi e si dirige verso Silvester, lo saluta e i due si abbracciano ridendo e dandosi pacche sulle spalle. Stallone dice di avere molto apprezzato i suoi film sulla mafia e in particolare “Il prefetto di ferro" di cui aveva addirittura pensato di realizzare un remake. Noi italiani siamo il popolo più esterofilo del mondo, invece gli americani dichiarano senza pudore il loro amore spassionato per il nostro cinema di genere che li ha sempre ispirati. Vedere Rocky e Ringo discutere insieme è davvero un viaggio che non mi aspettavo, ma se non ti crei aspettative a Los Angeles e nella vita può succederti di tutto. Ci avviciniamo e veniamo presentate a Rocky (per me Stallone è Rocky, punto): "Mia figlia ha fatto un documentario bellissimo su di me" dice. E Rocky Balboa risponde: "This is so cool! Mi piacerebbe che uno dei miei figli lo facesse su di me". E io, fin troppo intraprendente, gli dico se vuole posso farglielo io (già mi vedo passare giorni con lui che mi racconta la sua infanzia difficile) e Rocky gentile esclama: “Why not?”. D'altronde non può certo rispondere “e chi cazzo sei tu per parlare di me?”. Anche perché ho un vestito rosso piuttosto sexy che non glielo farebbe mai dire grazie al potere indiscutibile dell’essere donna. Guarda me e Michela con quella galanteria e ammirazione di chi è capace di valorizzare gli altri e ci sorride e ancora una volta in questa vita dove tutto è possibile, persino che Rocky ti faccia il baciamano. Torniamo al nostro posto nonostante lui, gentilmente, ci chieda di unirci al suo tavolo. È con un amico che nel frattempo non ha detto una parola, ma se non altro ha sorriso sempre. “Parlate pure delle vostre cose. Non vogliamo disturbare ulteriormente”, rispondiamo. Altra regola in cui crede la famiglia Gemma: mai essere invadenti. Mia madre lo chiamava "il potere dell’arrivederci". “The power of goodbye” (veniva citato anche in inglese). Significa uscire di scena sempre” quando la gente pensa "peccato che se ne è andato" e mai quando “era ora che se ne andasse”.E questa regola deve essere messa in atto nel presenziare in un luogo e andarsene prima di tutti. Nel lavoro, imparando a dire no e ad abbandonare facili traguardi al momento giusto. E anche in amore, dove mia madre sostiene che per essere eterna te ne devi andare sempre (“lasciando una scia di profumo” aggiungeva). Questo ovviamente mi ha fatto lasciare prima o poi tutti gli uomini con cui sono stata, compresi due mariti, e mi ha dato una visione inconscia della famiglia del Mulino Bianco a cui molte donne ambiscono come di un “Mulino Bianco degli orrori” dove non esiste più amore e regna una noia e una insofferenza insostenibili che lentamente si trasformano in sopportazione - pacata e sottile - che si tramuta presto in odio, tradimento e successivo abbandono. Ogni tanto gli abitanti del “Mulino Bianco degli orrori” si incontrano da Ikea mentre scelgono mobili, hanno l'aria infelice e puntualmente lui guarda me fisso come a dire: “Che ti farei". E lei se lo tiene stretto sottobraccio guardandomi come una nemica che vuole prendersi suo marito (la maggior parte delle volte calvo e sovrappeso). mentre invece io vorrei tanto dirle: “Amore, ti vorrei far vedere tutti i boni che mi sono fatta e continuo a farmi io nella vita e capiresti che non sono un pericolo per il tuo matrimonio. Ma forse il fatto che dovresti essere più zoccola con lui". Ma taccio, ovviamente, sempre perché gli abitanti del “Mulino Bianco degli orrori” possono essere molto cattivi. Apparentemente innocui, ostentano una normalità che non vorrebbero gli appartenesse mai e possono trasformarsi in mostri o hater che agiscono in incognito su Instagram con offese e insulti così degradanti da farti meditare un'altra vita (quella dopo la morte) dove finalmente esisterà una giustizia per chi non merita di essere insultato e offeso, per chi la famiglia del “Mulino Bianco” non c'è l'ha mai avuta e nemmeno si è mai potuto permettere di sognarla. O semplicemente per chi non si è mai omologato a nessun ideale comune ed è nato semplicemente "diverso". Ma torniamo a noi.
Mio padre sta ballando. Davanti a lui sculetta felice Michela insieme ad altre due signore che si sono unite al duetto. Si muove piuttosto bene, anche perché in casa mia tutti - compreso lui - studiavano tutto. Basti pensare che mio padre, io e mia sorella Giuliana abbiano fatto una vita di lezioni allo Ials di Roma. Persino di tip tap, danza studiata per quasi dieci anni. Lo Ials, per chi non lo sapesse, è una eccellente scuola della Capitale per professionisti dello spettacolo e non, dove puoi studiare qualunque tipo di danza e con qualunque intendo dal flamenco all’hip hop, dalla classica alla moderna e contemporanea, dall’afro al jazz. Davvero tutte e con ottimi insegnanti. E noi siamo praticamente cresciute là dentro. Mio padre dopo essersi dato alle danze finisce il suo unico bicchiere di champagne e decide di andare in giro per le strade della città. La macchina è guidata da Michela, siamo illuminati dalle luci di Hollywood e ci stiamo avvicinando al Body Shop su Sunset Boulevard, il famoso locale di striptease dove ho lavorato per un lungo periodo. Vorrei tanto portarci mio padre, sarebbe accolto dalle mie colleghe come un Dio. Tutte conoscono la mia storia e hanno più volte visto le sue foto su internet. Così oso la domanda: “Papà, sei mai stato in uno striap club?". “Sì - mi risponde - Tokio c’è un quartiere tutto dedicato al sesso che si chiama Kavasaki, come la moto, e mi ci hanno portato quando la Suzuki produsse la moto Gemma 50 e Gemma 125". E non ti andrebbe di tornarci? Provo a incalzarlo. Lui mi guarda sospettoso fisso negli occhi con un silenzio che ricorderò per sempre e mi risponde: “Sai che c’è Vera? Io ho voglia di un milk shake di quelli veri americani, un milk shake alla fragola! Magari allo stripclub mi ci porti un' altra volta, eh?". Io so che lui sa. In quel momento capisco che sospetta seriamente, vista la mia dimestichezza con certi luoghi dove è evidente che sono già stata, che io abbia lavorato lì. E non ha voglia, sebbene siamo una famiglia assente da qualunque moralismo, di immaginarsi sua figlia fare la lap dance o una danza privata a pagamento. E lo capisco perfettamente, magari ho esagerato a proporgli di andare lì ma volevo solo farlo felice. Finiamo la serata alle due del mattino da Mel's Drive, tipico locale americano aperto ventiquattro ore, e ci abbuffiamo di milk shake alla fragola con panna montata e patatine fritte affondate nella maionese. Il giorno dopo mio padre ha l'appuntamento a sorpresa con Jon Voight organizzato da me. Siamo d'accordo che, finito il pranzo, verrà a casa mia a fare un resoconto. Nel frattempo sono a casa in piscina con Lola e ho deciso di farle il lavaggio del cervello per convincerla a passare una serata romantica con mio padre, il quale ha dichiarato più volte di essere molto attratto da lei. "Allora Lola, premetto che mio padre è un signore e mai e poi mai si permetterebbe di mancarti di rispetto o forzare in qualunque modo una situazione" le dico. E lei: “Ma perché mi dici così?". “Perché tu gli piaci e..." non faccio in tempo a finire la frase che scatta in piedi tutta emozionata: "Io? Davvero? Gli piaccio? Oh my God, anche lui piace a me, ma a chi non piace tuo padre??!". Così aggiungo: “Quindi tu, per esempio, andresti a cena dopodomani sera in hotel da lui?”. E lei: “Sì, ci vado, ma tu mi devi coprire con mio marito. Non ti chiamerà, è quasi impossibile, ma se ti chiama io sono da qualche parte con tuo figlio. Ok?”. Nel frattempo spengo il telefono. Non posso crederci, tutto fila a meraviglia in questo soggiorno a Los Angeles. Gli ho rimediato pure una cena romantica. Nel frattempo Lola deve andare a casa dalla famiglia e poco dopo torna mio padre tutto felice e mi dice che il pranzo con Jon Voight è stato meraviglioso con un orgoglio che sembra dimenticare totalmente che l'ho organizzato io a sorpresa. E con atteggiamento spavaldo non sembra riconoscermi i miei meriti. Ma va bene, non importa, non voglio nessun merito, solo amore. Ma improvvisamente diventa serio e dice: “Però ho fatto una figura di merda". Perché? “A un certo punto....gli stavo spiegando che tu hai fatto questo documentario bellissimo su di me ...ero orgoglioso… continuavo a dire mia figlia qua mia figlia la.....E lui ha provato a dire “anche mia figlia…" e ho ribattuto “anche tua figlia si occupa di spettacolo?” e lui mi ha guardato cupo per un attimo, poi ha sorriso paziente e ha detto: “Sì Giuliano mia figlia è Angelina Jolie!". "Oddio è vero! - ho esclamato - sono scioccata, non lo sai che Jon Voight è il padre di Angelina Jolie?". Casca dalle nuvole: “Lo sapevo ma non ci pensavo, non lo so, mi era sfuggito, non me lo ricordavo, ero così preso a parlare di te del documentario…". Scoppio a ridere non resisto all'idea dell'immagine di Voight che pensa “mia figlia sarebbe Angelina Jolie, se non ti dispiace… ho capito che la tua è tanto brava e ha fatto un documentario su di te, ma pure la mia caro Giuliano sarebbe la più grande star di Hollywood del momento”. Continuo a ridere: “Papà stò morendo, non ho parole". Ride pure lui, così puro, ingenuo, se ne frega delle parentele dei nomi delle star e ribadisce: “Che ti devo dire, non ci avevo pensato… poi mi ha detto ‘ti adoro Giuliano’. E te credo, non gli sarà mai capitato in vita sua che non si ricordino chi è la figli, casomai il contrario visto che ormai è più famosa di lui!". E continuiamo a ridere come due cretini non riuscendo più a fermarci. Questa storia mi sembra tra le più divertenti mai ascoltate. Ma domani dobbiamo andare a presentare il documentario su di lui al Festival del cinema italiano. Ho fatto invitare Quentin Tarantino, spero tanto che venga per conoscerlo ma per il momento non ci sono conferme. Ci salutiamo e ci diamo appuntamento per il giorno dopo alle 17 in punto. Ancora non dico nulla di Lola, perché quella è la sorpresa finale. Mio padre arriva super elegante per il gran giorno, con un completo classico blu scuro. L'eleganza in lui è sempre stata innata. Pur avendo origini molto semplici sembra un principe, nel gusto e nei modi, oltre che in quell'amore che possiede per la discrezione senza ostentazione né eccessi (non posso dire lo stesso di me rispetto agli eccessi e all ostentazione, ma sicuramente posseggo anch’io un senso dell’eleganza molto radicato che però mi piace stravolgere per scelta e non certo per mancanza di gusto, come penserebbe il mio nemico Vanity Fair). Il Festival si svolge al mitico Chinese Theatre di Hollywood Boulevard ed è lì che faranno vedere il mio documentario. L'ideatore del Festival è Pascal Vicedomini, che è riuscito negli anni ad avere ospiti illustri e grandissime star. Non so come faccia a convincerli, ma sicuramente possiede il grande merito di trasformare i suoi sogni in realtà e di avere una visione molto ambiziosa del cinema e in generale della vita. In ascensore, infatti, mentre raggiungiamo il piano dell'accoglienza, insieme a me e a mio padre c’è Al Pacino. Ci saluta, lo salutiamo, così come ci si saluta per educazione tra estranei in ascensore e io resto paralizzata e incredula come una a cui è stato fatto in due secondi un elettroshock. Sono in ascensore con Tony Montana di Scarface! E adesso che facciamo Tony? Facciamo la guerra? Vuoi fare la guerra con me? No Tony, io vorrei tanto fare l' amore con te. Tony Montana è il mio uomo ideale, quanto di meglio può esserci su questa terra, un esempio assoluto di perfezione e sensualità, un uomo da sposare. Per Tony Montana potrei diventare una donna fedele, anche se lo dovrei essere per forza in ogni caso. Voglio Al Pacino di Scarface come marito, oppure niente. Voglio sposarmi in abito bianco con una pistola in mano. Voglio i suoi occhi che mi guardano scuri e disperati. In questo ascensore di Hollywood so finalmente quello che voglio dalla vita.
Lo scopo per cui sono nata e ho vissuto, non mi accontenterò più di delinquentelli. Voglio Tony Montana o niente, polvere da sparo di serie A. Immense vasche da bagno scavate nel marmo, piscine dappertutto e un trono con le sue iniziali da osservare per ore aspettando che torni a casa. Voglio tapparmi le orecchie mentre mi limo le unghie per non sentire il rumore degli spari, avere sempre pronto un avvocato da chiamare in caso di problemi, fare uccidere un uomo che mi ha sorriso in modo offensivo. Vivere, respirare ed esistere per un grandissimo figlio di puttana. Ma resto muta, non dico una parola, non chiedo una foto, non esisto più, esistono i film, la fantasia, l'evasione da ciò che è troppo bello per essere vero. Ed esiste mio padre, l'unica realtà a cui dedico me stessa mettendo da parte i miei pensieri deliranti e meravigliosi che mi fanno da sempre confondere la vita con il cinema. Arriviamo al Festival. Omaggi per Al Pacino, che in pochi secondi sparisce dalla mia vista come non fosse mai esistito, eppure giuro che era lì in ascensore e se lo chiede anche mio padre: “Ma Al Pacino che fine ha fatto?". Siamo tutti pronti per vedere il documentario: entriamo in sala, saluti, presentazione del mio lavoro, ringraziamo il pubblico per essere lì, proiezione, the end … tantissimi applausi. Vado veloce, perché uscendo dalla sala ancora non mi sono ripresa da Al Pacino che vedo anche lui, "The Man", con una corte di persone al seguito a correre verso di noi e dire: “Hi baby, non ce l'ho fatta ad arrivare prima”. Parte la musica (nella mia testa) di Pulp Fiction. Ladies and gentleman, l'ha fatto! È venuto a conoscere mio padre. Questa sera solo per voi.....Rullo di tamburi: Quentin Tarantino. Mi commuovo nel vederlo. Non ci posso credere. Saluta mio padre come un fan che non vedeva l'ora di conoscere il suo idolo. Si abbracciano, fanno foto insieme e io penso che dopo quello che sono riuscita a fare per mio padre in questi giorni potrei anche morire felice. L'Italia lo ignora da diversi anni e per vari motivi molto poco nobili che non starò a spiegare nel dettaglio. Ma primo fra tutti la sua incapacità di intrallazzare, di crearsi situazioni e relazioni. È stata mia madre q farlo tutta la vita per lui, perché è capace solo di fare film, ha passato più tempo sul set che nella vita vera: “Mi dispiace non essere più una slot machine" mi aveva detto in Italia prima che mi trasferissi in America. “Che vuoi dire, papà?”. “Mi dispiace non tirare fuori più montagne di soldi come facevo prima per voi, purtroppo il tuo papà non lo vuole più nessuno”. E io: “Smettila, mi hai fatto vivere come una principessa e non mi frega niente dei soldi che hai o non hai. Io voglio solo che tu sia felice e soddisfatto, i soldi me li guadagno da sola!". In questa settimana a Los Angeles è tornato a essere il grande Giuliano Gemma, amato e omaggiato da tutti. Missione compiuta. Sono persino arrivata a dire al direttore del Festival (piuttosto turbato) di trattare mio padre da star: dategli una suite, fatelo sentire importante e ve la dò quando vi pare. Ho riso, scherzavo. Ma neanche tanto. Farei qualsiasi cosa per lui. Veder parlare Quentin e mio padre dei loro film, osservarli ridere e abbracciarsi è molto di più di quello che mi sarei mai aspettata. In momenti così ringrazio Dio e sono pronta a tutto quello che verrà. Dopo la serata al Chinese Theatre a bere e chiacchierare con Quentin Tarantino io e mio padre siamo stravolti e ci facciamo chiamare l'autista, pronti a tornarcene ognuno nelle proprie stanze, lui in hotel e io a casa. Troppe emozioni, c’è il crollo dell'adrenalina, il bisogno di incamerare tutto e diventare delle persone ancora più forti e la forza per me è non smettere mai di sognare. “Se non hai più niente da sognare, che vivi a fare?" mi dice mio padre in macchina ribadendo questo concetto. "A proposito papà, domani sera viene a cena in hotel da te Lola, le ho chiesto se le andava di cenare con te ed era tutta felice". Mio padre mi guarda e ride: “Ma davvero mi hai organizzato la cena con Lola?". E io: “Sì, papà, ma a un patto: non voglio sapere nulla di quello che succederà, evitami i tuoi racconti dettagliati come quando mi hai raccontato tutte le attrici tue partner nei film con cui hai scopato. Non sono il tuo amico della carrozzeria di Testaccio, sono tua figlia”. E lui un po' deluso: “Va bene, non ti racconto niente, promesso". Siamo arrivati davanti al suo hotel. “Buonanotte papà”. “Buonanotte bambina” risponde.
E come promesso non ho mai saputo né da lui né da lei quello che è successo la famosa sera, e non vorrò saperlo mai perché la mia libertà e apertura mentale arrivano fino ad un certo punto quando si tratta dei miei genitori. Sebbene entrambi questo non l'abbiano mai capito senza risparmiare quasi mai né me né a mia sorella racconti "dettagliati" piuttosto scioccanti sul sesso, tanto che da piccole ci tappavamo le orecchie pur di non doverli ascoltare. Quello che posso dire per certo è che la mattina dopo, accompagnando mio padre in areoporto per tornare in Italia, sembra essere rinato e mi dice: "Sai che quasi quasi me ne vengo a stare un periodo da te a Los Angeles? Magari troviamo un agente e posso fare qualcosa qui". Gli rispondo subito: “Certo papà, puoi fare la guest star in una serie o in un film, qui di lavoro ce n’è tantissimo e l'agente te lo trovo io. Ci diamo da fare e troviamo tutto, basta non smettere mai di lottare e restare positivi. Ricordati sempre chi sei e quello che hai fatto nella vita e ricordati che noi non smettiamo di sognare mai”. Mi guarda con gli occhi lucidi pieni di lacrime che non riesce a trattenere. Non ho mai visto in vita mio padre commuoversi. Solo nei film, mai nella vita. E dice: “Grazie di tutto". Ci abbracciano e si allontana senza voltarsi. Passa un mese e mezzo circa. Squilla il telefono. È mattino. Rispondo nervosa, perché ho passato una notte da incubo, mi è venuta un'allergia, una dermatite terribile alle mani e il prurito è talmente forte da impedirmi di dormire. Una voce estranea: “Signora Gemma, suo padre ha avuto un grave incidente stradale. Purtroppo non c’è più. Sarebbe il caso che tornasse a Roma, suo padre non ce l’ha fatta. È deceduto in ambulanza". Le mie mani deturpate dall'allergia mi avevano avvisata che qualcosa non sarebbe andato nel verso giusto. Quello che segue questa telefonata è un misto di shock, lucidità nel fare il biglietto, e disperazione. Ho immagini confuse, ma ricordo di aver lasciato un messaggio in segreteria a Quentin singhiozzando per ringraziarlo di aver dato a mio padre una delle sue ultime gioie. Dopodiché una serie di immagini tristissime e confuse di gente che si precipita a casa. E momenti che non ho voglia di descrivere, ricordare o raccontare. Più importante è che quel "grazie di tutto” con gli occhi lucidi in fondo era un addio. Ma io ancora non lo sapevo. Vi prego di non compatirmi per questo finale. La vita, anche se crudele, spesso ha un disegno giusto nella sua terribile ingiustizia. Mio padre non avrebbe voluto invecchiare mai ed è morto come ha vissuto, in modo cinematografico, facendo un’uscita grandiosa e ancora una volta stupendo tutti con la sua scena finale d'azione. E anche se mentre lo scrivo sto piangendo tantissimo, la nostra ultima settimana insieme è stata grandiosa e ci siamo detti tutto quello che dovevamo. Lui continua a vivere attraverso i suoi film e attraverso il mio amore. Perché l'amore è molto più forte della morte. Noi Gemma non ci piangiamo addosso, piuttosto diventiamo più forti e sappiamo leggere i messaggi della vita. Di messaggi mio padre me ne manda in continuazione, chi non c’è più fisicamente, se vuole, trova un modo per comunicare. E nel dolore che ancora dopo dieci anni ogni tanto sento, all’improvviso mi ricordo della vita meravigliosa con lui fatta di viaggi incredibili, esperienze uniche e fortissime emozioni. Grazie a mio padre Giuliano Gemma io so esattamente cos’è “il grande amore”. C'è gente che muore senza conoscerlo mai. Noi no, noi ci siamo amati follemente e continuiamo ad amarci. Un giorno saremo per sempre insieme a ridere delle sue figuracce. E state tranquilli per me io, sono più forte che mai. D’altronde credo che a chi molto è dato, molto sarà chiesto. In un mondo furbo dove tutto spesso procede secondo leggi ingiuste, io sono sempre qui che trovo la giustizia, con una stella da sceriffo appuntata e un’immaginaria Colt sempre in mano. Cammino ancora per le strade di Los Angeles e del mondo. Avanti e indietro sotto il sole cocente del West. Avanti e indietro. Avanti e indietro. Cammino senza mai smettere di sognare. Cammino, sogno e perdono Dio.