“Dio sta in un rudere, difficilmente lo trovi in chiesa. Lo trovi in un pezzo di legno, in una stalla. Lo stesso vale per il teatro”. Stai dicendo che il teatro come istituzione e il teatro come arte sono cose diverse? “Ovvio”. Ma lui a teatro lo troverete, prima a Catania il 21 aprile (Teatro Coppola), poi a Roma il 4 e 5 maggio e a Napoli il 27 e 28 (Galleria Toledo). Non gli stai dietro. Quando parla è come se fosse in scena, o viceversa. Nicola Vicidomini – “il più grande comico morente” – torna sul palco con Fauno, un’opera teatrale dal sapore nietzschiano, ma più evasiva dei libri di Nietzsche, più giocosa, meno greve. Come se quel viandante nelle piazze della Gaia scienza fosse prima di tutto un attore, qualcuno troppo stanco per non dirci in faccia la verità. Per una volta, senza maschere. Non solo. Vicidomini bacchetta gli spettacoli sovvenzionati dallo Stato, puliti, pettinati, che però fanno pagare al pubblico prezzi inaccettabili. Soprattutto se confrontati ai suoi, così popolari, a portata di “nani e puttane”. Quindi di tutti.
Ciao Nicola, come stai?
Benissimo. Si resite. Si resiste male. Ma si resiste.
Sono qui per chiederti qualcosa riguardo al tuo spettacolo “Fauno”. Cosa attende gli spettatori?
Fauno ha già il suo rodaggio, una visione fuori dal mondo di cui si è occupato il Middlebury College del Vermont come unico caso contemporaneo all’interno di un corso intensivo sulla commedia dell’arte. Negli Stati Uniti è stata anche prodotta una tesi. In realtà molti ne hanno scritto. Lo spettacolo è ancora più sintetico. I ritmi sono migliorati. A Milano in gennaio il Teatro della Cooperativa di Renato Sarti, uno spazio che amo molto, era sempre pieno. Speriamo a Roma di fare 3 persone in sala di cui 1 pagante, possibilmente nano. Altrimenti uno si annoia. Ci tengo a fare una pessima figura quando vado in uno spazio per la prima volta.
Ti riferisci al teatro Tor bella monaca.
Sì. Fa parte del circuito Teatri di Roma, ma è un teatro molto popolare in un quartiere popolare.
Anche i prezzi mi sembrano popolari, giusto?
Certo, per gruppi di 10 persone ho disposto ci siano biglietti a 8 euro. Perché il teatro fa schifo e va pagato poco e male. Soprattutto vanno pagate poco e male le produzioni come questa che non si abbeverano a fondi ministeriali e non li hanno mai elemosinati. E che facendo fuori uno Stato, mediatore della prostituzione, ristabiliscono in piena autonomia un vero contatto col pubblico. Uno sfregio, insomma. Mi piacciono i dispetti alla società. Faccio ancora cacca e pipì a terra. E mamma piange.
Ci sono prezzi molto elevati per teatri che hanno il sostegno statale, in effetti.
Ma per chi li fanno gli spettacoli? Il teatro è finito perché ha perso contatto con il popolo che, malgrado tutto, esiste ancora, assorto su Tiktok, e non può spendere 40 euro per un biglietto. Si tratta di un circuito chiuso autocelebrativo, in cui la maggioranza delle messe in scena restituisce solo oleografia, manierismo anacronistico e dissociante e retorica della morale. In cui moltissime produzioni si aggrappano ai trend sociali del momento che ti consentano di accedere ai fondi pubblici. Se fanno 4 persone in platea poco importa. Tanto ci ha già pensato lo stato. E qualche critico in odor ministeriale ne ha scritto anche “beno”. Non parliamo neppure di intrattenimento. Ma di un esercizio scollato dal presente. Far finta di essere vivi. Il teatro dovrebbe nel caso tornare ad essere questione popolare come quando Gassman negli anni '50 e '60 si produceva in Shakespeare davanti al proletariato.
Quindi i finanziamenti pubblici sono un paracadute?
Come si fa a parare la caduta a uno che è già crepato? A che serve? Sono “regalini” legalizzati che, attraverso l’adempimento delle coordinate riportate nei bandi, normalizzano qualsiasi volontà espressiva. L'arte è un fenomeno religioso e amorale. Senza questo presupposto non è possibile alcuna catarsi. Anche per questo, e non solo per una questione economica, la gente si è giustamente allontanata dalle cosiddette Stagioni. Dopo lo spettacolo tantissimi mi vengono a dire o mi scrivono “Mi sento leggero”, oppure “Ridevo come un pazzo e non sapevo perché”. Ecco la catarsi. In quel momento hanno superato inconsapevolmente l’io, la storia, ogni narrazione personale e comunitaria, in sintonia con un mistero. Hanno riso del proprio fallimento, della propria fine. 1 su 100 scappa dalla sala perché è terrorizzato. Succede quasi sempre.
Allora mi viene da chiederti: il Pnrr, che farà arrivare soldi a cascata anche alla cultura, non avrà l’effetto contrario rispetto a quello atteso? La cultura continuerà a essere privilegio di pochi?
La cultura non esiste. È una parola per fottere soldi. Una casella del potere. La stessa cosa che è successa col teatro si è verificata col cinema.
Che vuoi dire?
Il cinema italiano è finito nel momento in cui sono nate le multisale. Quando i gestori degli spazi autonomi non hanno avuto più un contatto diretto con quello che era il gradimento effettivo del pubblico che pagava il biglietto. Il produttore un tempo telefonava all’esercente: “Quest’anno ho un film con Alvaro Vitali dove lui fa vedere il pesce, un film di Fellini dove si vedono le zizze, un film di Antonioni dove si vede un piano sequenza di una struttura vista dal basso, ma c'è pure una bionda con la voce rauca, e un film con Thomas Milian dove si dicono le porcherie”. Allora il gestore diceva: “Milian mi interessa perché si dicono le porcherie, Vitali pure, e sì dai Fellini, facciamo pure Fellini che tanto un po’ di “patana” si vede comunque”. Aggiungiamo che nel momento in cui lo Stato ha cominciato a decretare attraverso sovvenzioni il valore “culturale” di opere cinematografiche senza film – “progetti” presentati su carta e argomentati dall'esaminato artista di turno di fronte a una commissione, come in un esame scolastico – ha ucciso i produttori, ha tagliato il ponte con un effettivo gradimento popolare e ha fatto in modo che anche dei capolavori non venissero più prodotti. Ripeto: per chi li fanno questi film?
Quindi si sceglieva in base ai gusti del pubblico.
In base al gradimento reale del pubblico e nel rispetto del pubblico. Soprattutto senza volendone necessariamente e presuntuosamente, come accade in televisione, prevederne la reazione. Con i soldi dei film di Franco e Ciccio o di Carlo Giuffrè si producevano alcuni capolavori del cinema italiano, che erano applauditi anche dal proletariato e dal sottoproletariato perché rientravano in una rassegna di intrattenimento.
Quello che metti in scena: il corpo, la risata... sono un modo per stabilire un contatto diretto con lo spettatore?
Non c'è alcuna volontà o obiettivo dietro una visione. Produco cose inutili. In qualche maniera bisogna passare il tempo. Cerco un contatto solo con Dio. Faccio quello che faccio. Punto. Non si chiede a un vulcano perché erutta. La risata del pubblico è un agente estetico. Non mi pongo il problema di un contatto, non capto la benevolenza di nessuno. Ma pretendo che quell'elemento estetico sia almeno verace, cosí come è onesto quello che faccio. Saboto me stesso. E non ho neppure più compiacimento nel farlo, non mi importa dei soldi che mi arrivano, che comunque mi permettono un sostentamento indecorosamente decoroso. E neanche dai giudizi critici positivi.
Ripeto, per dirla con Nietzsche nella Nascita della Tragedia concepisco solo il pubblico in quanto pubblico estetico.
Ancora con Nietzsche. Lo citi spesso nelle tue interviste. Lui parla di diventare ciò che si è: quindi il tuo essere autosabotatore è diventare quello che sei?
Se cito Nietzsche è semplicemente perché ha saputo sintetizzare meglio di me tensioni innate che erano già dentro quello che faccio. Non faccio i compitini sui filosofi, non me ne frega niente. Mah. Com’era la domanda scusa?
“Divieni ciò che sei”. Dunque sei un autosabotatore?
Certo, è determinante, il sabotaggio è un modo per farsi fuori, per annientare l'io. Per fare in modo che venga fuori un lavoro necessario. Mi interessa l’opera, io sono semplicemente un mezzo, come te lo devo dire. Non riguarda solo me questa dinamica fondamentale. Ma chiunque lavori a qualcosa.
E tu che fine fai?
Ripeto, non me ne frega nulla di me. Sono incosciente dalla nascita. Ho tre anni. Peraltro, tornare in scena ogni volta è come una condanna, non ci salgo volentieri. Non faccio ciò che mi piace, faccio quello che devo fare. Quando dico che schifo il teatro, quando dico che schifo me stesso, dico la verità.
La tua sembra una boutade.
Non è così. Si vede che non hai mai visto un mio spettacolo. Non ne hai cognizione. Vieni in teatro e cacati finalmente sotto.
Dici di essere amorale ma il prezzo a 8 euro è una questione politica, no?
Certo, ma cosa c'entra la politica con la morale? Ma soprattutto cosa c'entra una questione puramente politica e gestionale con un atto religioso come Fauno? Non confondiamo i piani del discorso. La pentola che fabbrichi è una cosa, il modo in cui la vendi un’altra. Sono attività che rispondono a dinamiche e principi diversi. Detto questo, sono amorale nella misura in cui non riconosco il senso e la morale comuni. Sono amorale come lo è la natura.
Ma perché lo fai?
Abbasso il costo per fare un dispetto alla società. Ripeto, è stato fatto fuori il pubblico. Quindi 8 euro! Voglio vedere volti nuovi in platea, gente che non è mai stata in teatro. Voglio animali da cortile. Voglio sentire l'odore del letame di vacca. Preferisco meno soggetti che provengano dai piani alti dell'impegno etico. Preferisco che mi tirino, se necessario, anche delle carcasse in scena.
Però non si sceglie il proprio pubblico.
Non si sceglie nulla. Non si sceglie di nascere, non si sceglie di avere una determinata tensione verso l’esistente. Chi è convinto di aver scelto qualcosa nella sua vita è un dissociato totale. Come fai a scegliere? Che vuoi scegliere? Un fiore sceglie di sbocciare o morire? Quando parlo di tensione alludo a quella cosa che nel suo declinarsi i Greci definivano destino. Prendi Edipo. L’oracolo gli dice: “Tu ti chiaverai tua madre e ucciderai tuo padre”. E nonostante le provi tutte per scappare, non potrà̀ evitarlo. Piú scappa più si avvicina alla premonizione e lo scoprirà solo a fatto avvenuto. Non si sceglie nulla, figurati se posso scegliere il pubblico.
Ti sei concentrato su qualcos’altro in questo periodo?
Vengo da Sconcert con Nino Frassica. Su Prime. Nino mi chiesto di essere ospite del programma insieme a Massimo Bagnato, Gigi Rock e Rocco Barbaro. Sto rifiutando da qualche anno tutte le proposte televisive. Non prendo parte a una cornice che non sia alla mia bassezza. Non mi aiuta neppure a promuovere gli spettacoli. Anzi, depotenzia. Non ci vado non perché io schifi chi me lo propone. Ma perché schifo me stesso in quel contesto.
Ma a Nino hai detto di sì.
Ho stima per Nino. E poi li almeno mi diverto. Ritrovo il gioco e quel massacro a disattendere le aspettative dei target produttivi. Un delirio vero.
Morirai di nuovo sul palco?
No, la prossima volta spero di partecipare direttamente come cadavere. Se ci sarà un capitolo successivo si assisterà finalmente alla decomposizione.
La morte è un colpo, ma la decomposizione...
Durerà perché ci vorrà più tempo. Prime prevederà per questo una puntata della durata di anno.
Nino ha l’esclusiva sulla tua decomposizione?
Sì, lui ha firmato davanti a Satana.
C’è un contratto?
Pensa che sta già vendendo delle mie reliquie. Scrivila questa cosa. Lui sta vendendo mie reliquie. Hai presente quando si vende una casa in modalità nuda proprietà? La vecchia non è morta, sta ancora dentro casa, però tu la casa la compri con la vecchia dentro. Nino sta vendendo: “Nuda reliquia”. Vende prima della decomposizione in scena già pezzi di dito, capelli, lobi di orecchio. Pure il pesce credo abbia già venduto. A un giapponese. Pare che su Catawiki si siano affrontati in una durissima lotta all’asta un cinese e un coreano. Ed è arrivato alla cifra esorbitante di 8 euro e 50.
Quindi vedremo un pezzo di te a Tokyo in qualche museo di arte contemporanea?
No, di solito queste cose finiscono nelle chiese o nei minestroni.
Occhio a cosa mangiate voi che leggete...
Ma quelle cose se digerite hanno poteri mistici: si vede la Madonna si vedono un sacco di belle cose... teste di capra... si sentono cori di capra...
Allora progetto un viaggio a Tokyo e spero di scoprire un pezzo di te nei luoghi meno attesi. Grazie per i retroscena.
Mi raccomando scrivile. Ah, scrivi pure che sono anarchico, così, a vuoto. Anzi, fammi questa domanda: sei anarchico?
Ti senti anarchico?
Sì.
Abbiamo finito. Aspetto nella mia minestra un pezzo di te.
Mi dispiace che tu abbia queste tendenze.