La copertina dell’album d’esordio di Will, “Manchester”, comunica qualcosa di inglese. Non c’è solo quel titolo. O quel “Will”, diminutivo di William Busetti, classe 1999. Nella foto c’è un ragazzo – Will – col capo chino. Sembra reduce da una notte metropolitana. Il buio squarciato dalla luce di un lampione, una fermata dei bus probabilmente non troppo lontana. E il suo giubbotto, che forse nasconde uno di quei cappucci in cui tanti suoi coetanei quasi si rifugiano. Dopo X-Factor 2020 (a cui è seguito il successo di Estate) e Sanremo 2023 (dove ha presentato Stupido) lo sguardo di Will sulla vita e sulla musica, però, pare dritto. Non privo di timori o esitazioni, certo, ma dritto.
Innanzitutto, perché Manchester?
Perché mia madre è di Manchester e ogni volta che vado in Inghilterra mi sento a casa. A mio agio. Non so spiegare perché, ma mi sintonizzo più facilmente con lo stile di vita inglese.
Cosa ti ha dato la città degli Oasis, gli Stone Roses, Sir Alex Ferguson e il City dei nuovi ricchi della Premier?
Tranquillità. Un modo migliore di vivere gli eventi, le situazioni. Anche un’ispirazione che si è aggiunta a ciò che già respiravo in casa. Mia madre mi faceva ascoltare i Beatles, i Queen, gruppi che hanno plasmato la mia idea di pop music. Oggi guardo a Harry Styles, Ed Sheeran.
In Luce canti: “Tu sei la mia luce, e adesso siamo al buio. E non c'è più nessuno che pensa al mio futuro, e quindi vaffanculo”. Il tema del futuro torna anche in Stanotte non dormo e Più forte di me. Quanto ti fa paura?
Il futuro è il tema principale, per me. Scrivo soprattutto d’amore, ma del futuro ho una paura che cerco in tutti i modi di esorcizzare. Credo che la mia generazione senta molto l’incombenza di un futuro maligno.
E in Luce chi è che “non pensa più” al tuo futuro?
È una ragazza con cui stavo, a Milano. Ci siamo lasciati e mi sono sentito a pezzi. Era bello sentire qualcuno, al mio fianco, che si occupava di me. Non solo del suo futuro, anche del mio futuro.
In Casa parli di una ragazza ossessionata dalla perfezione. Che problema ha la Generazione Z con la perfezione?
La cerchiamo di continuo perché ce la vendono tutti i santi giorni. I miei momenti migliori sono quelli in cui rientro da solo da una festa e cammino per strada con le mani in tasca. In quegli attimi sento la bellezza di vivere e allontano questa insistente idea di perfezione. Io proprio non la capisco questa ricerca della vita perfetta. La vediamo scorrere sugli schermi degli smartphone, ma non conosco nessuno che la viva nella realtà.
La vetrina dei social come forma di oppressione, quasi.
È innegabile. TikTok sta prendendo il sopravvento e di base fa quello, cerca di vendere la perfezione, rendere popolari i contenuti più scintillanti possibili. L’effetto è tutto un wow, ma sui sacrifici i riflettori sono spenti, non passano.
Una generazione sotto pressione. Come Wax che, ad Amici, sfida a singolar tenzone la giornalista che aveva osato criticarlo? Cosa ne pensi di quell’episodio?
Mah, capisco questi programmi, so perfettamente cosa vuol dire cercare di trovare un posto al sole in quelle trasmissioni. Wax mi è parso nettamente il più talentuoso fra gli ultimi concorrenti, ma lo capisco. È ancora giovane, vuole arrivare in fretta e non è abituato a tutto il rumore che ti si può creare attorno. La sua reazione è quella di uno che ci tiene. Se forse si è mostrato troppo teso avrà senz’altro modo di capire, a breve, che comunque le critiche servono, ti fanno crescere.
I meccanismi dei talent stritolano i giovani che ci provano?
È dura stare lì dentro. Sono ragazzi soli, senza un team di lavoro che li aiuti. Armati di passione e talento, ma sempre soli e perennemente sotto le telecamere. Non riesco a immaginarmi in una situazione simile. Preferisco provare a imparare “fuori dalla tv”.
Come vorresti gestire la tua carriera discografica?
A Sanremo ho visto come lavorano i grandi e sono andato in crisi per due mesi. Mi sentivo troppo legato ai singoli progetti, senza una reale identità. Ora so cosa voglio: la semplicità della musica. Voglio provare a essere unico, cercare obiettivi più a lunga gittata.
Difficile, oggi, far parlare solo la propria arte. Alcuni trapper (Baby Gang, Jordan, Traffik, Tony Effe…) diventano visibili soprattutto grazie agli episodi di nera, le minacce nelle storie di Instagram, le rese dei conti. Come ti vedi rispetto a quella realtà?
Molto diverso. Non mi sento migliore, però. Anzi, visti i risultati forse hanno ragione loro (ride, nda). Musicalmente fanno tutte cose legittime, per carità, ma mi piacerebbe che circolassero anche canzoni, progetti più elaborati. Lazza e Blanco sono incriticabili, tuttavia in giro ci sono troppe copie carbone. In questo contesto cerco solo di fare le mie canzoni, anche perché i trapper puntano forte sulla costruzione del personaggio. Capisco ciò che fanno, capisco le cazzate che possono combinare. Non mi scandalizzo.
Il fatto di dover provare a essere anche un po’ personaggio ti infastidisce?
Sì, perché mi pare che quell’aspetto sia diventato troppo prioritario. Vorrei poter caratterizzare il più possibile la mia musica fregandomene di tutto il resto.
Prima c’era il calcio nei tuoi pensieri. Oggi la musica ha avuto la meglio.
Mi ha spaccato. Letteralmente. Non sono uno di quelli che suona da quando è in fasce, ma la passione, pur travolgendomi tardi, è totalmente genuina.