A Sanremo si parla di tutto, tranne che di musica. Riflettiamoci su, quanta importanza gli diamo? Poca. Quanto contano gli outfit degli artisti? Abbastanza. Il punto però è che come ci ha sottolineato il nostro intervistato, il grande critico ed esperto di moda Antonio Mancinelli è importante che questi due mondi si incontrino sul palco dell'Ariston. A un determinato messaggio dovrebbe corrispondere un look coerente. Come nel caso di Ghali che parla della Striscia di Gaza e poi si presenta tutto griffato in Jw Anderson... Abbiamo chiesto al noto critico che ruolo hanno i brand, gli sponsor e i look assurdi e "poco eterosessuali" del Festival e ci ha detto prontamente che per lui la moda più che provocare vuole vendere perché l'obiettivo non è suscitare polemica per trasmettere chissà quale messaggio specifico, la finalità è sempre e solo il denaro. E sull'accordo commerciale tra U-Power e la Rai, il siparietto osceno di John Travolta, Ghali e la canzone politicamente schierata e il flirt tra Mahmood e Mengoni... Ecco cosa ci ha raccontato.
Tornerà la moda eterosessuale a Sanremo prima o poi?
Assolutamente no. Questa edizione di Sanremo, in particolare, ha ormai oltrepassato anche il concetto di genderless, per cui non c'è più neanche quello stupore che trovammo quando Achille Lauro arrivò sul palco dell'Ariston vestito da regina Elisabetta, piuttosto che da Marie Antoinette.
È un bene?
Nel bene o nel male il fatto che un ragazzo indossi una minigonna o che un ragazzo come Mahmood arrivi con una spalla su e una in giù, anche con una certa malizia, con un atteggiamento molto femminile, rispetto a una Giorgia che arriva in frac o vestita da zia, segna la disfatta totale del maschio. Tanto è vero che a vestirsi in modo più regolare sono sempre i più anziani.
Tipo?
Renga e Nek. Detto ciò, mi dispiace per le ragazze etero, ma preparatevi al fatto che i vostri fidanzati vi rubino le creme, le minigonne o il make-up. Perché oramai è così. Che questo sia un bene o un male non sta a me dirlo, anche se io la trovo una cosa abbastanza positiva.
Lo sdoganamento totale di questi elementi femminili anche sull'uomo corrisponde poi a una reale maturità dei rapporti uomo - donna?
No e infatti è questa la distonia che c'è nella nostra società. Da gennaio a oggi non so quanti fidanzati abbiano ammazzato le proprie donne, per cui viviamo in un mondo molto strano ed estremamente contraddittorio. Oramai io vado anche oltre l'orientamento sessuale, per intenderci.
Ma oltre in che senso?
Che oramai non mi interessa più se uno sia gay o etero. Oramai per noi della moda è assodato e normale che un ragazzo abbia lo smalto, che vada in giro in gonna mostrando i polpacci pelosi e così via. Ma questo poi non corrisponde a una reale maturazione dei maschi nel rapporto uomo - donna.
Normalità che riscontrate voi nella moda ma non la maggior parte della popolazione
La verità è soltanto una: che tutti questi artisti si fanno dare dei vestiti, che talvolta vengono restituiti e altre volte no. In alcuni casi ci sono dei veri e propri contratti milionari, per cui sono tenuti, anche schiacciando la loro personalità, a farsi vestire da un determinato stilista. Normalmente sono designer che hanno grande successo, alcuni dei quali sono anche molto controversi.
Per esempio?
Penso a Jw Anderson che disegna Loewe e, guarda caso, Ghali veste Loewe.
Quindi sono i brand a imporre questo stile genderless?
Nel momento in cui ci sono dei contratti e degli accordi predeterminati, è ovvio che ci siano determinati brand che danno loro dei vestiti. È qui che c'è la distonia tra quello che tu giustamente chiami il mondo reale e il mondo della moda. Quello che noi vediamo sulle passerelle non è la realtà.
Alla moda interessa così tanto provocare?
Per nulla. La moda non vuole provocare ma vuole vendere. Sui più giovani il fatto che un certo rapper si vesta con un certo marchio non è più provocazione, ma è semplicemente una forma di pubblicità. Manca un passaggio, ovvero che un certo tipo di moda non possa essere diffusa in uno spettacolo così nazionalpopolare, se non andando incontro alle critiche. L'anno scorso Tiffany si è ritrovata 160 citazioni sui giornali, cosa che corrisponderebbe a una quantità di soldi pazzeschi in investimenti pubblicitari, solo per aver dato i gioielli a tutti, soprattutto a uomini. Non vogliono provocare perché è un'operazione culturale, ma il discorso è puramente economico.
Un esempio di questo discorso a Sanremo?
L'altra sera Il Volo aveva gli orecchini di perle. Questa era un'operazione di blanda provocazione, ma c'era soprattutto un accordo di tipo economico.
A proposito di brand, si sta discutendo della pubblicità occulta fatta da parte di U-Power con John Travolta. Che ne pensa? È plausibile o no?
Sì ma anche no. Per me è più scandaloso Amadeus che va a salutare il proprietario della ditta U-Power, appena sceso dal palcoscenico, piuttosto che far fare a John Travolta la pessima figura che ha fatto con quel balletto, facendogli inquadrare le scarpe. È stato più vergognoso quello che hanno fatto fare a John Travolta. Per me il discorso sussiste, ma allora se proprio vogliamo essere precisi, anche Loredana Bertè aveva la cravatta con la V di Valentino in bella vista.
Però perché stanno indagando su John Travolta e non sulla Bertè?
Questa è la riprova che questi sono accordi economici. Per cui, se vuoi far parlare di te, più si spinge il pedale su un certo tipo di immagine, anche più forte e controversa, più pubblicità avrai in termini di risonanza mediatica.
Pare che John Travolta non avesse dato neanche la liberatoria per quel balletto
Ma certo. Ha fatto una figura spaventosa ed è stato uno scivolone orribile, nonché di cattivo gusto.
Scivolone da parte di chi?
Da parte di Amadeus, degli autori e di non so chi abbia deciso di fare quel numero. Non so se hai notato ma John Travolta, proprio per evitare di finire nella vergogna assoluta, ha cercato di togliersi il cappellino dicendo che non gli entrava. Non è colpa sua, ma degli autori che potevano benissimo pensare a una bellissima intervista, in cui inquadravano anche le scarpe e invece no. Non non si può trattare un divo in questo modo, dai.
Quindi le scarpe sono state inquadrate perché c'è un accordo tra la Rai e U-Power?
Ma certo. Non ne ho le prove, ma sappiamo bene che U-Power è uno dei partner di Sanremo.
Per quanto riguarda gli outfit, uno che ti ha deluso particolarmente?
In generale, ho trovato i maschi molto più trasgressivi delle donne. Paradossalmente mi è piaciuta molto BigMama, vestita da un designer abbastanza sconosciuto che si chiama Lorenzo Seghezzi. Mentre i cantanti più famosi stanno svendendo la loro personalità ai marchi.
Un esempio?
A prescindere dall'aspetto, perché lui è un bellissimo ragazzo, trovo che Mahmood stia diventando una vetrina vivente. Ma anche lo stesso Mengoni. Non sono deluso dal fatto che stessero bene o male con quei vestiti, ma dal fatto che oramai sono dei cataloghi in movimento. Nella moda ci sono i lookbook, quei libricini che vengono mandati alla stampa per mostrare i look. Ecco loro sono dei lookbook in movimento, di cui l'esempio tipico sono Mahmood e Mengoni. Non capisco neanche più la personalità di queste persone.
Sono stati deviati dai soldi?
Dai soldi, dagli accordi presi e da tutta una serie di altri fattori. Mi sembra di essere a una sfilata, tra l'altro in maniera del tutto dissonante rispetto al testo delle canzoni.
Annalisa in reggicalze?
Mi sembra un buon compromesso tra il suo nuovo personaggio di ragazza un po’ sexy e la canzone in gara, divertente, carina e assolutamente in tema. Ma Mahmood che, con Tuta Gold, canta delle cose spaventose, tra spacciatori, bullismo e il padre che lo picchiava - argomenti di grande denuncia anche sociale - che poi si veste come se andasse a dodici sfilate una di seguito all'altra... Mi sembra più una perdita di personalità. Loredana Bertè ai tempi d'oro ma anche Renato Zero con le sue tutine pallettate, erano persone che attraverso i loro vestiti comunicavano dei messaggi forti. Adesso a me non arriva niente.
A proposito di tutine, quella di Ghali ti ha trasmesso qualcosa?
No per niente. La tutina di Ghali è di uno dei più grandi designer che ci siano, ovvero Jw Anderson, ma quel tipo di abbigliamento con quel tipo di testo, ovvero molto bello ma anche molto tosto dato che è una presa di posizione chiaramente politica sulla vicenda della Striscia di Gaza, non c'entrava nulla. Stai denunciando una situazione di guerra molto molto delicata e vieni vestito come una sorta di principino azzurro. L'altra sera aveva una specie di cappottone di Maison Margiela. Insomma, cambia continuamente stilisti di lusso.
Cosa vuol dire?
Che non riesco a capire che tipo di personalità abbiano questi personaggi se poi si fanno vestire dagli stylist, se poi hanno accordi economici con determinati brand. Non riconosco più in quel tipo di immagine il messaggio che veicolano attraverso le canzoni.
Stiamo parlando del Festival della musica, ma ci si concentra solo sulla moda e sulla politica. È normale?
Hai centrato perfettamente il punto. Alcune canzoni sono carine e altre meno, Ma siamo sicuri che se non avessero avuto il palco di Sanremo e le avessimo sentite in radio avrebbero avuto lo stesso impatto su di noi? Pur nella tua infinita cattiveria hai ragione, perché ci dovremmo chiedere quanta importanza stiamo dando ai look e quanta poca alla musica.
E di chi è la colpa?
Abbiamo colpa tutti. Dai media alla moda, agli artisti. Questa è una responsabilità condivisa. Noi ci ritroviamo a parlare due mesi di chi veste chi e non di chi canta cosa e questo è abbastanza inquietante. Io continuo a sperare, forse da boomer, che la musica sia una forma d'arte, ma non c'è più quell'identità grazie alla quale il pensiero di un artista si trasferiva attraverso una canzone e il modo di vestire trasmetteva di rifflesso quel pensiero. Qualcuno ha analizzato i testi? No. Stiamo parlando di stylist e di brand. Talvolta, vedendo dei cantanti, penso si sia compiuta la loro metamorfosi in attaccapanni umani. Ci sono canzoni che, se avessimo sentito solo su Spotify, non avrebbero avuto il medesimo impatto.
Per esempio?
Annalisa e Loredana Bertè avrebbero avuto comunque successo. La band pseudo punk La Sad che cosa ci sta comunicando? È un omaggio agli anni Ottanta? Che cos’è? Si sono sovrapposti troppi linguaggi.
Vogliamo chiudere con qualcosa di positivo?
Sì. Ci sono stati tantissimi meme, ovunque, del famoso sguardo tra Mahmood e Mengoni, tutti ci stanno scherzando molto però senza alcuna forma di razzismo. Forse questo ci dimostra che un piccolo passo avanti lo abbiamo fatto. Voglio chiudere con una frase che piacerà tantissimo al vostro direttore Moreno Pisto: “in questo momento storico essere credibili e affidabili è la migliore valuta che uno possa spendere”.