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Anche dopo cento anni,
Chanel N.5 è il manifesto
del femminismo e della modernità

  • di Silvia Vittoria Trevisson Silvia Vittoria Trevisson

5 maggio 2021

Anche dopo cento anni, Chanel N.5 è il manifesto del femminismo e della modernità
Tanti auguri a Chanel N.5, il profumo femminile per eccellenza che, dopo aver attraversato un secolo di esistenza, rimane tra le fragranze più vendute e richieste in tutto il mondo. Qual è il mistero che avvolge questa essenza eternamente moderna? Ecco cosa lo rende il prodotto più disruptive della storia della profumeria

di Silvia Vittoria Trevisson Silvia Vittoria Trevisson

Era il 1920 quando Mademoiselle Gabrielle Chanel in arte “Coco”, durante una vacanza in Costa Azzurra, delineava i punti di quella che sarebbe diventata la fragranza femminile per eccellenza. Gabrielle aveva intrapreso da poco una relazione con il Granduca Dmitrij Pavlovič, cugino dello zar Nicola II, e grazie a lui era entrata in contatto con Ernest Beaux, “naso” di professione, che ora sedeva di fronte a lei, intento a captare i voli pindarici della mente di Mademoiselle. Una cosa era chiara fin dall’inizio: la donna doveva sapere veramente di donna, e non di zucchero o di fragranze melense. Quei profumi dolciastri e stucchevoli, tanto in voga in quegli anni, non facevano altro che dipingere la donna come un essere fragile e poco emancipato, praticamente il contrario di ciò che voleva essere Gabrielle. Ma in che modo un semplice profumo poteva porsi l’obbiettivo così complesso di valorizzare l’indipendenza delle donne? La chiave, in effetti, non era e non doveva essere la semplicità. Perchè la svolta principale che ha garantito cent’anni di fama alla fragranza francese, è racchiusa nel fatto che Chanel N.5 non era per niente un semplice profumo, ma il frutto articolato di due geni perfezionisti e delle loro idee all’avanguardia.

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Coco Chanel nel 1937, sulla copertina di Harper Bazaar. In apertura, Marion Cotillard è il nuovo volto di Chanel N.5

La formula

Nemmeno Ernest Beaux, dal canto suo, era un semplice profumiere. Il “grande naso”, vissuto a San Pietroburgo dove il padre lavorava per gli zar, era in primis un chimico, e di conseguenza fu uno dei primi profumieri a utilizzare delle vere e proprie molecole nella creazione delle fragranze. Partendo da ciò, Mademoiselle decise di ampliare gli orizzonti e rifiutare l’idea di un mono odore, commissionando a Beaux un profumo artificiale sulla base di composti sintetici come le aldeidi, che richiamano all’olfatto una sensazione di freschezza e pulizia ed esaltano gli odori con cui vengono mischiati. L’ispirazione primaria di Chanel è l’odore della mani di sua madre, una lavandaia della Provenza.

Una volta delineata la sua equlibratissima formula chimica, il profumo doveva trovare la sua identità nell’astrazione e distaccarsi dalle fragranze riconducibili a una sola essenza come la rosa o il mughetto, che andavano di moda in quegli anni. Per questo motivo l’eau de parfum vanta di un bouquet di 80 sentori, le cui note di testa sono aspre grazie alla presenza del bergamotto, dell’Ylang-Ylang e della pesca. Le note di cuore, invece, sono composte da gelsomino, mughetto, iris e rosa. Ma non una rosa e un gelsomino qualsiasi: un flacone di Chanel N.5 contiene dodici rose di maggio di Grasse, che fioriscono solo per tre settimane all’anno, e mille fiori di gelsomino di Grasse, tra gli ingredienti più lussuosi al mondo. Alla base della piramide olfattiva poi, troviamo le note di fondo composte da sandalo, vetiver, muschio di quercia, vaniglia e patchouli. Il risultato è una magia degna di un alchimista, che esalta la complessità di ogni donna e che di semplice porta soltanto il nome. Tra le due serie di campioni che Beaux preparò per Chanel, la scelta cadde sulla boccetta numero 5, la boccetta “sbagliata” con una dose eccessiva di aldeide, nonché il numero fortunato di Mademoiselle. E così, per la stessa fortunata scaramanzia, la stilista decise di lanciare il suo omonimo profumo il quinto giorno del quinto mese di quell’anno, il 1921.

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La boccetta

Anche il look del profumo, nella sua semplicità, racchiude un pensiero strutturato. Chanel fece la rivoluzione anche nella forma dei flaconi, che fino ad allora venivano premiati e scelti per stravaganza e complessità, come dettavano le leggi dell’Art Nouveau. Ma Coco Chanel, proprio come per i suoi abiti, impose a Chanel N.5 un minimalismo stoico che in men che non si dica divenne sinonimo di lusso ed esclusività. Basti pensare che, all’inizio, Chanel N.5 non era nemmeno in vendita, ma veniva regalato alle clienti più facoltose come se fosse un omaggio. Appena si sparse la voce, quella fragranza ambrata racchiusa in un involucro inusuale, quasi farmaceutico, divenne l’oggetto del desiderio di tutte le donne dell’alta borghesia, ancora prima del suo debutto sul mercato. Chanel ai tempi frequentava i maggiori esponenti dell’avanguardia artistica di Parigi e da loro prese l’ispirazione per creare lo stile del suo profumo, rigoroso e architettonico, quasi cubista, con il tappo a forma di diamante ispirato a Place Vendôme. La chiave era rompere con la tradizione passata e creare una nuova eleganza che toglieva, laddove gli altri avevano sempre aggiunto. Ed ecco, ultimato ogni dettaglio, arrivare anche il logo. In primo luogo il profumo aveva un sigillo di cera nera a forma di C sul collo, ma non era abbastanza d’impatto. E come diceva Chanel, “un profumo deve essere come un pugno”. L’iconico logo si ispira ancora una volta a un elemento decorativo di architettura, ma oltre ciò ha anche un forte significato nella vita di Gabrielle. La doppia C ad incastro è infatti la trasposizione di un motivo decorativo sulle vetrate del monastero di Aubazine, dove Chanel ha trascorso tutta la sua infanzia.

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Marilyn Monroe nella sua camera d'hotel, in posa per la campagna di Chanel N.5 del 1954

Il successo

L’essenza "disruptiva" di Chanel N.5 fu abbracciata in primo luogo dagli americani, che oltre a promuovere il profumo in termini di vendita, ne fecero anche un potente strumento di comunicazione. Dopo la nascita, nel 1924, della Societé des parfums Chanel, il successo del profumo crebbe a dismisura. Il giorno della Liberazione, alla fine della Seconda Guerra Mondiale, i soldati americani vennero fotografati in fila per ore fuori dal negozio di Rue Cambon per acquistare il flacone di Chanel N.5, simbolo di libertà e souvenir di Parigi.

Ma sono state soprattutto le donne a glorificare l’eau de parfum più famoso del mondo, prestando il loro volto nelle celebri campagne pubblicitarie. Spesso si dimentica che la prima donna testimonial del profumo fu proprio lei, Coco Chanel, musa di sé stessa, che nel 1937 posò in una suite dell’hotel Ritz con un look austero e fiero, pubblicato su Harper’s Bazaar. La seconda, invece, la ricordiamo tutti: Marilyn Monroe, immortalata anch’essa nella sua camera d’hotel con la boccetta di profumo in mano, il 24 marzo del 1955. La fama mondiale del profumo è dovuta in gran parte all’attrice americana, che ha dichiarato di indossare solo due gocce di Chanel N.5 come nightwear, al posto di camicia da notte e vestaglia. Da allora, le donne più belle del mondo (più un uomo, Brad Pitt) hanno incarnato il volto dell’iconico profumo francese, dirette da grandi maestri come Baz Luhrmann, Ridley Scott ed Helmut Newton, che hanno donato a Chanel N.5 un’allure celestiale e senza tempo.

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Audrey Tautou, testimonial per Chanel N.5 nel 2011
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Brad Pitt, unico testimonial maschile di Chanel N.5 nel 2012

Per celebrare i 100 anni dell’iconica boccetta, che dal 1954 fa parte delle collezioni permanenti del MoMA di New York, Chanel ha scelto come ambasciatrice l’attrice francese Marion Cotillard, che danza sulla Luna ripresa da Johan Renck. Inoltre, il nuovo episodio di #InsideChanel ripercorre i cento anni di celebrità del profumo, illustrando la sua storia fin dalla creazione. Il mito di Chanel N.5 va ben oltre al mistero: sono il suo spirito rivoluzionario, la sua natura impeccabile e minuziosa, ma prima fra tutti la sua la vicinanza ai nuovi valori della femminilità, a renderlo uno degli oggetti più desiderabili al mondo. E perciò, una leggenda.

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