Quando tutti arrancano, Moncler cresce. E lo fa con una mossa tanto azzardata quanto azzeccata, siglando un accordo da 1,15 miliardi con la Sportswear Company, titolare di Stone Island. Il brand modenese di Carlo Rivetti entra quindi a far parte della Moncler S.p.A di Remo Ruffini, in una partnership che rispetta l’identità e l’autonomia dei due marchi, ma che si fonda sugli stessi valori attuali e le stesse radici italiane. Un’operazione che non è altro se non il tassello finale (per ora) di un progetto di rinascita e competitività molto più ampio per Moncler, che ha avuto inizio nel lontano 2003, e che ha raggiunto il suo apice rivoluzionario negli ultimi anni. Ed è per questo che tutti i brand italiani dovrebbero prendere esempio da lui.
Moncler, oltre ai piumini c’è di più
Sono lontani i tempi in cui Moncler era un brand confinato alle piste da sci, quelli in cui a Monestier-de-Clermont (la cui crasi ha dato forma al brand) venivano realizzati i primi prodotti destinati a un impiego squisitamente tecnico. Pensate che la spedizione italiana che nel 1954 conquistò per prima il K2, vestiva proprio capi dell’allora piccola azienda francese. Ed è curioso notare come sia proprio l’anno che passerà alla storia (fra le altre) per le chiusure degli impianti sciistici, a segnare la rivoluzione di Remo Ruffini, l’uomo che dal 2003 ha trasformato un marchio nato per produrre sacchi a pelo, in un colosso mondiale della moda. Dal suo arrivo alle redini della slitta, la filosofia del brand ha cominciato a ruotare intorno alla sfida, all’impulso di spezzare la tradizione per abbracciare nuove visioni di inclusività, stando sempre un passo avanti a ciò che è contemporaneo. E anche ora che siamo in mezzo a una bufera, Moncler rimane futuristico, guardando sempre all’orizzonte alla ricerca di una soluzione creativa. Moncler è resiliente, più resiliente addirittura di Gianluca Vacchi. Il suo spirito avanguardista ha reso possibile una serie di collaborazioni vincenti che si sono spinte ben oltre al panorama italiano, culminando nel 2018 in Moncler Genius, un progetto unico e innovativo che dà voce alla pluralità del consumatore. “One House, Different Voices”, un motto che si rivolge ai cittadini del mondo e tira acqua al mulino del brand, abbracciando le mille sfaccettature di un presente in continuo cambiamento e perenne contaminazione. Un motto che, tra l’altro, si applica alla perfezione anche all’ultima mossa di Moncler, che da oggi inizierà a disegnare il futuro della moda assieme a Stone Island, il simbolo italiano dello sportswear di lusso maschile.
Ma perché proprio Stone Island? Ruffini e Rivetti, oltre a condividere la stesse radici italiane ed imprenditoriali, sono uniti dall’amore per l’innovazione, per la ricerca, e per la propria community. Entrambi credono in un forte concetto di appartenenza e comunicazione, in un universo in cui l’aspirazione va oltre il possesso, e l’interazione annienta l’individualismo. Ma non sono solo parole d’amore: nel concreto, Moncler potrà estendersi vantaggiosamente in un nuovo segmento di mercato, quello dello streetwear di lusso e dell’athleisure, la cui domanda cresce costantemente in questo periodo di semi-lockdown e smart working. In questo modo il brand si avvicinerà a una fetta di pubblico più giovane, modellandosi secondo i canoni di un abbigliamento più tecnico e sperimentale, favorito dalla Generazione Z. Dal canto suo Stone Island avrà la possibilità di accelerare la sua crescita nel mercato straniero, in particolare quello americano e asiatico, e nel canale DTC (Direct To Consumer). Per non parlare dell’aumento della distribuzione: Stone Island ottiene tre quarti delle vendite dai partner all’ingrosso, avendo solo 24 negozi, mentre Moncler vanta di una rete composta da 218 punti vendita da cui ricava il 77% dei guadagni.
Insomma l’accordo tra i due brand arriva puntuale e ben studiato, e il motto “beyond fashion beyond luxury” potrebbe essere tranquillamente tradotto con “volemose bene e facciamoci furbi", perché in questo caso più che mai l’unione farà la forza di entrambi.
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