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La cravatta da donna
(tornata in trend)
al tempo del governo Meloni

  • di Fulvio Abbate Fulvio Abbate

10 maggio 2023

La cravatta da donna (tornata in trend) al tempo del governo Meloni
La cravatta come evidente simbolo di un virile femminismo tra fashion e glam, possibile configurazione di minaccia fallica, è tornato di moda. Una improvvisa e non meno probabile rivelazione di uno strap-on destinato a suggerire suggestioni erotico-proctologiche. Nella microstoria della moda che abbraccia il costume politico la cravatta destinata alla donna, rimanda ai primissimi anni settanta, in piena “strategia della tensione”, gli stessi giorni in cui furoreggiavano i maxi-cappotti, veniva indossata, innalzata, brandita, dalle piacenti e feline signore della cosiddetta “maggioranza silenziosa”, lì a indicare il bisogno di ordine disciplina e gerarchia. E a farsi portavoce oggi di questo nuovo (vecchio) trend è la cantante Annalisa...

di Fulvio Abbate Fulvio Abbate

Lo chiameremo il “ritorno” della cravatta “per signora”. Volendo, anche “per ragazza”. Annalisa, cantante, apprezzato oggetto di desiderio, tra concupiscenza e sovranismo onanistico perfino nel contesto “radical chic”, quella di “Mon Amour”, coronamento ludico-canoro da post-pizzata democratica, ne sancisce a suo modo il nuovo avvento, mostrandola incastonata nel proprio “look” mentre si esibisce, voce e piano, da Fabio Fazio che la guarda quasi avesse in studio Glenn Gould remixato per “Muccassassina”. Facendo invece caso alla figura intera, l’insieme è completato da un tailleur-pantalone nero, bianco invece il colletto, a scoprire comunque il petto, allusione da educandato sado-maso, nera anche la cravatta, di un nero per nulla luttuoso, semmai tra glamour e conquistata “ufficialità”. Altrove, Gucci, marchio riprodotto perfino sulla sella dello sceriffo “negro” di “Mezzogiorno e mezzo di fuoco” di Mel Brooks, ne consegna allo sguardo un ampio assortimento; scure tendenzialmente. Cravatta dunque declinata al femminile come segno di eleganza, certo, ma forse anche di conquistata fluidità, più che sessuale imprenditoriale, la donna “capitana” in carriera per se stessa. Così sotto il cielo della schwa.

Se fosse un saggio andrebbe intitolato: “La cravatta da donna al tempo del governo Meloni”. La cravatta come evidente simbolo di un virile femminismo tra fashion e ancora glam, possibile configurazione di minaccia fallica: l’improvvisa non meno probabile rivelazione di uno strap-on destinato a suggerire suggestioni erotico-proctologiche, celato, forse, nella tasca della giacca dal taglio impeccabile. Nella microstorica della moda che abbraccia il costume politico la cravatta destinata alla donna, allora ampia e metonimicamente vistosa, ben di quelle tradizionalmente, ordinariamente maschili, rimanda ai primissimi anni settanta, in piena “strategia della tensione” gli stessi giorni in cui furoreggiavano i maxi-cappotti, veniva indossata, innalzata, brandita quasi, dalle piacenti e feline signore della cosiddetta “maggioranza silenziosa”, lì a indicare il bisogno di ordine disciplina e gerarchia. Cravatte a favore di volti da “vigilatrici”, non a caso se ne scorgevano a decine tra le “capitane” del Movimento sociale italiano, il partito dell’intatto calore della fiamma neofascista, così sullo sfondo, metti, di piazza Duomo a Milano, metti, durante i comizi di Almirante.

Chiara Ferragni in giacca e cravatta
Chiara Ferragni in giacca e cravatta

Cravatte indossate allora con femminea tracotanza. Donna non più ausiliaria semmai protagonista, per citare uno slogan di quel partito, “dell’ultima speranza e l’unica certezza”, cravatta in dentro e petto in fuori, quanto alla giacca c’era modo di notarla mai slacciata, i bottoni a trattenere semmai i seni minacciosi, a loro volta imperiosi, forse addirittura imperiali, identitari. Non si potrà dire la stessa cosa adesso dal punto di vista semantico, sebbene le figlie e le nipoti di quelle “camerate” si trovino adesso in posizione apicale, negli scranni più alti delle istituzioni con la Meloni in cima a tutto. Già, bizzarro che proprio lei, “Giorgia”, non l’abbia ancora accorpata ai tailleur Armani. Quasi a puntualizzare che la si debba chiamare “presidente” e non “presidenta” o presidentessa, titolo quest’ultimo che rimanderebbe piuttosto alle pochade teatrali dal gusto d’operetta francese d’inizio secolo scorso.

Beatrice Gigli in giacca e cravatta
Beatrice Gigli in giacca e cravatta

La cravatta come simbolo di una collegialità e a suo modo morbosa, ambigua, che se fosse ancora fra noi Balthus, il pittore, certamente la proporrebbe nei propri quadri perturbanti. Intanto le cronache della moda, confermano la nostra percezione, parlano di “un vecchio amore che ritorna nella moda autunno-inverno 2023-24 di Brunello Cucinelli” poiché “oggi – leggiamo ancora- la cravatta da donna è un accessorio versatile che può essere indossato in molti modi diversi”, un qualcosa “non più riservato solo agli uomini, aggiungendo un tocco di personalità al loro outfit per esprimere la propria individualità e sentirsi sicure di sé”. Stavo dimenticando che nell’ideale bugiardino della cravatta da donna riconsacrata giunge al fotofinish anche Chiara Ferragni, a sua volta innalzata, cito testualmente, come “una business woman di successo col completo doppiopetto, look. rigoroso e glamour tailleur total black”. L’ombra dello strap-on sembra nuovamente profilarsi minacciosa all’orizzonte dei camerini e degli stand.

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