È tutto costruito, tutto finto, tutto pagato. Luccicante showbiz americano e bigottismo inglese, veramente ci si aspettava altro?
L'attesissima intervista di Oprah Winfrey a Meghan Markle e al Principe Harry è stata mangiata e digerita dai media internazionali che, scegliendo da che parte schierarsi, hanno avuto il lusso di una notizia pronta e confezionata, su cui poter far polemica. Si è fatto sentire il padre di Meghan, quello che tanto la odia, sono spuntati i reali di ogni dove, gli amici e i nemici, i giornalisti e pure i dipendenti di Buckingham Palace. C'è chi ha analizzato i movimenti di lei, cercando di incastrarla con un patetico "ha mentito, lo dice il modo in cui incrocia le gambe", e chi ha scelto di accostare il suo visino triste a quello della mai abbastanza strumentalizzata Lady D.
Meghan Markle è maltrattata, da anni, dai tabloid inglesi. Non è un'opinione, o un melodramma dai lei inventato per farsi pubblicità, è semplicemente la verità. Lo fecero con Diana e lo stanno facendo oggi con lei. Basterebbe leggere un qualsiasi giornale inglese, e cercare di confrontare le notizie relative all'amatissima Kate e quelle riguardanti Meghan. L'esperimento lo ha fatto l'americano Buzz Feed, e il risultato è talmente assurdo da apparire quasi ridicolo.
Dall'altro lato però c'è la verità di chi a Meghan non crede. Perché il fare è da attrice (se l'intervista l'avete vista su TV8 poi, con quel doppiaggio, l'avrete trovata insopportabile) i tempi sono scenici, e sembra sempre calcolare ogni parola nel modo giusto. Perché è arrivata come un uragano su Buckingham Palace: non bianca, divorziata, americana, attrice, indipendente. Non deve essere stato facile per nessuno, devono aver sofferto tutti in questa storia, e ognuno ci ha marciato dentro a modo suo.
Ma solo una persona al mondo avrebbe potuto prendere questa storia e rendere empatiche le sofferenze di due 30enni super privilegiati. Non solo ricchi, non solo famosi, ma addirittura reali. Le principesse non si possono lamentare in questo mondo, soprattutto se nessuno le ha obbligate a diventare principesse.
Eppure Oprah Winfrey è l'unica, in tutta questa storia, ad esserne uscita come una vera regina. La numero uno dell'intrattenimento americano, lei che è diventata miliardaria facendo interviste, ha prodotto l'ennesimo gioiello televisivo. E per una generazione che un po' la sta dimenticando, a dieci anni dalla conclusione del suo famosissimo The Oprah Winfrey Show, ha insegnato - ancora una volta - come fare televisione.
Troppo facile dire che interviste così, con personaggi che sono pronti a dare rivelazioni bomba e milioni di dollari di sponsor sul piatto, siano quelle più facili. Che ogni giornalista potrebbe farle, che tutti sarebbero in grado di fare le domande giuste in una situazione comoda come quella del tipico talk show americano.
Troppo facile perché, semplicemente, non è vero. Lo spiega benissimo il New York Times, come il ruolo di Oprah in questa intervista sia stato cruciale. Il suo famoso "what" usato con coscienza, con rispetto verso l'intervistato, ma con quella fermezza che negli ultimi cinquant'anni l'ha resa la regina della comunicazione televisiva. Non si prostra mai, non si sottomette. Lei è Oprah, non importa chi ci sia seduto davanti, che sia il Presidente degli Stati Uniti, la rockstar numero uno in classifica, o la coppia reale più chiacchierata al mondo.
In 37.000 interviste, realizzate nel suo The Oprah Winfrey Show, lei è sempre rimasta fedele a se stessa. E questo le ha permesso di costruire una propria identità e di fondare le basi per un tipo di comunicazione empatica, facile da guardare, senza mai scadere nel melodramma.
Quando gli ospiti di Oprah finisco un'intervista con lei, chiunque siano, alla fine le chiedono sempre "sono andato bene? Ti è piaciuto quello che ho detto?". Come se fosse lei, la vera protagonista. Quella da convincere.
Abituati come siamo a un tipo di televisione fatta di genuflessioni davanti agli intervistati, non riusciamo neanche più a riconoscere il potere della comunicazione di Oprah. Perché le interviste organizzate esistono, da sempre, ma c'è un oceano che separa la mediocrità dal talento, nel saperle scrivere e condurre.
Fabio Fazio davanti a Barack Obama ne è un esempio. Lode nell'averlo portato in Rai e record di ascolti, ci mancherebbe. Domande programmate per parlare del libro e pochissima politica, nessuno lo mette in dubbio. Ma le domande di Fazio sono, troppo spesso, domande che non esistono. Retorica basata su argomenti di cui già si conoscono già le risposta, ironia vecchia, da prima serata sulla televisione di stato. Non frizzante ma neanche tecnico, non innovativo ma neanche approfondito.
Un esempio che potrebbero essere mille come, ultima in ordine cronologico, la breve intervista ad Alex Schwazer sul palco di Sanremo. Spuntano due sedie e il Festival si trasforma in Domenica Live, Amadeus tira fuori un foglio stropicciato ed elenca la storia di dolore, complotto e ingiustizia subita dall'atleta come se si trattasse della lista della spesa dimenticata e le domande sono così retoriche che avrebbe potuto evitare di farle. "Chi ti ridarà il tempo perduto?" una tra tante.
Quando si fa televisione c'è un interruttore per l'empatia degli ascoltatori, un filo che li unisce a chi viene intervistato, che si tratti di politica, di attualità, di gossip o di sport. Quell'interruttore o lo sai accendere, o non ne sei in grado. E Oprah c'è riuscita più di 37.000 volte dal 1986 ad oggi, compresa l'ultima.