Ogni mattina le diceva: ti amo. Lo ha fatto per 22 anni, continuerà a farlo anche se lei adesso non c’è più. La guerra porta via tutto, lascia a terra i cadaveri. Lascia a terra le storie. La foto della famiglia uccisa sul ponte di Irpin è diventata il simbolo di questo conflitto: una madre, un figlio di 18 anni e una di 9. Il padre è stato intervistato oggi da Repubblica. Si chiama Serhiy, lui stava a Donestk, terra controllata dai russi, era sul balcone a fumare perché aveva portato il respiratore a sua madre malata di Covid. Guardava le bombe cadere sulla città e guardava il cellulare sul quale seguiva la posizione in tempo reale di sua moglie Tetiena. Una T sul telefonino che si muoveva verso uno di quei corridoi umanitari di cui tanto si parla in questi giorni. «Avevamo studiato il piano di evacuazione, seguivo i suoi spostamenti su Google. A un certo punto la T è scomparsa, c’era poco campo ed è riapparsa all’ospedale N.7». Poi ha letto un tweet - un mortaio aveva colpito le persone sul ponte - poi ha visto la foto. Poi ha urlato. Un unico pensiero: vederli un’ultima volta, dare loro una sepoltura degna.
Ora: Donestk è sud est dell’Ucraina. Non puoi uscire da lì senza l’ok dei russi, gli stessi che gli hanno ammazzato la famiglia. Ai vari check point faceva vedere la foto: «Li avete uccisi voi». La reazione, sempre la stessa: gelida, distante. La guerra porta via tutto. Per arrivare a Irpin, cioè a Kiev, Serhiy è dovuto andare in autobus a Mosca, poi in aereo a Kalilingrad, in macchina al confine tra la Polonia e l’Ucraina e poi a Leopoli e da lì a Irpin. Che, per rendere l’idea dell’assurdità, è come dire che per arrivare a Milano da Roma devi passare da Monaco di Baviera. All’inizio del viaggio sapeva che la figlia Alisa e il grande Mikita erano morti subito ma sperava che la moglie fosse viva. Era l’unico motivo per cui non impazziva. Non era così. Arrivato lì è stato tre giorni in fila all’obitorio. Tre giorni. In fila. Alla fine ha chiesto ai volontari di portargli il cadavere di sua moglie per sbloccare il suo iPhone. Conteneva le foto della sua famiglia e le voleva. Ha preso il pollice freddo di Tetiana, l’ha appoggiato sullo schermo però non si è sbloccato: funziona solo con le persone vive. Ecco, questa immagine. Racconta ogni cosa. È potentissima.
Ha sepolto tutti in un villaggio a sud della capitale. Adesso vuole vendetta, vuole arruolarsi nelle Forze di difesa territoriale. Vuole difendere il suo popolo come non ha fatto con la sua famiglia. Un senso di colpa che gli resterà dentro. L’ultima volta che ha sentito sua figlia di 9 anni, lei era terrorizzata dal rumore delle bombe. Le ha promesso che tutto sarebbe finito presto, si erano separati perché era convinto che i russi avrebbero combattuto solo nel Donbass. Se stiamo imparando qualcosa in quesi tempi bui è che l’improbabile può accadere davvero. Della sua famiglia restano solo due valigie sporche di sangue. La guerra porta via tutto, tranne la guerra stessa. Quella rimane. Per ora, per fortuna, è ancora distante dalla nostra quotidianità e speriamo lo resti per sempre. Però, almeno un po’, ai ti amo detti ogni mattina, quando stiamo con i nostri figli, o amici, o persone a cui vogliamo bene, almeno un po’ alla storia di Serhiy pensiamoci. Almeno un po’.