Che sta succedendo, nel mondo dell’intimo e della moda mare femminile? Ogni consuetudine e ogni canone estetico si stanno ribaltando. Dopo Victoria’s Secret (che ha detto addio ai suoi angeli per lasciare spazio a un “collettivo” politicamente corretto), un altro baluardo della bellezza a pelle quasi completamente scoperta ha avuto un netto e forse fatale cedimento: nella sfilata in costume da bagno di Sports Illustrated Swimsuit a Miami, infatti, si è visto letteralmente di tutto, comprese donne in evidente sovrappeso o comunque fuori forma (oltre a una 57enne incanutita di bassissima statura che però, va detto, si è difesa piuttosto bene). Come se in nome dell’inclusività e della cosiddetta body positivity a ogni costo si dovesse neutralizzare l’effetto del passaggio di un corpo quasi perfetto con quello di uno caratterizzato da ciccia e cellulite. Come se fare la modella fosse un diritto umano universale (assisteremo anche a spettacoli di panzoni in slip o gli uomini invece devono per forza essere belli?).
Attendiamo (per interesse puramente professionale) il consueto numero annuale di Sports Illustrated dedicato alle ragazze in costume, la cui uscita è prevista per il 20 luglio, per capire se almeno quello, come preannunciato, continuerà a essere “bollente” (secondo indiscrezioni uscite sulla stampa americana, in copertina tuttavia potrebbe esserci Megan Thee Stallion, rapper dalle forme strabordanti che senza particolare tema di smentita potremmo a sua volta collocare nella categoria cosiddetta “curvy”).
All’altro angolo troviamo nientemeno che Kate Moss, icona di bellezza (e di – a volte eccessiva – magrezza). Kate Moss che, nonostante i 47 anni di età, si presenta in forma invidiabile. Ma all’altro angolo la troviamo inspiegabilmente con addosso dei mutandoni contenitivi: l’ex volto e corpo delle pubblicità di Calvin Klein degli anni Novanta è divenuta ora testimonial di Skims, il marchio di Kim Kardashian che fa guaine modellanti e intimo comodo. Intimo che su Kate Moss sta quasi bene, ma solo perché Kate Moss è Kate Moss.
Come si è arrivati a questo punto? Perché dobbiamo fingere che tutte siano un bel vedere in costume da bagno? Perché devono far credere alle donne che strizzandosi in capi intimi modellanti o indossando mutandoni della nonna potranno essere come Kate Moss? I marchi possono provarle tutte per posizionarsi dalla parte giusta e virtuosa della storia dell’umanità (leggi “per non perdere quote di mercato”), cavalcando la tossica e insensata ideologia del “sii te stesso” e del “perché tu vali”, ma si dimenticano di un piccolo dettaglio: le regole dell’attrazione non sono politicamente corrette e alcuni di noi possiedono ancora il dono della vista.