Plauso, un altro, all'uomo Cesare Prandelli. Si era già fermato una volta, per la malattia della moglie, nel 2004. Un passo indietro, disse, per dedicarmi alla famiglia. Allora era l'allenatore della Roma e purtroppo tre anni dopo la moglie morì. Adesso, da mister della Fiorentina, ne fa un altro, inaspettato. Con una lettera che non lascia spazio a tanti dubbi. «In questo momento della mia vita mi trovo in un assurdo disagio che non mi permette di essere ciò che sono» ha scritto. «Sono stato cieco davanti ai primi segnali che qualcosa non andava, qualcosa non era esattamente al suo posto dentro di me». Non la cita, Cesare Prandelli, ma sembra proprio parlare di depressione.
Tanto che continua: «Mai vorrei che il mio disagio fosse percepito e condizionasse le prestazioni della squadra. In questi mesi è cresciuta dentro di me un’ombra che ha cambiato anche il mio modo di vedere le cose». Conclude così: «Probabilmente questo mondo di cui ho fatto parte per tutta la mia vita, non fa più per me e non mi ci riconosco più. Sicuramente sarò cambiato io e il mondo va più veloce di quanto pensassi. Per questo credo che adesso sia arrivato il momento di non farmi più trascinare da questa velocità e di fermarmi per ritrovare chi veramente sono».
Ammettere le proprie debolezze non deve mai essere un problema. Ammetterle è un atto di forza. Affrontare il disagio, raccontarlo, è sinonimo di coraggio, è necessario per cominciare a superare qualcosa che non va bene. Quindi un altro applauso per quest'uomo. Cesare Prandelli, che per la seconda volta mette il calcio al secondo posto. Mostrare la propria sensibilità è da veri uomini e da vere donne. Da veri essere umani.