E’ stata una settimana emotivamente appagante, abbastanza libera dal politicamente corretto e in controtendenza rispetto alla piega che pure il motorsport su due ruote stava prendendo. Per carità, nessuno vuole il sangue, ma i sanguigni sì. Quelli sono indispensabili per non diventare come la Formula1, che ormai è una roba fatta da meravigliose e sofisticatissime auto con dentro omini (omini proprio) tutti uguali, nei modi, nello stile, nei comportamenti. E pure nelle interviste. Il pilota di moto è stato diverso sempre e diverso deve mantenersi. Il pilota, in qualche modo, ha da puzza’! Con buona pace dei benpensanti.
Altrimenti non c’è gusto e si perde pure il senso di quelle vite a 300 km/h che ci hanno fatto godere fino ad oggi. L’entrata dura, il fallo di reazione, la sfuriata a sangue caldo servono. Certo, non bisogna esagerare, ma servono e dimostrano che la passione, almeno sulle due ruote, è ancora l’ingrediente principale. Lo so, qualcuno starà già storcendo il naso, perché ormai non si può dire più niente e viviamo in un modo in cui certi pensieri conviene tenerseli piuttosto che esprimerli. Ma me ne frego e giro la domanda: da quanto tempo mancava un attacco e risposta serrato come quello tra Marco Lucchinelli e Valentino Rossi? Ci metto pure loro nella settimana del “bentornate scazzottate”, perché, al di là dei contenuti, non se le sono mandate a dire: non lo ha fatto Lucchinelli, con la sua uscita, e non lo ha fatto nemmeno Valentino, con la sua risposta con tanto di parolaccia. Passando, poi, all’azione vera e propria: da quanto tempo non vedevamo due piloti prendersi a spinte come hanno fatto Alcoba e McPhee in Moto3? E che cos’è che davvero ricorderemo del Gran Premio del Qatar della MotoGP 2021? No, non ricorderemo la vittoria di Fabio Quartararo e nemmeno una corsa in cui i piloti hanno dovuto fare a chi andava più piano per non finire senza gomme. Non ricorderemo la domenica terribile di Valentino Rossi, costretto a lottare con gli ultimi, e neanche il forfait di Marc Marquez, così come non ricorderemo il mezzo miracolo che stava riuscendo a Jorge Martin. Quando, tra qualche anno, penseremo a questa gara, il ricordo immediato sarà, per tutti, quello delle sportellate tra Joan Mir e Jack Miller. Un paio di entrate dure, sanguigne, del primo, e la risposta al limite dell’antisportività del secondo. E probabilmente ricorderemo pure McPhee che, in piena crisi d’adrenalina e paura - dopo essersi visto una moto volare in testa - ha tentato di aggredire fisicamente il collega Alcoba in Moto3. Poesia da vecchio motociclismo.
Il carattere, lo sbotto di umanità, fosse anche in espressione negativa come per gli episodi in questione, saranno sempre il solo sale delle corse in moto. E la vena che si attappa sarà sempre il segnale che prima degli ingegneri, prima delle gallerie del vento, degli inventori di pneumatici a tempo determinato e dei personal trainer verrà la passione. Quella che ti fa rischiare la pelle tra i cordoli e che, proprio per la potenza della posta in gioco (che non è vincere o perdere un trofeo) ti porta ad avere reazioni esagerate. Certo, se qualcuno si fosse fatto male probabilmente avremmo fatto un ragionamento diverso, ma nessuno si è fatto male e i ragionamenti diversi possiamo tranquillamente rimandarli (sperando che non servano). McPhee e Alcoba sono già stati punti, 1000 Euro di multa e partenza dalla pitlane per la prossima gara; Mir e Miller ancora no, ma qualcosa forse accadrà. Basta così: lo sanno loro, lo sappiamo noi e le prediche ulteriori dei sacerdoti del buonismo imperante fanno vomitare. Che siano benedette le sportellate, le entrate dure, i chiarimenti e i vaffa da sotto la visiera a 200 km/h e pure quelli a muso duro sul sabbione o davanti al box. Perché il giorno che tutto questo non ci sarà più, sarà anche il giorno in cui il motociclismo potrà fare a meno della rara umanità che fino ad oggi lo ha reso così pieno di storie indimenticabili.