Fedez, dopo essersi schierato più volte contro l’omotransfobia, è stato attaccato da una drag queen (Paola Penelope), che ha denunciato di essere stata vittima di discriminazione assieme a una collega durante le riprese del video di “Mille”, brano del marito di Chiara Ferragni con Achille Lauro e Orietta Berti. Partendo da questo episodio abbiamo discusso sul tema della transessualità (attenzione, c’è differenza tra drag queen e donne trans) con Carly Tommasini, attivista, truccatrice e modella che con lo stesso Fedez si è a sua volta rapportata professionalmente.
Carly, cosa pensi di questa polemica?
“Se vieni chiamata per fare la comparsa o anche la modella, sei l’ultima ruota del carro. Purtroppo è «normale» che la gente ti tratti un po’ a pesci in faccia. Fa parte del lavoro. Non credo sia stato fatto per discriminare qualcuno, dunque a meno di una prova evidente quelle di questa denuncia social mi paiono parole al vento. Cerco di essere empatica, ma non concepisco l’attacco a Fedez, che non era nemmeno sul set e che dubito abbia scelto direttamente ogni collaboratore, considerando poi che le riprese non erano in capo a lui, ma a Sony. Con me è stato gentilissimo e professionale. Poi anch’io se mi avessero chiamata «la trans» mi sarei risentita”.
Possiamo dire che in ogni caso esistono discriminazioni peggiori?
“Assolutamente. Il problema è che il vaso del vittimismo di una persona si riempie di goccia in goccia. Un giorno hai una microaggressione, il giorno dopo hai un’aggressione più chiara, poi ti danno del maschio senza accorgersene: arrivi a un certo punto in cui sei satura. Io nella mia vita ho subito anche delle aggressioni molto più chiare, cattive e pericolose che mi hanno fatto relativizzare quelle più piccole. Però è tutto molto soggettivo. Dipende da quanto tu vieni percepita come donna nel mondo. Io per quanto sia un mezzo grattacielo passo molto spesso da donna, anche se quando capita che qualcuno si chiede se io sia un uomo cado per terra. Ma se uno non lo fa con l’intenzione di ferirti non puoi arrabbiarti. Ciò che mi ha colpito dalla vicenda raccontata in quel post però è che c’è ancora molta ignoranza sulla differenza tra drag queen e trans. Essere drag non è un’identità di genere, ma una forma d’arte. Ed essere trans non è vestirsi da donna per tre ore e truccarsi. È un percorso mentale e psicologico, del tuo corpo e della percezione 24 ore su 24 della tua vita”.
Hai detto però che anche tu, se ti avessero chiamato “la trans”, ti saresti risentita. Perché?
“Essere trans è solo un aspetto di me. Io sono prima di tutto una donna. Una donna trans, ma la mia transessualità non fa di me la donna che sono. Io sono una donna transessuale, ma non sono «la trans». Ridurre l’identità della donna alla transizione è riduttivo e un po’ offensivo. Sarebbe come riferirsi a un uomo gay come «il gay». Ma se fosse successo a me sul set non è che avrei fatto un post o me la sarei presa con Fedez che neanche c’era. Avrei preso i soldi per il lavoro e se proprio li avrei mandati affanculo, ma sollevare un polverone del genere non ha senso”.
Passando a questioni più sostanziali, cosa manca ancora dal punto di vista dei diritti per la comunità trans?
“Senz’altro il ddl Zan va approvato al più presto, punto. Se una persona appartenente a una minoranza che è attaccata per una sua caratteristica, questa è una cosa dannosa per la società e quella persona va tutelata. Esiste già ed è utile una legge contro la xenofobia, non vedo perché non ci possa essere una legge che tuteli le differenze di genere o di orientamento sessuale. Come urlare “negro di merda” a qualcuno è una discriminazione, perché non deve esserlo urlare a me “trans di merda”, offendermi in quanto donna transessuale, sputarmi o passare alla violenza fisica?”
Gli insulti e la violenza però sono già vietati e puniti. Si tratterebbe solo di introdurre delle aggravanti.
“Come c’è giustamente un’aggravante per chi picchia e uccide un nero in quanto nero, perché non ci dovrebbe essere un’aggravante per motivi transfobici? La giustizia si fa quando si attua un bilanciamento sociale delle cose. Il pregiudizio e l’ignoranza che rischiano di farsi sistema vanno combattuti con le pene, oltre che con l’educazione. Come nelle scuole è giusto educare alla differenza di etnia, è giusto educare alla differenza di genere. Non è che andando nelle scuole a insegnare l’educazione il giorno dopo ti ritrovi con metà della classe omosessuale. Non funziona così. Si tratta solo di favorire la formazione di una società più sana”.
In realtà gli episodi di violenza legati all’omotransfobia registrati ufficialmente sembrano essere abbastanza pochi. Come lo interpreti?
“A quelli vanno aggiunti tutti quelli episodi in cui le vittime non denunciano nulla”.
Che ne pensi della polemica sulla famigerata educazione gender nelle scuole?
“Si gioca sulle parole. Io non dico che si debba andare nelle scuole a dire che si può essere venti cose nello stesso momento. Si va a insegnare che oltre alla famiglia etero esiste anche la famiglia omogenitoriale, che ha le stesse capacità educative e di affetto di quella etero. Integrare anche le identità di genere, quindi anche l’identità trans, nell’educazione sessuale non vuol dire insegnare ai bambini che se metti la gonna diventi donna, ma che se sentono di volersi esprimere così è giusto che lo facciano. Io non sono diventata donna perché qualcuno mi ha fatto mettere la gonna: è la percezione della mia persona che momento dopo momento si è manifestata mentre crescevo. Ma ci sono voluti anni di depressione e di sofferenza in cui io non avevo una rappresentazione. Se mentre ero depressa grave a 13 anni mi fossi trovata a scuola un’educazione sessuale che mi parlava di identità transessuale, mi sarei sentita diversamente, mi sarei sentita rappresentata. Non si tratta di andare a indottrinare, ma di andare a dire che bisogna sentirsi liberi e non bisogna discriminare qualcuno per come si sente”.
Efe Bal si è detta d’accordo con la legge di Orban che sostanzialmente proibisce la propaganda omosessuale. Come commenti?
“Perché bisognerebbe prendere in considerazione quello che dice Efe Bal? È la figura più odiata dalla comunità trans perché quello che dice non ha un minimo di fondamento su nulla. Nessuna donna trans parla come lei del proprio corpo e peraltro così facendo non si fa che alimentare lo stereotipo delle donne trans come ipersessualizzate e per forza di cose dedite alla prostituzione. La soluzione poi al posto della «propaganda» quale sarebbe? Chiudersi in casa e aspettare di avere 18 anni per iniziare a essere quella che si vuole essere? Il calo dei suicidi avviene quando le persone transessuali vengono ascoltate e tutelate, non quando vengono chiuse in una camera fino ai 20 anni per poi decidere cosa fare della loro vita”.
Che ne pensi della diatriba sui bagni?
“Io farei più scalpore entrando nel bagno dei maschi che non in quello delle femmine. Io entro in quello delle femmine, mi rifaccio il trucco e nessuno si accorge di nulla. Queste cose avvengono già da una vita. Oggi qualcuno solleva il problema solo perché c’è il dibattito sulla questione transessuale. Non si è mai sentito peraltro di una donna trans che violenti qualcuno in un bagno. Peraltro poi spesso o quasi sempre sono le donne trans a sentirsi in difficoltà in un bagno, dunque si cambiano negli scompartimenti privati. È inoltre statisticamente comprovato che sono le donne transessuali a essere maggiormente vittime di molestie sessuali in situazioni in cui la propria identità viene riconosciuta e diventa bersaglio di violenza o addirittura di omicidio”.
E sulla questione delle donne trans negli sport femminili?
“Penso che si voglia diffondere la fake news della trans che negli sport di combattimento spacca il cranio a tutte. Invece dopo due anni di terapia ormonale la densità ossea e la conformazione muscolare cambiano e assomigliano tantissimo a quelle di una donna. Ogni donna poi di per sé ha caratteristiche diverse dalle altre, sia a livello muscolare che ormonale. Poi è chiaro che se una persona fa una transizione magari a 50 anni dopo aver vissuto tutto quel tempo con un corpo maschile, allora ci può effettivamente essere una grande differenza fisica. Ma quanti casi ci sono?”
È chiaro però che la struttura fisica di una donna trans può perlomeno comportare notevoli vantaggi di altezza o di stazza in sport in cui l’altezza e la stazza contano. O no?
“Non è l’altezza che ti rende forte in uno sport. Sono la dedizione e il talento. Io sono alta 1.87, ma ciò non mi rende più forte di mille altre donne. Sia nel basket che nella pallavolo per esempio ci sono giocatori bassi che riescono a emergere. In altri sport poi ci sono apposite categorie di peso. E non in tutti gli sport c’entra la fisicità”.
Il dibattito sul ddl Zan ha scatenato anche scontri interni al perimetro degli stessi beneficiari della legge. Come si spiega il recente attacco vandalico firmato “Rabbia trans” alla sede nazionale di ArciLesbica?
“Qui parliamo di una risposta, comunque esagerata e che non andava fatta, ma perché non parliamo dell’origine della cosa? Parliamo di “terf”, donne che escludono l’identità trans dal movimento femminista. Non si combatte il fuoco con il fuoco, ma nessuno si preoccupa della causa, ossia il movimento femminista radicale, che – conclude Tommasini – fa allarmismo su una base di ignoranza riguardo al mondo transessuale”.