Non ci sono solo le auto a immettere CO2 nell’atmosfera, ma anche delle aziende le cui emissioni fino ad ora non sono calcolate nell’agenda delle istituzioni. Si tratta dei big del web, come ha dimostrato una inchiesta del Corriere della sera, a cura di Domenico Affinito e Milena Gabanelli. Stiamo parlando dell’impatto delle grandi aziende occupate, a vario titolo, nel business legato a internet. In particolare, quelle dotate di enormi data center che contengono i dati di miliardi di persone. Ad oggi, queste attività assorbono l’1% della domanda globale di energia e i consumi si traducono in emissioni. Secondo quanto calcolato, un solo server è in grado di produrre in un anno da 1 a 5 tonnellate di CO2 equivalente, e ogni gigabyte scambiato su internet di emettere da 28 a 63 grammi di CO2. Anche perché questi grandi data center hanno bisogno di essere raffreddati e l’energia impiegata è pari al 20% del totale per farli funzionare. La particolarità, però, è che realtà come Google, Amazon, Apple, Ibm e Microsoft non le rendono pubbliche, quindi la battaglia contro la CO2 e il riscaldamento globale non può tenere conto delle loro emissioni. Tutto questo, nonostante le normative già glielo impongano: la ISO14064-1 e la ISO14067, certificano in maniera obiettiva l’impronta di carbonio di un’azienda o di un prodotto, però non sono obbligatorie, ma si basano sull’autocertificazione. La questione, poi, riguarda anche gli enti pubblici che dovrebbero scegliere il fornitore più sostenibile per la gestione dei suoi dati, ma non conoscendo le emissioni delle varie aziende non può compiere una decisione oggettiva in questo senso.
Fra tutte le big tech la più inquinante è Amazon. Come riporta il Corriere, nel 2020 ha emesso 54.659.000 di tonnellate di CO2 (però include anche il trasporto pacchi), seguono Samsung con 29 milioni, e Apple con 22 milioni. Tra le multinazionali 100% web la peggiore è Google con 12,5 milioni di tonnellate di CO2. Segue Microsoft con 11,5 milioni, in terza posizione Facebook con 4 milioni. Per ora, alle promesse non sono seguiti i fatti. Sembrano infatti non bastare i loro investimenti green in parchi fotovoltaici ed eolici e nella piantumazione di alberi per compensare il loro rilascio di emissioni nell’atmosfera.