È stata Greta Thunberg, come previsto, la protagonista dello Youth4Climate che a Milano ha dato il via alla tre giorni che porterà al Pre-Cop26, vertice che fa da traino alla Conferenza sul Clima delle Nazioni Unite (Cop26) di Glasgow a novembre. Il suo discorso appassionato conteneva anche un tweet perfetto per finire in tutti i titoli delle testate giornalistiche: “Tutto quello che sentiamo dai nostri cosiddetti leader, parole che sembrano altisonanti, per ora non hanno portato ad alcuna azione. Naturalmente ci serve un dialogo costruttivo, però sono 30 anni che sentiamo bla bla bla». E proprio questo bla bla bla sta risuonando da ieri attraverso i media. Greta, stando ai fatti, non va così lontana dal vero. Infatti, il ministro per la Transizione ecologica le ha risposto provando di nuovo a svicolare (i soliti bla bla bla): “Protestare è utile però oltre a quello bisogna trovare soluzioni. Fate che le vostre idee si trasformino in soluzioni per salvare il Pianeta”.
Sarebbe ingeneroso pensare che Cingolani non sappia che la battaglia di Greta è iniziata nel 2018, quando manifestando davanti al parlamento svedese ogni giorno durante l'orario scolastico con lo slogan Skolstrejk för klimatet (Sciopero della scuola per il clima) dando il là a un movimento mondiale. E che proprio allo Youth4Climate di Milano era stato invitato per recepire le proposte maturate in questi anni. E infatti, la 18enne svedese nel suo discorso è sembrata rispondergli direttamente: “Per farcela dobbiamo camminare fianco a fianco, altrimenti non ce la faremo. I cambiamenti climatici non sono solo una minaccia, ma anche un'opportunità per creare un pianeta più verde e più sano, del quale beneficeremmo tutti. Ma non è andando nella direzione di oggi che lo possiamo fare, non finché saranno i calcoli economici dei governi a regolare la quantità di emissioni che respiriamo». Il vero problema, però, sta negli accordi tra stati. E qui le cose si complicano. Come conferma Patricia Espinosa intervistata dal Corriere – da cinque anni segretaria esecutiva della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (Unfccc) “manca l’impegno del 40% degli Stati, in questo modo le emissioni saliranno ancora». Infatti, ha dichiarato candidamente che è previsto nel 2030 un aumento del 16% rispetto al 2010: “Al 31 luglio, 113 Paesi avevano presentato nuovi piani nazionali, manca ancora il 40% dei Paesi parte dell’accordo di Parigi. Dopo ne sono arrivati altri, non molti in verità. In base agli Ndc (Nationally determined contributions) ricevuti, sfortunatamente, lo scenario non indica una riduzione – ha proseguito Patricia Espinosa -, ma piuttosto un aumento di emissioni del 16% nel 2030 rispetto al 2010. Ci sono anche segnali incoraggianti: se analizziamo solo i 113 Paesi che hanno presentato piani aggiornati, si stima una riduzione del 12% al 2030. Tuttavia, siamo ancora lontani da ciò che serve al pianeta”.