Tutti guardano le vittorie, in pochi fanno caso al percorso. Sir Alex Ferguson ci ha messo 7 anni a vincere il primo campionato con il Manchester United. Sette. I risultati tutto e subito non esistono, sono rarissimi, eccezioni. Il tempo non lo fotti quasi mai. Al Man United ce n’è rimasto 27 di anni; lui domani ne compie 79. Ogni volta che sento parlare di Ferguson dietro e dentro ci trovo un insegnamento di vita. Ha allenato Cantona, Beckham, Cristiano Ronaldo, Ryan Giggs, Rooney. A Beckham gli ha tirato una scarpa in faccia tra il primo e il secondo tempo di una partita. Veniva chiamato l’asciugacapelli per le sue sfuriate negli spogliatoi. Non ha allenato Gazza Gascoigne, ma Gazza a rifiutare il Man United ha commesso il più grande errore della sua vita. Nessuno dovrebbe dire di no a Sir Alex Ferguson, uno dei più grandi allenatori e di tutti i tempi. Il Winston Churchill del calcio.
Scozzese, cresce nei cantieri navali di Glasgow col padre, da giocatore era un attaccante. «All’esordio un bastardo mi butta a terra e mi dà un morso. L’allenatore si infuriò con me perché non l’avevo morso a mia volta». Questo era il calcio una volta. In finale di Coppa nazionale sbaglia un rigore decisivo. Per punizione, le partite successive gioca con le giovanili. Prende la medaglia d’argento e la butta nella spazzatura. Per essere vincenti bisogna essere dei pessimi perdenti. Dirà: «Io voglio gente che non sappia accettare la sconfitta, che dalla rabbia non riesca a prendere sonno, che sia furiosa con se stessa per aver perso. Perché è questa la gente che nella partita successiva farà di tutto pur di non riprovare quel dolore». Dirà ancora: «Il mio lavoro è vincere ogni partita che devo disputare, tutto qua». E il suo lavoro, da allenatore, lo fa bene. Arriva all’Aberdeen, vince tanto, pure una Supercoppa europea. Lo chiama lo United. Per tutti adesso lo United è lo United, ma perché c'è stato lui. Prima di Ferguson era una squadra di scappati di casa che viveva sui miti Bobby Charlton e George Best, un tempo passato.
Il primo discorso nello spogliatoio è di nove parole. Questo: «Il fatto è semplice: dobbiamo cominciare a raccogliere risultati». Anno uno, undicesimi. Anno due, secondi, ma sembra un caso. Anno tre, ancora undicesimi. Ogni 45 minuti di partita mastica un pacchetto da 14 di chewing gum. Sugli spalti dell'Old Trafford lo offendono. Se aveva già scoperto che per vincere ci vuole carisma, adesso si rende conto che ce ne vuole molto di più per convincere tutti che è possibile farlo continuando a perdere. Poi qualcosa comincia a cambiare. In pochi fanno caso al percorso, alla perseveranza, al lavoro. A quanto sia pesante costruire ogni giorno una mentalità vincente, a quanti tasselli ci vogliono, a quanto non bisogna mai smettere di crederci, a quanta umiltà e costanza siano necessarie. Per vincere bisogna essere pazienti. Per vincere bisogna sentirsi soli. Nel 1989 conquista la FA CUP, la nostra coppa Italia. Nel 1990 la Coppa delle Coppe, trofeo internazionale. Nel 1991 la Supercoppa europea. Nel 1992 la coppa di Lega. E nel 1993 il primo campionato inglese. Da qui al 2013 ne vincerà altre dodici, più due Champions League, una coppa Intercontinentale e una coppa del mondo di club.
Dopo il suo ritiro hanno scritto il suo nome sulla tribuna, proprio davanti alla sua panchina: il suo successore sarà costretto a guardarla ogni volta e a misurarsi con un gigante. Non è un caso che dopo Ferguson lo United non è stato più lo United. Eric Cantona, uno più grandi, dei più pazzi e quindi dei più saggi giocatori mai esistiti, ha detto: «Ci saranno altri Cantona, Scholes, Beckham, Giggs, Cristiano Ronaldo. Ma non ci potrà mai essere un altro Sir Alex Ferguson». No, impossibile.
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