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Confessioni di una influencer:
quello che si fa ma non si dice

  • di Redazione MOW Redazione MOW

8 dicembre 2020

Confessioni di una influencer: quello che si fa ma non si dice
Margaret Dallospedale ha oltre 200mila follower e con il blog Indian Savage fa parte della prima generazione di influencer. Dopo le polemiche per le feste negli hotel durante l’emergenza Covid di alcune sue colleghe ci ha stilato un vademecum di tutti gli errori più comuni della categoria

di Redazione MOW Redazione MOW

Dopo la bufera mediatica che le ha investite nei giorni scorsi mentre facevano party in hotel durante l'emergenza Covid, definita dai giornali come “la nuova moda delle influencer a Milano”, nell’ambiente ci si comincia a porre più di una domanda su quello che a tutti gli effetti è un lavoro e, come tale, dovrebbe forse iniziare a seguire qualche regola, prima di tutto di buon senso.

Per capire qual è la situazione odierna e cosa non funziona, abbiamo chiesto a Margaret Dallospedale che fa parte della prima generazione di “blogger” – il suo è Indian Savage -, poi convertite in influencer (anche se non ama definirsi tale), la quale ha vissuto l’evoluzione di un mestiere ambitissimo e diffusissimo, ma che non sempre è basato su solide competenze e un aggiornamento costante, oltre che al rispetto delle regole di civile convivenza, e quindi spesso rischia di portare discredito a tutta una categoria, oltre che grandi illusioni più che mirabolanti guadagni in chi lo esercita.

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Un post condiviso da Margaret Dallospedale (Maggie) (@margaretdallospedale)

Ecco il suo vademecum degli errori più comuni di chi fa l’influencer oggi: “Il problema principale che esiste nel mondo degli influencer è che spesso questi ‘personaggi’ non influenzano neppure gli amici – spiega Margaret – e i motivi sono vari: follower non reali, like non veri, collaborazioni inventate e tanto altro. Si potrebbero scrivere delle vere tesi su questo tema. E tra i pochi veri influencer invece c’è spesso un problema di atteggiamento, comportamento e una mancanza di valori sociali”.

Intanto proviamo a sintetizzarli in dieci punti:

1. Non si rendono conto della grande responsabilità che hanno, quando pubblicano stories, video e foto. Non pensano mai ai loro follower come persone vere, reali, ma solo semplici numeri. Sarebbe importante fermarsi a pensare prima di postare, che le nostre foto le può vedere un adolescente così come una persona sensibile.

2. Non postano mai per comunicare un messaggio o qualcosa che hanno imparato, ma solo per far vedere che hanno una vita piena di benefit di lusso. Ad esempio, mi capita spesso di sentire “adesso posto l’ultima borsa che ho acquistato”.  

3. Si impegnano a mostrare una vita troppo falsa e non reale, creata ad hoc per far pensare ai giovani che quella è la vita che devono aspirare ad avere.

4. Ritoccano le foto in modo quasi ossessivo, arrivando a trasformare il loro viso e il loro corpo in monumenti surreali. Spesso mi capita di non riconoscere le mie colleghe dal vivo.

5. Non conoscono il significato della parola umiltà e di quanto sia importante, soprattutto per le più “vecchie” come me, trasmettere un messaggio di uguaglianza. Infatti, 100mila follower non ti fanno essere superiore a nessuno. Sono convinti che tutto ciò che dicono (perché hanno tanti follower) sia giusto (quasi legge) e non vogliono accettare che possano anche sbagliare.

6. Non si fermano mai a leggere i messaggi dei loro follower. Se esistono, ripeto quei pochi veri influencer, è perché qualcuno usa il suo tempo prezioso per leggerli e guardarli. Non hanno rispetto per il tempo che i follower investono nel leggerli e seguirli.

7. Molti usano la strategia del vittimismo per farsi seguire, esagerando problematiche della vita che tutti abbiamo. Esiste una tendenza esagerata, che osservo negli ultimi anni, di raccontare “disgrazie” per farsi notare.

8. Sono pronti a pubblicizzare anche i figli minorenni per pochi soldi. Qui si potrebbe parlare per ore di certe “mamme blogger” che sponsorizzano qualsiasi cosa anche sui neonati di pochi giorni.

9. Non vogliono informarsi e studiare. Copiano tutto senza chiedersi perché quel “qualcosa” è diventato di tendenza.

10. Non c’è una diversificazione, ormai sono per la stragrande maggioranza “Tuttologi” (basta guadagnare).

 

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