“Io provo a guidare sempre al massimo, ma se non ti senti bene non puoi dare tutto quello che hai” e poi “Dopo Mandalika mi sono detto che faccio quello che posso” e ancora “E’ vero che la moto deve migliorare, ma devo migliorare anche io”. E, alla fine, “Non devo fare niente di più di ciò che mi fa sentire assolutamente al sicuro”.
Se qualcuno non molti mesi fa ci avesse detto che queste parole sarebbero mai potute uscire dalla bocca di Marc Marquez lo avremmo preso per matto. Matto e pure totalmente ignorante in fatto di motorsport. Invece, dopo quel maledetto giorno di luglio del 2020 a Jerez, Marc Marquez è tornato sul circuito che poteva costargli la carriera (e quindi anche la vita), con meno fuoco negli occhi, ma tanta più consapevolezza…che magari non brucia, ma scalda. E quelle parole le ha dette lui. Per davvero. Quasi a dimostrare che le cose che accadono, quando sono forti, segnano in ogni caso una rivoluzione. Pochi preamboli per raccontare un uomo differente, un pilota più accorto e, probabilmente, un “benvenuta paura” dentro la testa di un ragazzo che invece, prima, dentro la testa aveva solo l’ossessione per la vittoria.
Titoli e commenti questa mattina non si contano: “Marquez s’è arreso”, “Marquez sconfitto”, “Marquez debole”, ma anche a cercare con la lente non sta scritto da nessuna parte che non sia ancora il più forte. Perché mentre Marc Marquez ha avuto il coraggio di mostrarsi più umano, il coraggio di sentenziare che è finito non può averlo nessuno che abbia un minimo di sale in zucca. Perché non è così. Perché non è vero. Giacomo Agostini, nell’intervista fatta da MOW qualche giorno fa, è stato molto chiaro: “Ho visto un Marquez diverso, ma non è detto che non sia un Marquez migliore. Quanto alla moto, invece, deve solo avere il tempo di poterla sentire sua”. Non lo ha detto l’ultimo arrivato, ma quello che di vittorie se ne intende più di tutti. E pure di calcoli e ragionamenti da portarsi in sella insieme al demone della velocità e al gusto per la competizione.
A Jerez, durante le libere di ieri, il nuovo Marquez è caduto due volte in poche centinaia di metri e poche decine di secondi, mentre andava pianissimo la prima volta e mentre riportava la moto nel box la seconda volta. Come uno normale, come uno che è debole e va giù. Come un essere umano, insomma, proprio lui che umano non ci è sembrato mai. Né quando “ammazzava” tutti in pista, né quando tornava a correre dopo recuperi miracolosi e nemmeno quando architettava piani malefici per sabotare la vittoria di qualcun altro. Adesso, invece, dietro a quel 93 c’è un uomo e dentro quell’uomo c’è una consapevolezza differente. Una consapevolezza che non andrà mai d’accordo con le certezze di chi ha sentenze sempre in tasca e oggi si dice pronto a scommettere che Marc Marquez non vincerà più. Perché lo farà ancora, perché è ancora il più forte e perché proprio adesso, nei disastri e nelle sfighe di due anni terribili per lui, ha trovato una maturità che avrebbe potuto paralizzarlo e che, invece, lo ha portato ancora là: in mezzo agli altri, a giocarsela con gli altri, a cercare una resurrezione che arriverà a breve e che metterà ancora una volta tutti a tacere. Arreso e (mai) sconfitto, debole e umano, come i più forti, come chi vince veramente senza contare più solo sui doni della natura.
E’ solo questione di tempo e di moto da mettere a posto, è solo questione di farsi ascoltare e ritrovare prima ancora della velocità, della frenata, della stabilità e della percorrenza, il modo di convincere Honda a credere in lui. E tra quelle frasi di ieri che oggi riempiono i titoli di tutti i giornali, forse ne è sfuggita una che era la più importante: “Non lavorerò a questa moto per renderla guidabile a tutti, ma mi concentrerò sui miei bisogni e su come farla diventare perfetta per me”. E’ la vera chiave, è il senso del nuovo Marc Marquez, è la certezza che anche se hai dato tanto ci sarà sempre chi è pronto a liquidarti. E’ paura anche questa, ma è pure voglia di andare avanti comunque: è umanità. L’umanità dei più forti.