Sono sul treno e sto andando a perdere del tempo e dei soldi a Roma. Ci vado per parlare di un progetto con una persona losca di cui mi sono già fatto un’idea. Voglio una conferma però, dunque ci vado. Affianco a me c’è il solito maleducato, non parla al telefono: urla. Di fronte una signora che lavora al computer, nei quattro sedili affianco una famigliola coreana.
Io prendo il telefono e apro Instagram. Generalmente le prime stories che mi propone l’algoritmo sono quelle dei miei familiari e amici, poi arriva qualche personaggio famoso. Ed eccolo, puntualissimo, “IL BOX DELLE DOMANDE”. Un ragazzo che seguo, perché è molto bravo con i video, è in cerca di attenzioni quindi e chiede ai suoi follower: “Fammi una domanda”. Che caz*o di domanda ti devo fare? Ma soprattutto perché ti devo fare una domanda? Fossi in lui esigerei risposte, non domande. Lo skippo in mezzo secondo, lo apprezzo comunque quindi non smetto di seguirlo. La storia successiva invece riguarda un vecchio collega dell’università che inquadra un piatto di pasta, ricordo che anche dieci anni fa era appassionato di cucina. Sembra una gamberetti e zucchine, forse c’è dell’altro. Quello che cattura la mia attenzione però è la didascalia che accompagna la foto “Se è p*rno tolgo”. Skippo, vado avanti. C’è una tipa con cui sono uscito un po’ di volte, estremamente bella ma altrettanto infantile. È in vacanza a Ibiza. È da una settimana che mi sta gonfiando i co***oni con le storie di Ibiza. Oggi ne pubblica una della sua mano che tiene un cocktail, sullo sfondo il mare cristallino, una canzone virale che usano tutti di cui non ricordo il nome e un po’ di parole che mi danno fastidio. Scrive “78 di agosto”. Skippo, vado avanti. A seguire ecco una ragazza con cui non ho mai spartito niente: inquadra la televisione, si intravedono due paia di piedi. I suoi e quelli del suo ragazzo, immagino. “La serata perfetta non esist…” mi vengono i brividi. Skippo.
I social ci stanno omologando così tanto anche nella comunicazione. Ormai parliamo usando formule verbali, parole e frasi che sembrano meme, dritti sparati verso un appiattimento del pensiero. Un giorno ero al tavolo con dei ragazzi più giovani, racconto una storia ad uno di loro e lui mi risponde “MIO PADRE”. E io “Come scusa?” e lui “tu sei mio padre”. Gli rispondo che non ne avevo idea.
Andiamo avanti. Ho un cuginetto di 15 anni che durante i pranzi di famiglia comunica solo a suon di “TOP” e “BRO”. Anche a me mi chiama “BRO”, ma io non riesco a ricambiare, mi sentirei un fesso a dare del “BRO” a qualcuno. Come quei sessantenni che continuano ad uscire la sera vestiti eleganti, tenendo le sneakers ai piedi per sentirsi ancora giovani. Io non sono vecchio ma non riesco a dare del Bro. La comunicazione sta diventando così povera, così priva di sentimenti. “ADORO”; “MORTO”; “VOLO”.
Ma voli dove di preciso?? Dio santo.
Riprendo a guardare le vite degli altri su Instagram. Ed eccola là, l’amico vanesio che normalmente si vergogna a pubblicare il selfie sui social ed ha appena trovato un’escamotage. Prima pubblica una foto dove fa una smorfia e poi una foto dove è uscito bene e sa che attirerà l’attenzione di qualcuna. “INSTAGRAM VS REALTÀ”, ciò che conta è la seconda foto ovviamente, quella in posa.
Perché mi infastidisce così tanto tutto questo?
Il signore davanti a me ha finalmente finito di parlare al telefono. Incrocia lo sguardo della signora seduta davanti ed esclama “Mi scusi, stavo parlando con il Presidente Israeliano, cercavo di bloccare la guerra”.
La signora sorride, chiude il computer, lo guarda e risponde “MORTA”.