Si moltiplicano le polemiche relative alle coperture economiche previste dal Decreto Ristori, integrato poi dal più recente Decreto Ristori Bis. Oltre a rimborsi in alcuni casi considerati ancora inadeguati, a sollevare dubbi e proteste sono i criteri che hanno condotto l’esecutivo a categorizzare le attività aventi diritto e le rispettive percentuali.
Detto in soldoni? Stando a molteplici associazioni di categoria, in sostanza, ci si trova in uno scenario che prevede il 200% di contributo ai sexy shop ma lascia completamente fuori artigiani della moda, agenzie turistiche e tour operator, mentre mette a disposizione contributi del tutto insufficienti per i tassisti.
Un’incongruenza che non sembra risolta neanche da aggiornamenti e integrazioni del più recente Decreto Ristori Bis; qui infatti si estende la lista di categorie con accesso ai contributi a fondo perduto, con percentuali superiori del 100% rispetto al primo contributo, e fino a un massimo del 200% rispetto quanto percepito in prima istanza. A regolare simili logiche sono i codici ATECO, vale a dire la nomenclatura delle attività economiche targata ISTAT.
Ma – evidenziano associazioni del calibro di Confesercenti, Confimprese, Confprofessioni e Federmep – la situazione continua ad essere incongruente e confusa, tale da includere agenzie di escort, sexy shop, agenzie di accompagnatrici e non realtà turistiche o attività commerciali legate a calzature, abbigliamento in pelle, pellicce, cappelli, ombrelli, guanti e cravatte.
Si legge su Il Giornale: «Persino le agenzie di escort riceveranno il contributo previsto dal decreto ristori bis. Non solo i sexy shop, quindi, ma anche le agenzie di accompagnatrici, equiparate, ai fini fiscali, alle agenzie matrimoniali»
Il decreto mette in conto ristori per 50 milioni di euro, “insufficienti” secondo molti, mentre per Matteo Salvini si tratta di un “ennesimo schiaffo a realtà fondamentali per il nostro Paese, pensiamo all’esclusione di agenzie turistiche e tour operator”.
Paradossalmente una parziale ammissione di errore è arrivata dallo stesso esecutivo: il relatore del primo decreto, Vincenzo Presutto del Movimento 5 stelle, ha spiegato che a un’asettica lista di categorie dovrebbe subentrare una più sensata “logica di filiera”, che garantirebbe un riconoscimento più ragionato delle attività aventi diritto.
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