Starbucks, il colosso internazionale del caffè che vanta 28.730 punti vendita in tutti e 5 i continenti, dal 2 luglio lancerà nella stragrande maggioranza dei suoi negozi in Usa (circa 12 mila) l’“Impossibile breakfast sandwich”, il primo panino interamente vegetale a comparire nel suo menù. La multinazionale di Seattle non è nuova all’inserimento di prodotti vegetali nella sua offerta: nel corso degli anni, grazie al crescente interesse dei consumatori, come alternativa al latte nei vari frappuccino sono state offerte alternative alla soia, al cocco, alla mandorla e all’avena. Questa però è la prima volta che su vassoi arriva un vero sostituto della ciccia.
L’Impossible Sandwich sarà costituito da formaggio cheddar invecchiato, uovo fritto allevato a terra (allevato ovviamente prima di essere fritto) e il pezzo forte: una “Impossible sausage” totalmente vegetale. Il tutto racchiuso da due rassicuranti fette di pane a ciabatta. Il nome Impossible deriva dall’azienda americana che dal 2011 produce carne, latticini e prodotti ittici con ingredienti a base vegetale brevettati, la Impossible Foods.
Leggo questa notizia su un sito di news statunitensi e subito sono roso dalla curiosità di provarlo. Premetto che conduco un’alimentazione il più possibile varia: mangio pesce, carne (non tantissima, se escludiamo il ragù che fa mia moglie, uno sporadico hamburger e l’occasionale petto di pollo invariabilmente cucinato seguendo la ricetta di Elisabetta Canalis), legumi, verdura e carboidrati (il mio tallone d’achille lauro). Nei confronti di una dieta vegetariana però non sono mai stato critico né, credo, vittima dei pregiudizi. Questo sin dai tempi dell’università (parliamo di 25 anni fa) quando incontrai per la prima volta una vegetariana vera. Era gentile, parlava con voce dimessa e mi sembrava tipo Sissy Spacek in Carrie Sguardo di Satana: bullizzata dai suoi amici carnivori e stanca di doversi giustificare ogni volta che, in pausa pranzo, invece del panino con la salamella, apriva il suo tapperware con l’insalata di tofu.
Comunque. Voglio banalmente provare l’Impossible Sandwich perché sono incuriosito dal nome del produttore. Inizio quindi a cercare info sul web riguardo a Impossibile Foods come un sedicenne a casa da solo davanti a YouPorn. Nata a Redwood City, in California, la compagnia è diventata in poco meno di nove anni leader in un mercato in fortissima espansione (quello dei cibi veg), grazie al lancio nel 2016 dell’Impossible Burger, il primo hamburger vegetale analogo a quello fatto di carne. Attenzione: qui non stiamo parlando di quegli hamburger di soia del supermercato che, peregrinando in zona banco surgelati alla ricerca di nuovi brividi organolettici, hai un giorno deciso di provare e al primo morso, masticando incessantemente quella che sembrava segatura bagnata, l’unica esperienza di gusto che hai maturato è stata una disperata nostalgia per la chianina. No, questo sembra un vero hamburger di carne. Solo senza carne. Vado su YouTube e guardo un paio di video demo: il burger vegetale è rosso, sugoso e morbido. Nel video, dei ragazzi mangiano l’Impossible Burger e restano sconvolti: “raga, sa di carne! Se lo fai assaggiare a qualcuno senza dirgli niente, penserà che è manzo”. E invece no, sono solo vegetali. Mi accorgo che nella mia bocca c’è stato un aumento della salivazione. Dove sta la fregatura? Penso subito a Soylent Green (in Italia: “2022: I Sopravvissuti”), un film del 1973 di fantascienza distopica dove il classico detective ficcanaso (il sempre legnoso Charlton Heston) scopre che il cibo principale dell’umanità, nel pianeta devastato da inquinamento e sovrappopolazione, sono gallette costituite da cadaveri. Ecco, qui no. Quelli di Impossible Burgers non sono un’agenzia governativa che vuole nascondere alle masse una terribile verità, e nemmeno degli speculatori cazzari tipo The Wolf Of Wall Street che puntano ad arricchirsi e a scappare nelle loro isole private prima di essere scoperti. O almeno non mi sembrano. Il suo fondatore e attuale CEO, Patrick Brown, è Professore Emerito di Biochimica all’Università di Stanford. Non esattamente una Vanna Marchi.
Lui e un team di neuroscenziati si sono fatti una semplice ma cruciale domanda: cosa rende la carne… carne? Su quali stimoli neurali bisogna agire perché il cervello dica “mmmm che buono” quando mangiamo un cibo e l’esperienza sia quella di quando mangiamo la carne… anche se stiamo mangiando piante? Per darsi una risposta questi cervelloni hanno scomposto e analizzato ogni molecola che compone un classico beef patty di manzo. Se vi sembra un lavoro già noioso cosi, pensate al fatto che sono trilioni. Dopo 5 anni di notti in bianco e bestemmie arriva la scoperta cruciale: la molecola principalmente responsabile del bouquet aromatico che il nostro cervello riconosce come carne si chiama Eme: ha lo stesso colore e sapore del sangue e pensa un po’ la figata, puoi estrarla dalla pianta di soia. La mescoliamo alle proteine del grano per ottenere la consistenza del manzo, a quelle della patata per ottenere quell’effetto “croccantezza” tipico della griglia, alla gomma di xantano (un carboidrato complesso) per tenere insieme il tutto, a fiocchi di olio di cocco che sulla griglia simulano il grasso della carne… ed ecco il nostro clone di hamburger vegetale! In pratica, se fai credere al cervello che quello che sta mangiando ha il sapore, l’odore, la consistenza della carne… il cervello dirà: è carne.
Qualcuno potrebbe maliziosamente chiedersi: ma tutto sto casino e migliaia di dollari investiti solo per dare ai vegetariani un’alternativa credibile al cheesburger? Ovviamente no. Patrick Brown ha dichiarato proprio l’altro ieri che l’industria della carne è a un bivio: gli allenamenti intensivi di carne sono una delle maggiori cause d’inquinamento, dice. Capi di bestiame in condizioni di cattività orrende, imbottiti di farmaci e lavoratori di queste filiere che iniziano a essere trattati quasi nello stesso modo, rendendo impossibili le misure di sicurezza in quest’epoca di Covid-19: per questo i recenti focolai in Germania (ma anche in Usa, Canada e Olanda) sono partiti dai macelli. Secondo Brown se la situazione non cambia, l’industria della carne per come la conosciamo potrebbe smettere di esistere tra 15 anni (quando l’ho letto ho pensato solo a una cosa: “come farò a mangiare ancora la gricia?”). Discorso diverso se imbocchiamo, almeno parzialmente, il sentiero tracciato da aziende come Impossible Foods: secondo i dati raccolti, solo nel 2018 le vendite di Impossible Burger hanno risparmiato l’equivalente di 81.000 tonnellate di emissioni di gas serra e 900 milioni di litri d’acqua. Questo perché, rispetto al manzo, produrre hamburger vegetali richiede il 96% di terra in meno, l’87% di acqua dolce in meno, e genera l’89% in meno di emissioni di gas serra. Il tutto ad un prezzo (sembra) poco più alto rispetto alla sua controparte animale.
Impossible Foods non è la sola compagnia ad essere partita per la conquista del pianeta Green, complice anche il vertiginoso aumento del prezzo della carne in USA causa Covid. Anche Beyond Meat (altro nome fighissimo che mi fa pensare a un horrorazzo anni ’80 di Stuart Gordon, From Beyond) sta macinando (ehm…) numeri da capogiro: a Febbraio i suoi vegan Chichen Nuggets, introdotti in uno dei templi del fast food proteico, la catena Kentucky Fried Chicken, hanno registrato numeri da capogiro.
Ora che Impossible Foods sta per sbarcare in Europa che succederà? Come reagirà l’industria della ciccia per uscire da una crisi sempre più nera? Davvero ci aspetta un futuro senza lardo di colonnata, costine e pancetta coppata? Questi sono interrogativi al di fuori della mia portata (assieme a “quando ti metti a dieta?”). Quello che so è che sono curioso di assaggiare questo Impossible Sandwich, se mai dovesse arrivare in Italia (un paese bellissimo ma da sempre fastidiosamente arroccato sul tradizionalismo più ortodosso quando si parla di cibo). Mentre faccio colazione con un caffè d’orzo (il caffè vero non fa bene al mio reflusso) e un cornetto alla crema penso che nel futuro raccontato vent’anni fa da libri, cinema e fumetti c’erano macchine volanti e pistole laser. Siamo nel 2020: le macchine volanti non ci sono, in compenso abbiamo hamburger vegetali credibili. L’unica cosa che mi sembra veramente impossible a questo punto, è dimagrire.