A me le cose piace dirle in caps lock, altrimenti, per quanto mi riguarda, tanto varrebbe tacere. Quindi, eccomi: SONO UNA DONNA E, malgrado il trend imperante, NON ODIO I MASCHI BIANCHI ETERO, non li considero il Nemico. Fosse per me, un maschio bianco etero potrebbe pure salutarmi per strada e non sentirei il sacro dovere civico di chiamare la Forestale. Io sono una donna, dicevo, e invece di odiare i maschi bianchi etero, ho realizzato di detestare le femministe da social. In particolare, le fakeministe. Le trovo potenzialmente più pericolose degli stessi molestatori serali o diurni che siano. L’ho capito, lucidamente, una di queste sere per via di un fatto. Se non siete già indignati, proseguite comodi la lettura. Sarà fastidiosa, a tratti brutale. Ma anche la cosa più onesta che leggerete oggi.
Il fatto, dunque, puro e semplice
“Levati dal ca**o che questa me la scopo io”. Era stata una serata tranquilla. Fino a quel momento. A mezz’ora dal (fu) coprifuoco, saluto il mio amico che deve tornare, con la metro, dal fidanzato e me ne rientro a casa, a piedi, ho davanti 10 minuti di strada in un bel quartiere di Milano, Isola, la mia unica preoccupazione è quale pezzo degli Zen Circus mettere in cuffia di sottofondo. Girato l’angolo, due tizi in elegante giacchetta beige mi si parano davanti. Uno dice all’altro: “Levati dal ca**o che questa me la scopo io”. Per tutta risposta, dal compare riceve un pugno in faccia, sangue gli sgorga immediatamente dal labbro. Io comincio a camminare veloce come se non fosse successo nulla, senza voltarmi. Dietro di me però sento i passi del bianchissimo Mike Tyson di Piazzale Lagosta. Stupidamente, avevo pensato che con quel gancio volesse in qualche modo difendermi e invece no, i due si stavano contendendo una preda: me. E, con quel cazzotto, lui aveva vinto.
Per cui mi segue, mi chiede, sprezzante, cosa ci facessi in giro da sola a quell’ora (23.30, nda), sostiene fosse evidente che stessi cercando ca**i, che mi avevano vista al locale e da lì insieme a quell’altro aveva ben pensato di aspettarmi all’angolo perché “una così è una facile”. Avrò scherzato troppo con la cameriera? Sono vestita da puttana? Facile? Io? Taccio, non rispondo, cammino, penso di citofonare a chiunque ma se mi fermo, se mi dovessi fermare davanti a un portone, gli darei modo di saltarmi addosso, no? Che questo tizio sia aggressivo l’ho appena visto coi miei occhi qualche secondo prima. Telefono a un amico che abita in zona, mi basterebbe entrare nell’atrio del suo palazzo, non mi risponde, metto via il cellulare perché non si sa mai che pure quello possa essere un trigger. E poi se chiamassi la polizia, in quanto tempo arriverebbe? Quante cose potrebbero succedermi mentre me ne starei ferma in attesa della volante? Inoltre, Mike non mi aveva fatto niente, si sarebbe dileguato appena avessi chiamato le forze dell’ordine e i carabinieri mi avrebbero trovata lì, per strada, a un soffio dal (fu) coprifuoco, prendendomi per pazza, magari. In giro non c’è un’anima, a parte qualche spaccino ai pali della luce che si fa i cazzi suoi. Realizzo di essere completamente sola, mi si spegne il cervello. Per inerzia, continuo a camminare. Va tutto bene, sto tornando a casa. Mancano pochi minuti. “Ma dai, solo una pompa mica voglio farti male, quante storie”. Non spiccico parola, tiro dritto il più velocemente possibile fino a che white Tyson mi grida di andarmene a fanculo e non sento più i suoi passi dietro di me. Arrivo a casa, non è successo nulla, va tutto bene.
Nel letto, apro Instagram per distrarmi. Un’attivista femminista, microinfluencer ma con numeri comunque importanti, una che “si spende ogni giorno” contro la violenza sulle donne e che posta un sacco di sponsorizzate per i brand che sostengono a suon di hashtag chiunque abbia una vagina o senta di averla, mi sta smarchettando un lipstick super gloss. Un’altra mi propone un’#adv per una crema solare che lei ha scelto di utilizzare perché il marchio che la produce sta sempre così attento alle tematiche femminili. Poi arriva il classico post di quella che “l’altro giorno uno su Ig mi ha detto che sono in sovrappeso, gli dedico questa carbonara che mi mangio in slip e reggiseno perché bisogna lottare contro la grassofobia”. Tu sì che sei una tosta, baby. Se avessi 13 anni invece di 35, saresti la queen delle medie. Davvero. Su tutte, vince la squinzia che, dildo (#suppliedby) alla mano, racconta nei dettagli la sua ultima scopata BDSM. Mi sale sulla collottola una sensazione ancora più orrenda della precedente e che però non riesco a definire a parole finché invece sì: dopo quello che (non) mi è successo quella sera, io non odio i maschi bianchi etero. Io detesto le femministe da social. In particolare, le fakeministe.
La precisazione è doverosa perché c’è chi fa un ottimo lavoro di sensibilizzazione e gliene rendo merito. Ma da quando il marketing è entrato a far parte del gioco (che non è assolutamente un gioco), le fakeministe non hanno perso l’occasione per scendere in campo a suon di roboanti K e le problematiche che esistono si sono ridotte ad hashtag, possibilità di guadagno e di farsi vedere per come questa nuova socialità ci vuole: filtrate, attiviste – dietro compenso -, surviror presso noi stesse e con la polemica rosa del giorno sulla bocca, quotidianamente. L’incessante (e, diciamolo pure, estenuante) polemica rosa del giorno, però, comporta dei rischi che ormai non sono più rischi ma definitivamente conseguenze oggettive: se tutto, qualsiasi cosa, è un problema, nulla viene più percepito realmente come un problema. Ed eccoci qui, la banalizzazione è servita. A sentirle parlare, non c’è alcuna differenza tra uno stupro e quella volta che un muratore per strada ti ha detto “abbbona” in un soleggiato pomeriggio d’agosto a Varazze lido. È ridicolo. E suonerebbe ridicolo per chiunque. Compresi i due ceffi in giacchetta beige che si sono sentiti in diritto di appostarsi dietro l’angolo e contendermi come fossi una preda.
Ho incrociato due stronzi? Certamente. Penso che tutti i maschi bianchi etero siano stronzi per via del retaggio di una qual certa società patriarcale da abbattere a colpi di peli sotto le ascelle? Assolutamente no. Credo che il Nemico sia molto più intelligente di così. Ritengo che la comunicazione di problematiche delicatissime a suon di Canva slide con lo sfondo cromaticamente appropriato a seconda del tema sociale imposto dal calendario marketing per quel mese, stia facendo più danni che altro alla causa femminista, ridotta a contrastare il ghosting, al no alla depilazione come credo programmatico, al “siamo tutt* bellissim* così come siam* ma non perdetevi la mia beauty routine quotidiana in #adv”. Cortocircuiti. Cortocircuti, ovunque. Quando va bene, Instagram sembra un magazine femminile degli anni ’50 in cui come ottenere il vestito adatto e il parrucco più wow è tutto ciò che una signorina per bene debba sapere per essere completa.
A me non interessa essere una signorina per bene. A me non interessa nemmeno essere una “vittima” - per quanto esista (orrore!) chi praticamente ci si è costruito sopra una professione perché sempre meglio che lavorare, per carità. A me interessa poter tornare a casa la sera con gli Zen Circus in cuffia senza venir inseguita da Mike Tyson. A me interessa aprire i social e non essere subissata da cazzate fakeministe che di femminismo non hanno nemmeno un pelo pubico. È bene che si parli di tutto e sempre. L’unica questione che pongo e che sento davvero di dover porre a questo punto è la seguente: siamo sicure di farlo nel modo migliore? Siamo assolutamente certe che Canva e qualche filtro bellezza ci proteggeranno delle brutture del mondo o, inconsciamente, ci stiamo zappando i piedi con la soverchia arroganza di chi combatte, sì, ma, scava scava, non sa nemmeno per cosa sia scesa in campo a lottare? Io mi sono arresa definitivamente riguardo alla bontà di questo sistema di comunicazione quando mi hanno chiesto, per lavoro, di elaborare un concept spot per una pasta femminista. Dei fusilli. Femministi. Ho gentilmente declinato. Non avrei mai voluto ritrovarmi contro la lobby delle penne lisce patriarcali.
Personalmente, sono molto stanca. Della società, dei social, di avere paura. E non so, davvero non so, se a farmi paura sia Mike Tyson - come individuo, ricordiamolo, a sé stante - o la degenerazione social-marketing che rende tutto, qualunque cosa dal fondotinta alla mietitrebbia, femminista. È una questione di credibilità. E, anche, per tale questione di (mancata) credibilità, ti ritrovi alle 23.45, sola come una stronza a sperare che Frida Kahlo te la mandi buona anche se non hai mai acquistato nessuna maglietta con la sua faccia sopra perché l’apparenza e il femminismo devono, o meglio, dovrebbero, essere due rette parallele verso l’infinito dei loro, diametralmente opposti, scopi.
Io in un mondo in cui esiste un Mike Tyson in giacchetta beige, non voglio ritrovarmi a comprare maccheroni contro il patriarcato. Perché non mi basta.