Sarà il suo secondo compleanno in carcere. Non uno qualsiasi, ma quello dei 30 anni. E dopo aver passato detenuto in Egitto ben 493 giorni. Patrick Zaki, studente a Bologna, era stato arrestato dalle autorità egiziane il 7 febbraio 2020 con l’accusa di propaganda sovversiva. Nel mirino del regime del Cairo dieci post su Facebook, pubblicati da un account che per la difesa del giovane è falso. Da quel giorno la detenzione è stata prorogata di 45 giorni in 45 giorni, senza un giusto processo, senza la possibilità di difendersi davvero.
Oggi nella città che aveva scelto come sua seconda casa, Bologna, per mantenere alta l’attenzione sul caso, il suo compleanno sarà celebrato lungo i portici di San Luca nell’iniziativa “Patrick patrimonio dell’umanità”. Insieme con Amnesty, le Sardine e il Comune di Bologna anche l’Università Alma Mater Studiorum. E proprio i suoi coetanei e giovani colleghi del Master in Editoria cartacea e digitale Unibo hanno lanciato la pubblicazione di un libro il cui ricavato servirà per sostenere la campagna di Amnesty International Italia.
Si intitola “A carte scoperte” e sarà pubblicato il 30 giugno da Bononia University Press. Si tratta di una raccolta di interviste a ventidue autrici e autori di punta della letteratura contemporanea, amati dalla critica e dai lettori: Andrea Bajani, Marco Balzano, Paola Capriolo, Giuseppe Culicchia, Paolo Di Stefano, Paolo Di Paolo, Marcello Fois, Antonio Franchini, Helena Janeczek, Maurizio Maggiani, Gaia Manzini, Dacia Maraini, Beatrice Masini, Melania Mazzucco, Marta Morazzoni, Laura Pariani, Valeria Parrella, Alessandra Sarchi, Antonio Scurati, Walter Siti, Andrea Tarabbia, Simona Vinci. Un progetto portato avanti dagli studenti e coordinati dalla professoressa di Letteratura Italiana e Filologia moderna Paola Italia e dalla professoressa e direttrice del Master Anna Maria Lorusso.
Per parlare dell’incredibile vicenda umana di Zaki, abbiamo contattato uno degli autori coinvolti nel volume, Paolo Di Paolo, che ci ha spiegato l’assurdità di questa vicenda, la debolezza delle istituzioni e il libro a lui dedicato che ci farà entrare per la prima volta nell’officina degli scrittori.
Oggi Patrick compie 30 anni in carcere. Il secondo compleanno, per di più. Come si può commentare una situazione così tanto irragionevole?
Il sentimento prevalente, che non dovremmo permettere che si attenuti, è quello di sconcerto. Però è realtà e protratta nel tempo. A tutti gli effetti un abuso di potere e una lesione totale dei diritti umani perpetrati nonostante i richiami di una platea internazionale che da molto tempo sottolinea l’assurdità della vicenda. Mi fa pensare quanto possa essere balsamico per lui sapere che questa opinione pubblica è lì con lui in qualche modo, però non so quanto gli arrivi e se possa bastare.
C’è chi ha proposto la cittadinanza onoraria per Patrick. Saresti d’accordo?
Vorrei che qualunque tipo di onorificenza formale possa essere offerta a Patrick una volta che tornerà in libertà e che quindi non siano riconoscimenti, pur generosi, che possano sembrare una sorta di surrogato. Solo così si potrà riconoscere il valore della sua sofferenza. Bologna per esempio, già segnata dal caso Regeni, è giusto che porti avanti delle manifestazioni, ma credo che debba riconoscergli qualcosa solo quando sarà tornato, perché sennò rischia di essere qualcosa di ancora più doloroso. Ora bisogna riconoscere la cittadinanza a tutti i cittadini nati in Italia da genitori stranieri. E siamo già in un penoso ritardo.
Secondo te i governi che si sono succeduti hanno fatto troppo poco per liberarlo?
L’onda mediatica, come sempre in queste circostanze, è intermittente. Ci sono accensioni e spegnimenti. Il caso Regeni è una ferita apertissima e credo ci sia stata una risposta emotiva fortissima, ma purtroppo per lui dopo la morte. Questa di Patrick è una forma di tortura e di vessazione che si evidenzia solo in certi momenti, cioè quando il discorso torna lì. Non sempre la politica è stata presentissima, solo certe fronde hanno costantemente tenuto la barra ferma su Zaki, un po’ per la pandemia e un po’ per l’incostanza dei media che non hanno dato una continuità.
Che cosa si potrebbe fare, allora?
Siamo in uno stallo, determinato dal rapporto ondivago tra le istituzioni italiane e l’Egitto. Perfino un gesto esemplare, anche se molto discusso, come quello di Augias che ha restituito la Legion d’onore dopo la visita di Al Sisi a Parigi, non ha scalfito quella ambiguità tra Francia ed Egitto, del tutto simile a quella che esiste tra Italia ed Egitto. È abbastanza assurdo che la voce delle istituzioni si faccia flebile per una certa questione di opportunità, inaccettabile, e che non sia netta e costante all’ottenimento della verità sul caso Regeni che è ancora parziale e alla risoluzione del caso Zaki.
Tu da scrittore, hai però voluto contribuire al libro “A carte scoperte” dedicato a Zaki e utile a sostenere la campagna di Amnesty International Italia. Di cosa si tratta?
È un gesto simbolico, però il volume è molto interessante. Sono una serie di interviste a vari scrittori italiani di diverse generazioni che raccontano il loro rapporto con la scrittura dal punto di vista pratico. Vengono riprodotte addirittura delle pagine manoscritte, gli appunti, spiegati i momenti preparatori. Si entra proprio nell’officina degli scrittori: chi lavora al computer, chi stampa solo alla fine e il rapporto che esiste fra scrittura digitale e a mano. Un libro che corregge certe derive romanticheggianti che vorrebbero la scrittura nascere senza sforzi. Ma come diceva Tabucchi “è un lavoro di seggiola”, quindi ha a che fare con un gesto pratico. Non si guarda solo fuori dalla finestra per trovare ispirazione, ma ha a che fare con gesti fisici.
E ancora più importante dal punto di vista simbolico che sia stato realizzato dagli studenti dell’università di Bologna, i colleghi di Patrck Zaki.
Esatto, quelli che ci hanno scritto per le bozze, che hanno chiesto gli appunti, che si sono occupati di mettere insieme il tutto sono gli studenti. Li definirei “un gruppo di attivisti della cultura” che hanno voluto fare un omaggio ancora più autentico a Zaki, che prima di tutto era anche lui un giovane studente a cui è stato impedito di studiare e di vivere.