L’occasione è il reportage che abbiamo dedicato al filosofo Gianni Vattimo e alla vicenda che lo vede coinvolto, con il suo assistente personale Simone Caminada a processo con l’accusa di circonvenzione di incapace. Mentre siamo nella casa del professore, in centro a Torino, suona il campanello: “Sono Franco Debenedetti”. Non è un caso, ma un appuntamento “che va avanti da 40 anni” vista l’amicizia che lo lega con l’ideatore del “pensiero debole”. Non ci siamo fatti scappare l’occasione di una chiacchierata insieme all’ingegnere, già amministratore delegato dell’Olivetti, Direttore del settore componenti di Fiat e senatore per tre legislature, oggi saggista e presidente dell’Istituto Bruno Leoni. Classe 1933, un anno in più del fratello Carlo De Benedetti, ha attraversato insieme a lui la storia imprenditoriale dell’Italia e per questo abbiamo provato a chiedergli come si aspetta il futuro post pandemia.
Debenedetti, intanto come ha vissuto questa pandemia?
Nell’incertezza, che deriva dal virus stesso. La scampiamo, oppure no? mi sono chiesto a livello personale, da quel famoso marzo 2020. Ricordo le notizie sui giornali su che cosa capitava ai pazienti ricoverati nei reparti di terapia intensiva senza poter vedere nessuno. Credo sia stato un sentimento diffuso la paura di morire. Ora c’è un po’ meno, non perché ci siano delle cure, che non esistono, al di là delle panzane che dicono certe persone che dovrebbero essere perseguite per aver diffuso notizie false e tendenziose, ma perché il vaccino consente di ridurre fortemente la probabilità di essere contagiati e di ammalarsi. E, nel caso contagio, riduce ancora maggiormente la probabilità di morire.
Non sarà anche lei un no vax o no Green Pass?
No, anzi, non capisco le posizioni dei no vax. Ma globalmente c’è una percentuale di gente che non ragiona, in tutti i campi. I terrapiattisti purtroppo esistono. Mi disturba, però, che questo avvenga tra persone di cultura, i cosiddetti “colti”. I professori universitari che continuano a protestare contro il Green pass non sono giustificabili e dimostrano di essere altamente contraddittori.
Come si spiega la loro contrarietà al Green Pass?
Lo fanno in nome della libertà degli studenti di assistere alle lezioni anche senza essere vaccinati. Solo che di fronte alla libertà che pensano di garantire a una minoranza, levano la libertà a una maggioranza di seguire le stesse lezioni riducendo fortemente il rischio. Oltre a contraddizioni logiche, adducono alla possibilità che tra 20 o 30 anni possano emergere delle conseguenze negative dal vaccino. Non è una proposizione scientifica, ma metafisica. Non è falsificabile. Non è possibile dimostrare con un ragionamento scientifico che capiterà qualcosa fra un po’ di tempo, è come credere che il buon Dio distruggerà l’umanità. Quindi, che dei docenti facciano passare per scientifiche delle affermazioni che secondo Popper non appartengono alla scienza mi colpisce.
C’è chi ha parlato di narcisismo.
Non mi spingo a tanto, però di certo sono affermazioni contraddittorie. In nome di una libertà senza considerare che è molto superiore la libertà che negano. Dal punto di vista logico non sono comprensibili.
Intanto, nonostante la diminuzione di morti e contagi, rimane l’incertezza nel mondo del lavoro su quali saranno le conseguenze di questa pandemia a livello economico.
Le aziende nei mesi passati non sono riuscite a vendere, o in misura molto minore di prima, perché non arrivavano le materie prime o perché mancava la domanda. Come si fa, quindi a sostenerle e a farle ripartire? Bisogna distinguere. Ci sono aziende che hanno tutte le ragioni per continuare a vivere, cioè sono capaci di trovare clienti che comprano i loro prodotti o servizi a un prezzo superiore al costo necessario per produrli. Su queste è interesse del paese sostenerle, perché la loro capacità di mercato non è stata colpita dal Covid. Poi ci sono delle aziende che già prima non erano in condizioni di sopravvivere o portare avanti attività profittevoli. È una scelta molto difficile da fare, ma intanto bisognerebbe essere d’accordo su questa distinzione.
Quindi non si può salvare tutti indistintamente.
Sprecare dei soldi per queste ultime a che fine? Per tenere in vita degli zombi? È una scelta difficilissima tecnicamente, perché alla fine chi decide? Ma perlomeno bisognerebbe essere d’accordo che gli zombi sono zombi e che chi si è rotto solo una gamba bisogna aiutarlo a rimettersi in sesto. Dal punto di vista sindacale c’è questa linea di voler salvare tutto e sul resto vedremo dopo che non mi sembra lungimirante.
E in questa fase si è inserita anche la transizione ecologica a complicare il quadro.
Va fatta, anche se costerà l’ira di dio. Facciamo un esempio concreto. La Volkswagen ha annunciato che dal 2030 non farà più auto con motore a combustione interna. Allora, pensiamo a come è fatto un motore. Non le ruote e le sospensioni, che ci saranno anche nell’elettrico, ma tutte quelle parti che non serviranno più, una grossa parte e direi quella più costosa nella produzione. Pensi che quando ero in Fiat si diceva che per fare una macchina nuova che avesse solo la carrozzeria diversa ci volessero 3 anni, mentre per farne una con anche il motore diverso circa 5 anni. Per cui, nei bilanci delle aziende ci sono valori che erano nell’attivo e che vanno portati a zero. Chi li paga?
Me lo dica lei.
Le aziende possono fare dei debiti, sperando che le persone acquisteranno altrettante auto elettriche. Non bisogna però dimenticare le persone…
Si riferisce alle competenze dei lavoratori?
Certo, quante sono le persone che hanno un capitale umano nel fabbricare quelle cose? E che va a zero in brevissimo tempo. E come lo si sostituisce? Le aziende, grossomodo, sanno la direzione da prendere. Le persone invece no. Nel frattempo, chi tiene in piedi quelle famiglie? È il grande tema a livello mondiale, con numeri che fanno davvero girare la testa.
La corsa all’elettrico è cominciata, però in molti sollevano dubbi sulle batterie, il loro smaltimento, senza contare il reperimento dei metalli rari.
Ho letto che per costruire un numero di pale eoliche in grado di produrre la quota di energia rinnovabile che dovrà essere soddisfatta è necessario tanto acciaio quanto per costruire 14 ponti a San Francisco. Qualcuno lo dovrà produrre, no? Ma richiede energia. Insomma, è un cane che si morde la coda. Un problema che rimanda a un altro problema. Questa sarà la vera discontinuità che dovranno affrontare i nostri figli. Comunque, sono convinto che non ce la potremo cavare senza l’energia nucleare.
Il ministro per la Transizione ecologica Roberto Cingolani è stato molto criticato per aver paventato questa ipotesi.
Ormai si fabbricano dei reattori molto piccoli, molto sicuri, che producono pochissime scorie. Se non ricorriamo a quel tipo di nucleare non ne usciamo. In realtà siamo tutti in attesa che arrivi il nucleare in grado di produrre energia dalla fusione anziché dalla fissione.
Siamo a Torino e nei giorni scorsi, benché collegato dal Texas, è intervenuto Elon Musk all'Italian Tech Week. Da imprenditore, come valuta il Ceo di Tesla e di altre aziende che stanno cambiando il nostro modo di vivere?
Bè insomma, si può partire dicendo che il mercato ha valutato Tesla più dell’insieme della Volkswagen e della Toyota. Il mercato non è una entità astratta, sono semplicemente persone che partecipano a un’asta continua. Evidentemente il mercato ritiene che sia stato un “game changer” e con Tesla la marca leader della nuova evoluzione. E poi, essendo partito per primo, ha acquisito dei vantaggi rispetto agli altri. Per questo ci sono persone disposte a rischiare i propri soldi su quello che fa Elon Musk. Il mercato dà i prezzi alle cose, niente di più. Inoltre, essere stato in grado di fare le stesse attività della Nasa, ma a un prezzo più conveniente, mi sembra estremamente rilevante. Non sarà solo, però ha delle visioni e sa scegliere le persone giuste per realizzarle.
Per caso le ricorda la sua esperienza alla Olivetti?
Mio fratello comprò la quota di controllo di Olivetti, su indicazione di Enrico Cuccia che glielo aveva proposto, dopo il secondo fallimento dell’azienda. Il primo aveva portato alla vendita dei grandi calcolatori alla General Electric. Poi si ripartì con terminali come Programma 101, che fu un grande innamoramento, anche se è esagerato considerarlo il primo personal computer. Ma viene ricordato meno lo slogan: “Olivetti informatica distribuita”. Vale a dire, l’architettura odierna: non composta da terminali passivi e centralizzati, ma da terminali con la capacità di elaborare. Questa è stata una idea giusta. I più entusiasti erano i dipendenti, che non dovevano più chiedere ad altri e mettersi in coda per aver processare certe informazioni.
Quindi vede delle analogie con la voglia di innovare di Elon Musk?
Lo vedo nel passare dalla Olivetti delle macchine da scrivere, da calcolo e dell’Elea alla Olivetti che ha iniziato la transizione all’informatica distribuita fino, è questo è il più grande merito di mio fratello, alla rivoluzione della telefonia cellulare. È stato un enorme successo con Omnitel, un’altra grande liberazione, non dovendo più passare solo da Tim. Se oggi abbiamo svariati operatori e più concorrenza è perché la Olivetti ha avuto il coraggio di avviare quel percorso e anche grazie al presidente Ciampi che lo ha sostenuto.
Cosa serve per compiere certe rivoluzioni?
L’epoca che io conosco è quella della riconversione da una azienda elettromeccanica a una azienda elettronica. È stato estremamente difficile e la Olivetti di mio fratello c’è riuscita. Le difficoltà maggiori le abbiamo avute per le pressioni politiche e sindacali sul fatto che non si potesse licenziare. Passavamo più tempo a cercare di inventare qualcosa per dare lavoro a persone ormai spiazzate dalla tecnologia e quindi fuori mercato, invece che a correre dietro alle novità.
Si torna alla transizione ecologica di oggi, con le conseguenze per chi non rimarrà al passo.
Se vogliamo cavarcela sarà la libertà dei mercati e di impresa a salvarci. Se la blocchiamo dicendo che le aziende non possono chiudere, non ne usciremo mai. Anche perché una azienda ormai può andare in un altro paese e produrre a costi minori. È incredibile, purtroppo, che in Italia si ragioni ancora così.