C'è poco da fare e c'è pure poco da dire in realtà. Ho passato la giornata a riguardare. E ad ascoltare. Perché la vita fa succedere le cose che devono succedere, perché il calcio e lo sport snodano fili che poi tornano a incrociarsi creando romanzi mai immaginabili e che ti si attaccano addosso. Perché Gianluca Vialli sono andato a cercarlo spesso, nei film, nei libri, nelle serie. Perché c'è poco da fare e c'è poco da dire ma una di quelle poche cose che posso dire è che chi soffre di più ha più da insegnare. Ché le migliori lezioni di vita, come scrive Ani DiFranco, si imparano nei momenti peggiori.
Siamo sempre lì: a pesare il privilegio e la sfortuna, il privilegio e il destino. Riguardo l'abbraccio tra Vialli e Mancini dopo la finale degli europei vinti a Wembley. Il capo delegazione della nazionale e l'allenatore, il numero 9 e il numero 10 della Samp, due amici, due fratelli che anni prima proprio lì avevano perso una Champions League negli ultimi minuti e che in quel momento, invece, si erano presi ciò che allora, a loro, era sfuggito. Ciò che c'era dentro e dietro e prima di quell'abbraccio adesso è raccontato in un documentario. Si chiama La bella stagione, è stato al cinema per tre giorni e stasera sarà su Rai Due. Ci porta dritti al significato di amicizia, perché di questo parla: di un gruppo di amici che ha vissuto insieme imprese straordinarie, comprese le sconfitte. E nelle imprese e in ciò che le rendono possibile - prima di ogni altra cosa, l'unione, l'esserci uno per l'altro - c'è qualcosa di ancestrale. Vialli l'ha sempre saputo. La battaglia contro il tumore al pancreas l'ha reso ancora più consapevole, e da questa consapevolezza tutti noi abbiamo il dovere di imparare. Il dovere.
Per questo mi sono rivisto pure il discorso di Theodhore Roosevelt che Vialli lesse e fece suo davanti a tutta la squadra prima della finale contro l'Inghilterra. Recita così: "L’onore spetta all’uomo che realmente sta nell’arena, il cui viso è segnato dalla polvere, dal sudore, dal sangue; che lotta con coraggio; che sbaglia ripetutamente, perchè non c’è tentativo senza errori e manchevolezze; che lotta effettivamente per raggiungere l’obiettivo; che conosce il grande entusiasmo, la grande dedizione, che si spende per una giusta causa; che nella migliore delle ipotesi conosce alla fine il trionfo delle grandi conquiste e che, nella peggiore delle ipotesi, se fallisce, almeno cade sapendo di aver osato abbastanza. Dunque il suo posto non sarà mai accanto a quelle anime timide che non conoscono né la vittoria, né la sconfitta". Non importa vincere o perdere. Importa lottare.
Per questo sono andato a rileggermi il suo libro. Si intitola Goals e racconta le storie di persone che hanno affrontato sfide difficili. Tra le varie storie ci sono delle citazioni che Vialli si è appuntato in questi ultimi anni. La prima è la mia preferita, ed è questa: "Le citazioni funzionano solo se tu funzioni". Cazzo se è vero: il 99 percento delle battaglie consiste nel mettersi nel giusto stato d'animo. E lui l'ha fatto. Anche se ha perso, ha lottato. L'ultima storia è la sua. Racconta il momento in cui ha fatto il testamento: “Nel farlo, vedo tutte le cose della mia vita per quello che sono: cose. Mentre io, mia moglie, le bambine, i miei fratelli, mia madre e mio padre, i miei amici, tutti noi, tutti voi, siamo molto di più. Siamo pensieri e legami, siamo emozioni e parole. Siamo il futuro che riusciamo a immaginarci”. Quanta grandezza.
E infine ho rivisto la puntata dedicata a lui di Una semplice domanda, serie di Alessandro Cattelan. C'è un momento in cui Vialli fa un elenco. Sta parlando di ciò che vorrebbe lasciare in eredità alle figlie: "Cerco di insegnare loro che la felicità dipende dalla prospettiva attraverso la quale tu guardi la vita. Cerco di spiegare loro che non ti devi dare delle arie. Devi ascoltare di più e parlare di meno. Devi cercarti di migliorare ogni giorno. Devi ridere spesso. Devi aiutare gli altri. E soprattutto cerco di far in modo che loro abbiano l'opportunità di trovare la loro vocazione. Perché quando hai poco tempo ti rendi conto che nel poco tempo che hai a disposizione in una vita devi fare ciò che ti appassiona. Credo che sia questo il segreto della felicità".
Il privilegio e la sfortuna di una malattia. Il privilegio di poter vivere con grande consapevolezza e il destino che questa vita te la porta via velocemente. La felicità e la serenità che passano attraverso una lunga strada chiamata accettazione. Di sé e delle proprie battaglie. Sì, c'è poco da fare e c'è poco da dire, in realtà. C'è da ascoltare e leggere cosa ha detto lui, Gianluca Vialli, in questi ultimi anni. È tutto condensato qua. Per capire cosa importa davvero. E imparare. L'unica cosa da aggiungere casomai è questa: grazie Gianluca. Nient'altro.