“La bandiera di Valentino Rossi? No, no, non era programmato, l’ho rubata a uno dei commissari” – Marco Bezzecchi la racconta così, con quell’aria che ha lui da eterno distratto che casca sempre dalle nuvole. Solo che ieri sulle nuvole c’è salito, esattamente nel cielo di quelli che in MotoGP salgono pure sul podio. E lo ha fatto a Assen, l’università del motociclismo, nel suo anno da debuttante, con una Desmosedici non proprio nuovissima e una costanza sul giro da pilota d’esperienza. Bezzecchi è uno che quando lo guardi non te lo spieghi come fa: sembra sempre sfasato, sempre più pronto al cazzeggio che alla serietà. Poi, però, messo il casco è un'altra roba e c’è pure chi ogni tanto prova a dire che proprio per questo somiglia molto al Sic, non solo per i capelli. Paragoni da lasciare stare, per carità, perché alla MotoGP non servono le copie, ma i personaggi. E Bezzecchi lo è di certo. Ecco perché ieri ha esultato ogni vero appassionato, nel vederlo girare a Assen con quella bandiera sulle spalle, come il segno di una amicizia prima ancora che di una gratitudine. “Credo che quella bandiera volessero darla a Pecco, che aveva vinto – ha detto ancora il Bez – Però io sono passato e me la sono presa, mi piaceva l’idea di celebrare questo primo podio in MotoGP, del Team e mio, portando a spasso il 46”.
Un 46 che non c’è più, ma che c’è in qualche modo ancora. Proprio nell’eredità lasciata al motorsport, attraverso i pilotini dell’Accademy, ma anche e soprattutto nell’eredità lasciata a loro. Compresi, appunto, quel Pecco Bagnaia e quel Marco Bezzecchi che ieri si sono spartiti il primo e il secondo gradino del podio al GP d’Olanda. Con il Dottore che, manco a dirlo, ha scelto i social per esultare: “Siamo sul tetto del mondo”. Sul tetto del mondo con Pecco, sul tetto del mondo col Bez, sul tetto del mondo con il Team Vr46 e sul tetto del mondo pure con Celestino Vietti, che ieri s’è potuto permettere il lusso di andare in vacanza da leader della classifica generale di Moto2. Si dice spesso che la vita è adesso e magari è anche vero, ma viene da dire che la mission di ogni “adesso” è generare futuro. E probabilmente è proprio questa la vittoria più grande di Valentino Rossi. Una vittoria che vale tremendamente di più di nove mondiali e una carriera pazzesca. Perché chi è stato leggenda potrebbe umanamente godere di un “vi mancherò”, invece lui, il Dottore, ha preferito un “farò in modo di non mancarvi”. Sostituendosi anche, in qualche modo, alle istituzioni di settore che, pur con le mille giustificazioni del caso, non hanno saputo (o potuto) puntare davvero sui giovani motociclisti italiani.
Lo ha fatto lui, da Tavullia, mettendoci un terreno che è diventato il Ranch, mettendoci professionalità e formandone delle altre, ma mettendoci, prima di tutto, leggerezza. Quella dei sabati a fare flat track, quella delle cene pagate da chi è arrivato ultimo, quella delle prese per il culo di un gruppo di amici che se non ce lo sai non ci pensi nemmeno che sono fenomeni della MotoGP e guadagnano cifre che a quelli normali non gli basterebbe una vita. Anima provinciale, per dirla alla facilona, e mission globale. In un intruglio che mescola cazzeggio e serietà, hobby e lavoro, dentro un pentolone sociale, Tavullia, che cuoce tutto a puntino senza bruciare niente. Tanto che alla fine, proprio sotto al post di Vale che celebrava l’essere saliti sul tetto del mondo, è spuntato un commento che sembra scritto con l’anima, firmato proprio da Marco Bezzecchi: “Grazie a te, ca**o”. Ve lo diciamo pure noi: grazie, ca**o, perché il bello di ogni storia da raccontare sta nelle storie che ci stanno dentro: l’inizio è ancora.