Aprilia ha quel carattere lì: racing. Lo mette pure nelle moto che fa, anche quando non c’è bisogno e il mercato suggerirebbe tutt’altro: di sangue e di cuore, di nervosismo abbastanza - ‘che tiene sempre svegli - e raziocinio poco - ‘che fa addormentare. Aprilia s’è fatta amare per questo nel tempo, mentre crescevamo tutti con quei motorini lì, simili alle moto vere, e addobbati con scarichi improponibili - che sono stati l’aerosol che c’ha curato l’adolescenza - e modifiche che se i genitori c’avessero capito qualcosa stavamo ancora tutti al Riformatorio. C’era l’Aprilia e c’erano la Cagiva e la Gilera, che poi anche se è un’eresia solo dirlo erano la stessa cosa perchè fatte della stessa pasta; poi c’erano quelli più normali, che magari erano fighi lo stesso, ma erano normali, appunto. Aprilia come un marchio che si propone al mercato ma anche Aprilia come tatuaggio nella crescita di una generazione intera, divisa tra chi l’ha amata, chi l’ha sognata e chi, invece, se ne è tenuto lontano. Ma anche per “tenersi lontano” bisogna “prendere in considerazione”. Appartenenza: in una parola sola.
Un’appartenenza celebrata ieri a Misano, all’Aprilia All Stars 2022, che cadeva questa volta con il trentennale del primo mondiale vinto da Gramigni. Insomma: una scusa per ritrovarsi ancora; soprattutto quest’anno che si vince pure in MotoGP e con quelli che la storia di Aprilia l’hanno scritta e firmata. Mancava solo Valentino Rossi, che magari vuole stare staccato ancora un po’, e gli altri c’erano tutti. In mezzo alla gente come non sono abituati, come non avrebbero fatto e come non si fa più da una vita nelle corse. Quasi a dimostrare che in mezzo a quelli che portano lo stesso tatuaggio hai meno paura che qualche invasato possa esagerare. Fino ad arrivare a lasciarsi andare. Come Massimo Rivola, sempre elegantissimo e composto, che corre a infilarsi una tuta (che gli stava enorme sul culo) e si mette a girare in circuito con tutte le moto che trova, ingarellandosi con chiunque. Oppure come Maverick Vinales che, fin dalla conferenza stampa del mattino, andava ripetendo di voler provare la 250 due tempi e che, appena ha visto Max Biaggi salire sulla moto con cui ha vinto quattro mondiali, è volato (letteralmente volato) a chiedergli di fargli fare qualche giro. Sì, come facevamo noi quando arrivava quello con l’Aprilia nuova, oppure vecchia ma appena rispolverata e modificata.
Oppure come Max Biaggi, che s’è preso un box lontano da tutti, probabilmente per non avere troppe rotture di palle, ma poi in quel box ci ha fatto entrare chiunque per due parole o una foto, nelle pause tra giri in pista tiratissimi con tutte le Aprilia della sua collezione e le coccole, tenerissime, con il figlio che lo aveva accompagnato e che poi lo ha seguito pure in sella nella parata finale in circuito. Mentre un altro che di solito simpatico non è, Andrea Iannone, non parla con nessuno ma porta a spasso chiunque, sulle sue RSV biposto, tra penne e derapate, quasi a far parlare il polso, il polso e solo quello, per tutta la rabbia e la frustrazione che si porta dentro dopo la storiaccia del presunto doping e della strana condanna. Iannone, a proposito…Sì, quelli di Aprilia non lo hanno lasciato dietro mai, aspettandolo fino a farsi male. E non è una roba da poco, perché nello sport e nel business vieni messo alla finestra anche se non hai fatto niente e il tuo nome viene anche solo associato a qualcosa di condannabile e non consentito. Invece in Aprilia l’hanno difeso, prima e dopo, e l’hanno “considerato” dopo esattamente come lo consideravano prima. Umana rarità. Che poi come fai a non starci (e con tutta l’anima) per chi c’è sempre stato e è rimasto pure? Lo sa anche Iannone, anche se non parla come fanno i ca**oni, ma è stato lì a fare il taxi per tutti e ci godeva pure.
Ok le moto, ok i campioni, ok tutto, ma perché l’Aprilia è tornata a essere l’Aprilia e adesso sta lassù anche in MotoGP lo vedi da queste cose qui. Lo vedi dagli occhi pieni, ma pieni di tutto proprio, di Locatelli e di Gramigni, di Biaggi e di Iannone, di Capirossi e di quelli che ieri stavano lì con lo stesso spirito dei ragazzini con il cinquantino che siamo stati tutti e delle migliaia di persone che nel nome di Aprilia si sono ritrovate a Misano, nonostante un tempo che c’ha provato pure a rompere le palle…ma poi ha retto. Aprilia vincerà il mondiale? Massimo Rivola dice di non sognare e non alimentare illusione. A noi, piuttosto, viene da dire che Aprilia non ha più niente da vincere. Niente che conti più di quanto ha già. E ce ne siamo accorti proprio ieri, giusto per sintetizzare tutto in una scenetta sola. La scenetta di un bambino che si avvicina ad Aleix Espargarò e gli chiede una foto passando al babbo uno strano aggeggio che aveva tutta l’aria di essere un giocattolo e che invece era una fighissima macchinetta fotografica. Tipo Polaroid. Foto fatta e foto subito stampata, con il ragazzino che poi, orgogliosamente, torna da Espargarò per autografarla. Invertendo i ruoli in un gesto solo. Perché Espargarò, che pure era arrivato in Lamborghini e gioca tutti i giorni con roba di milioni di Euro, diventa di colpo il fans di quel bambino che aveva quel giocattolo così figo, fino a correre, letteralmente correre, da Vinales e Savadori (gli altri due piloti di Aprilia in MotoGP), per condividere la scoperta. Mentre il bimbo guardava incredulo e estasiato, con lo spagnolo che gli chiedeva di fargli e stampargli un’altra foto, questa volta insieme ai suoi colleghi (che invece quel giocattolo lì lo conoscevano e cercavano di spiegargli che è un oggetto anche piuttosto comune). Si chiama “capacità di sorprendersi”, si chiama “grandi che sanno ancora giocare”, si chiamano “anime curiose”…mai normali, appunto, proprio come l’Aprilia…si chiamano meraviglia e condivisione, che poi sono tutto quello che serve davvero.