L'altra mattina Virgy si è svegliata e la prima parola che ha pronunciato è stata: Mattia. Che detto da lei è più o meno detta così: Ma-tìii-a. Mattia è un ragazzo che lavora al bar della spiaggia, le piace a Virginia, e Virginia da qualche mese si prende delle cotte per dei ragazzi. Io con lei fingo di essere geloso, in realtà sono contento che faccia un po' la stupidina, perché se non avesse la sindrome Cri du chat a 16 anni correrebbe dietro ai ragazzi e come si comporta mi dimostra che anche lei ha i suoi gusti, le sue voglie. Siamo portati a pensare che gli handicappati non abbiano desideri, in particolare di natura sessuale. E invece no. Mattia è stato male per una reazione allergica, Virginia lo ha visto e si deve essere preoccupata, perché la prima cosa che mi ha detto quando si è svegliata è stata: Ma-tìii-a. Che poteva voler dire: dove è Mattia? Come sta Mattia? Andiamo da Mattia che voglio capire come sta. E forse significa tutte queste cose insieme.
Sto con lei in 'sti giorni, e sono stato con tutti i figli miei in queste settimane, spesso da solo, io e loro, una piccola casa dentro un residence, una piscina sotto, un terrazzo sul golfo di Cavo, isola d'Elba, le colline a chiudersi sul mare, i colori così contrastati, il venticello che non manca mai. Lavori e viaggi e lavori e prendi treni e lavori e corri e passi la vita piegato dentro a uno smartphone e ti parlano e pensi ad altro tutto l'autunno, l'inverno, quasi sempre e poi arriva agosto e puoi stare a tempo pieno e a testa libera con loro. Ché stare con loro in questo modo vale forse più di ogni altra cosa. Più della fatica accumulata.
Li abbraccio, a volte, i figli miei, così forte come se potessero fare scorta dell'amore che gli do per poi utilizzarlo quando si sentiranno soli. Li bacio, a volte, i figli miei, così intensamente come se potessero conservare l'impronta delle mie labbra e rimettersela sulle guance tutte le volte che avranno bisogno di affetto. Li stringo, a volte, i figli miei, così tanto come se la mia pelle potesse restargli attaccata per scaldarli in tutte quelle notti che sentiranno freddo.
E anche loro ogni tanto vengono da me e quando succede è struggente. Stamattina l'ha fatto Orlando. Gli ho messo in testa che da grande dovrebbe fare il dj, perché soffrire non serve a niente, come diceva Pavese, e noi siamo cresciuti con l'idea che il lavoro è sofferenza. Il cazzo. Il lavoro può essere party, partner, musica, albe e sveglie alle 4 del pomeriggio. Ed essere pure pagati per fare tutto questo. Si è avvicinato, Orlando, mi ha chiesto di sentire un mio amico dj per avere qualche consiglio e poi mi ha abbracciato. Forte. A lungo. Gli ho chiesto perché lo stesse facendo.
- Perché ne ho voglia.
Poi è sceso con Agata in piscina e mi ha salutato e io ho risposto un ciao mozzato. Stavo quasi per piangere.
Sono giorni di bagni che faccio con le mie braccia intorno alla vita di Agata, a chiederle se posso migliorare in qualcosa, mi sento in colpa con loro ma poi passa subito. Le colpe appartengono al passato e il passato non può influenzare il presente, figuriamoci il futuro. Sono giorni che mi manca Anita, che adesso è con Marta e tra poco arriverà insieme a lei. Sono giorni che accudisco Virginia per una frescata, Tachipirina e Fluibron, e quando oggi mi ha chiesto di andare a fare il bagno ho capito che era guarita e fare il bagno tutti insieme è stato un altro di quei minuti magici. Provo a collezionarli nella mia testa. E quando me ne sto per dimenticare me li scrivo sul cel.
Mattia si è ripreso. Virgy è felice. Sono giorni così. Bellissimi, lunghi, pieni di pause e con piccoli momenti malinconici perché sai che ti mancheranno. Ma vivere del tempo con i propri figli è come il panorama che vedevo mentre, con le finestre aperte, addormentavo Anita sul mio petto a luglio, il mare calmo di notte: pensi che sai che ti mancherà ma che è un privilegio portarsi dentro quei momenti, dentro e negli occhi. E il privilegio di averli vissuti batterà sempre la persistenza di una mancanza. Sempre.