“Venti gennaio, sarebbero stati 37. Passa, ma non passa mai” – Paolo Simoncelli ha questa capacità qui: sintetizzare le emozioni per raccontare i contrasti. O, meglio, il grande contrasto tra il tempo che passa e la sofferenza che, invece, non passa mai e al limite si trasforma e basta in energia per andare avanti.
E’ il compleanno del SIC, scriviamo qualcosa? Ce lo eravamo detto così, nel solito confronto tra colleghi, rispondendoci, di fatto, da soli. Perché di Marco Simoncelli parliamo ancora tutti al presente. “E’ il compleanno del SIC” e no “sarebbe stato il compleanno del SIC”. 37 anni: una cifra non tonda, ma di quelle che, quando fai il pilota, possono avere già il sapore della pensione, oppure dell’idea di scendere dalle motociclette.
Ci siamo chiesti pure cosa avremmo potuto scrivere, come avremmo potuto ricordarlo e all’inizio avevamo pensato a qualcosa sull’eredità. Perché dell’eredità di Marco parliamo tutti. O più semplicemente perché, in questa MotoGP senza personaggi, la speranza che custodiamo è che possa arrivare qualcuno così: manico pazzesco e pataccate a non finire. Volevamo, all’inizio, provare a capire chi, tra quelli della MotoGP di oggi, ha di più in comune con Marco Simoncelli. Ne avevamo pure individuati due: Enea Bastiani, per via dell’intreccio con Gresini, della tigna e di quell’aria genuina che ha, e Marco Bezzecchi, per via dei ricci, dell’amicizia con Vale e di quei modi scanzonati che ha. Avevamo pensato, lo ammettiamo, anche a qualcosa di un po’ provocatorio, magari seguendo un titolo che avrebbe suonato così: se ci fosse stato ancora il SIC, Pecco Bagnaia non sarebbe stato il primo campione del mondo italiano dopo Valentino Rossi.
Poi, però, abbiamo deciso di prendere il telefono in mano e fare un tentativo su Paolo, il babbo. Non è uno che risponde sempre e non sempre ha voglia di parlare. Invece questa volta ha risposto subito: “Eh sì – ha commentato – è il compleanno di Marco. Venti gennaio, sarebbero stati 37. Passa, ma non passa mai”. Non c’è titolo che tenga davanti alle emozioni di un padre, anche se le cose da dire, alla fine, sono sempre le stesse. “A volte – ci ha detto ancora Paolo – immagino Marco da grande, da pilota più maturo, ma mica mi riesce. Lui era così e probabilmente sarebbe rimasto ragazzo sempre”. Ragazzo e pilota. Perché è proprio di questi giorni la notizia che Aleix Espargarò, uno che c’era già quando c’era ancora Marco, ha dichiarato di non avere la forza di fare come Valentino Rossi. “Oggi sarebbero stati 37 e se ci rifletto mica lo so se Marco si sarebbe posto la stessa domanda. Con quella passione che aveva, con quell’unico interesse che era correre in moto e basta, forse sarebbe andato ben oltre Valentino Rossi. Forse (ride, ndr) avremmo dovuto prenderlo a calci nel culo per farlo scendere dalle moto e con già tutti i capelli bianchi, a 50 anni suonati”.
La passione. La spinta. L’impulso. Parole che ricorrono sempre quando si prova a chiedere a un pilota, o a chi gli vive vicino, qual è la ragione per cui si corre. Correre non è voglia di competere, correre è semplicemente rispondere a una necessità che nasce con te e ce lo ha spiegato ancora una volta proprio Paolo, in una telefonata breve ma pure tremendamente intima: “Marco non ha mai desiderato altro. E’ storia nota e lo abbiamo raccontato mille volte, lui voleva solo correre in moto. Era piccolissimo e già diceva che un giorno sarebbe diventato campione del mondo”. Tanto che, con un passaggio così, Paolo Simoncelli ha in qualche modo risposto anche a quello che ci stavamo chiedendo poco prima sulle eredità, su chi sia l’erede di Marco in MotoGP. I suoi eredi sono tutti e nessuno. E va bene così. “Se guardo negli occhi un pilota, un qualsiasi pilota che corre in qualsiasi categoria, io vedo Marco – ha concluso Paolo – la passione, la spinta, l’impulso accomuna tutti. Poi ogni pilota è unico e quindi no, non c’è un erede. Nella MotoGP di oggi ognuno ha qualcosa di Marco, che sia nel modo di guidare o in una caratteristica fisica o ancora in un tipo di approccio con la stampa e i tifosi. Quindi no, non farò un nome, e non so nemmeno se la parola giusta da usare è ‘eredità’, posso solo dirti che Marco lo vedo in tutti e lo vedo, soprattutto, negli occhi dei piloti, in quegli sguardi dietro le visiere che non si possono neanche descrivere. Manca, manca di brutto… e oggi sarebbero stati 37”.