Fernando Alonso è uno stronzo. Uno di quei personaggi inafferrabili, incontenibili, inaffidabili che, di tanto in tanto, invade un mondo con prepotenza, senza spazio di replica.
Uno che se si sente attaccato, attacca, che non sembra crescere mai e che infatti, a quarant’anni, mai è cresciuto. Mentre tutti gli altri piloti intorno a lui si trasformano, si rilassano e si ritirano, Alonso rimane il ventenne con tutto da dimostrare protagonista indiscusso di una Formula 1 ormai lontana.
Arrabbiato, forse più per quello che sapeva sarebbe potuto diventare che per quello che non è riuscito a capitalizzare, ma mai e poi mai rassegnato. Non è tornato in Formula 1 per scaldare un sedile, è tornato perché il suo posto è lì, tra i migliori, tra chi si fa vedere, tra chi è in grado di tirare fuori il meglio da ogni cosa, che sia un singolo punto o un mondiale intero.
E nella sfortuna, di cui tutti parlano quando si fa riferimento alla sua carriera, Alonso è stato fortunato. Perché avrebbe potuto vincere di più, abbattere record e raggiungere i mondiali di Sebastian Vettel o di Lewis Hamilton, perché le scelte sono arrivate sempre nel momento sbagliato, perché tante cose sarebbero potute andare diversamente ma la Formula 1 non è terra fertile per i se e per i ma.
Perché è stato sfortunato, ma la sfortuna non lo rappresenta.
Riguardando indietro, nella lunga e travagliata carriera dell’asturiano nel giorno del suo quarantesimo compleanno, “sfortunato” non è la parola che più si addice ad Alonso. Lo è stata per tanto, forse troppo tempo, ma non lo è più. Fernando è un due volte campione del mondo di Formula 1, un due volte vincitore della 24 Ore di Le Mans, ha partecipato alla 500 Miglia di Indianapolis - la cui vittoria in futuro potrebbe regalarci la tripla corona del motorsport - e alla Dakar, dove si è posizionato settimo all’esordio.
È tornato a correre in Formula 1 dopo due anni di stop e si è subito dimostrato competitivo, agguerrito, pronto a battagliare con piloti che hanno quasi vent’anni meno di lui. Fernando Alonso è un combattente, uno che al suo carattere difficile deve quasi tutto ciò che ha, gioie e dolori di una vita intera.
Tra i tanti momenti indimenticabili della carriera dello spagnolo impossibile non ricordare Melbourne 2016 e quello che tutti ricordano come l'incidente più spaventoso della sua carriera. Al diciassettesimo giro del GP il Alonso colpì la gomma posteriore sinistra della Haas di Gutierrez, sbattendo poi contro il muretto, ribaltandosi varie volte e terminando la corsa contro un altro muretto di protezione. La scena, che tutti portiamo ancora negli occhi, è macabra. Alonso si trascina fuori da un cumulo di ferraglia informe, visibilmente stordito. Il giorno dopo il quotidiano australiano Herald Sun gli dedicò la prima pagina, battezzando Alonso come "l'uomo più fortunato del mondo".
Lui, il pilota più sfortunato della Formula 1 moderna, l’uomo più fortunato del mondo. Il controsenso di una vita, ma forse una delle più grandi verità che si possa dire di Alonso oggi, nel giorno del passaggio a quell’età - i 40 anni - che per i piloti è un punto di non ritorno. Perché Fernando Alonso deve tutto al suo modo di essere, al suo carattere impossibile, a quella fortuna che lo ha fatto andare avanti nonostante la sfortuna. E al motivo per cui oggi siamo ancora tutti pazzi di lui.