“Stringergli la mano è la cosa che mi manca di più”. È l’ultima cosa che mi dice Manuela. Manuela Mantegazza è la compagna di Franco Bolelli, Franco Bolelli era un gigante. Conoscevo Franco ma non lei. Da quando Franco è morto Manuela ha cominciato a scrivere del loro amore. Una delle più grandi storie di amore di cui ho letto e sentito parlare. Per questa l’ho chiamata. Forse per capire ancora meglio cosa è la mancanza; forse per capire come è possibile vivere con un vuoto. Non lo so il vero motivo. L’ho fatto e basta. L’ho sentito. Manuela, da quando Franco se ne è andato, tre mesi esatti fa, scrive sui social dei post che lacerano da quanta beltà e sofferenza comunicano. Manuela, ogni volta, prende il suo dolore, se lo toglie da dentro e lo espone agli occhi di chi legge. Un dolore nudo.
“Il dolore lo do in pasto a chiunque e poi che ne facciano quel che vogliono. Sono stata violentata da bambina, per anni sono andata in terapia e ho capito che c’è solo un modo per sconfiggerlo: attraversarlo tutto, entrarci dentro. Io e Franco avevamo una preghiera rubata a Sant’Agostino, che dice: lasciati travolgere dalla follia, dal dolore. E io lo faccio anche adesso”. Molti le dicono: lascialo andare. “Ma lui si arrabbierebbe tantissimo”. Si arrabbierebbe perché per 27 anni hanno vissuto stretti per mano, uniti. Lo hanno raccontato anche nei loro podcast, prima regola: l’intensità. “Chi l’ha detto che la passione dura tre anni? Mettiamo così tanta energia in qualsiasi campo ma spesso ce ne dimentichiamo negli affetti. L’intensità va mantenuta nel linguaggio, nel sesso, nelle attenzioni. La verità è che l’amore è un lavoro. Applichiamo la creatività alla cultura, nelle nostre professioni, ma va applicata anche alla vita, alla quotidianità. Davanti a me e a Franco la gente rimaneva spiazzata, noi ce ne fregavamo di non essere capiti, volavamo dieci metri sopra la terra. Sua madre ci prendeva in giro, diceva che sembravamo due adolescenti in preda di una tempesta ormonale costante”.
“Ho avuto solo un dolore che ancora mi lacera - le ha detto Franco continuamente e anche negli ultimi giorni: non averti incontrata prima, ma dall’altra parte averti incontrata è stata una cosa meravigliosa”. Racconta Manuela: “Avevamo circa 40 anni e figli già adolescenti. Fine 93, inizio 94, in una delle sue conferenze. Mi ha visto spuntare da dietro una colonna ed è rimasto folgorato. Ha sempre usato questa espressione: ti ho riconosciuta. Io ero uscita da una storia libera sessualmente per cui avevo sofferto molto e e lui nei suoi libri scriveva di eroticizzazione della vita. Questa cosa mi faceva paura. Ma poi durante una trasmissione, a lui e ad altri presenti hanno rivolto la domanda: tra una foresta amazzonica e una carezza cosa salveresti? Lui rispose diversamente”. Rispose così: “Scelgo la carezza, perché un mondo cresciuto a carezze non rinuncerebbe mai alla foresta amazzonica”. Gli ho telefonato per dirgli che sì, mi sarebbe piaciuto incontrarlo, e lui mi ha detto: che ne dici tra 5 minuti? E cinque minuti furono davvero”.
La più bella storia d’amore era partita. “Io stavo in disparte, la sua capacità di incantare lo rendeva circondato di fanciulle, io restavo in ombra e gioivo di poter godere di lui in privato oltre che in pubblico”. Come è possibile mantenere l’intensità? “Non scendere mai a compromessi, continuare a essere coraggiosi, a rischiare uno per l’altro, non smettere di pretendere perché può sembrare ingiusto quando hai già tantissimo chiedere ancora di più, più amore, più attenzioni, più tutto, ma perché no? Chi lo vieta? Noi dormivamo tenendoci per mano e se qualcuno si svegliava e si accorgeva che il contatto non c’era più subito lo ricercava. Franco mi diceva spesso: io ti tradirei molto volentieri se trovassi di meglio e se solo tu mi lasciassi lo spazio di farlo. E io sapevo che dovevo riempire continuamente quello spazio ed essere sempre la migliore versione di me stessa per lui”.
Vedere soffrire la persone che ami è la cosa più tremenda, dice Manuela. “Ho pregato che il suo dolore passasse a me, ma la verità è che non puoi farci niente”. Tumore. Franco ha perso 16 chili, è arrivato a pesarne 49. “Prima di lasciarmi mi ha ripetuto 3 volte la stessa frase.
Me ne sto andando.
Me ne sto andando.
Me ne sto andando.
L’ho abbracciato. Gli ho detto: aspettami. Ha fatto segno di sì con la testa. Sono venuti a prenderlo, non è arrivato al piano di sotto”. Sono successe cose strane da quando Franco non c’è più: “La mattina mi sveglio e mi tocco le labbra e vedo qualcosa che si allontana come se fosse un bacio che scappa. La notte non dormo più ma l’unica notte che ho dormito, quando ho aperto gli occhi, ho visto come un’ombra che scendeva, come se avesse dormito con me. Suggestioni? Può darsi. Ma noi, infondo, cosa ne sappiamo?”. Ogni tanto è tornato l’odore della sua malattia. “Odore di tumore, delle scariche di muco e sangue che aveva negli ultimi giorni. Ogni notte lo cambiavo ogni ora e odiavo, odiavo questo odore. Quando Franco è andato via ho pulito tutto poi una sera con suo figlio Daniele cercavamo una lettera ed eccolo, l’odore, lo abbiamo sentito e abbiamo riso per dieci minuti come due cretini. L’odore poi è tornato altre volte, in questa casa dove mi sono trasferita ancora no e prego che arrivi anche qui”.
Prima di provare a dormire Manuela chiede a Franco di riempirgli la mano, la mano diventa calda e lei si convince di addormentarsi con lui. Gli anelli di Franco adesso li porta lei. Quando morirà farà mischiare le proprie ceneri con le sue e poi le farà buttare nel lago di fronte al quale volevano andare a vivere insieme. Il dolore percorre due strade: o ti indurisce o ti permette di arrivare a un livello di conoscenza e di empatia sempre più alto, sempre più forte. L’amore puro è fragile. Alla fine la mancanza non è che una presenza che fisicamente non c’è. E non c’è niente di più sacro.