Mi sembra di capire che la Minetti vi stesse antipatica perché si vestiva male. D’altro canto, lei, mica se l’è dovuto sposare quell’anziano signore con cui, in alcune circostanze, ha deciso di accompagnarsi per il proprio tornaconto. Emancipata per davvero, si è accomodata in Regione e poi via per la sua strada. Certo, non ha mai brillato per i suoi gusti in fatto di abbigliamento, ma - se non altro - non è neppure mai stata intercettata mentre si lamentava delle domande dei cronisti sui bambini separati dai propri genitori al confine col Messico.
Tutto il contrario di Melania Trump, insomma, nelle ultime ore consacrata a definitiva reginetta di stile grazie a una Birkin da settantamila euro - come dice la Lucarelli: è dalle borse che si vedono le marchette.
Sì, lo so cosa state per dire: è tutto un gioco, uno scherzo, si fa per ridere e si fa perché Melania è una che non ha sbagliato un outfit in quattro anni sotto ai riflettori. Ma la verità è che il ruolo di idolo delle nostre senonoraquandiste le è stato attribuito fin dai primi istanti sulla scena presidenziale, per motivi che nulla hanno a che fare con il suo aspetto.
In “Come ho inventato l’Italia”, Fabrizio Corona, racconta gli inizi della futura first lady: “Melania Trump la conosco molto, molto bene. La conoscevano molto bene in tanti, quando si chiamava ancora Melanija Knavs ed era una slovena e dormiva al residence Pola, perché fu tra le ultime modelle o aspiranti tali dell’epoca d’oro dei modellari milanesi. Poi l’imprenditore Paolo Zampolli, in seguito diventato addirittura ambasciatore dell’Isola Dominica all’ONU, fondò ID Models a Manhattan. Nel corso di una settimana della moda newyorkese, nel 1998, Donald Trump era ospite d’onore a una cena organizzata da Zampolli. Melania era amica della fidanzata dell’italiano, un’altra modella di nome Eidith. Li presentarono e ora è first lady”. Una delle ultime modelle dell’epoca d’oro dei modellari milanesi. Una da residence Pola. Una che vent’anni dopo, con le sue espressioni scocciate, con il suo “pagherete caro, pagherete tutti” inventato dalla nostra cara Ester Viola, con la sua palese incapacità di nascondere un fastidio viscerale per un uomo considerato da tutti insopportabile - figurarsi da lei che ce l’ha intorno da vent’anni - si è fatta interprete di un (ri)sentimento comune, schierandosi involontariamente dalla parte dei buoni. Un trucco degno di una mentalista, che, come in un incantesimo, ha estirpato dalla memoria collettiva un piccolissimo dettaglio: lei, con quel fastidio, ci è scesa a patti al punto da aver acconsentito a sposarselo, uno come Trump. Ci è andata a letto, ci ha fatto un figlio. E, sia chiaro, nessuno è qui per dire che non avesse tutto il diritto di farlo. Libero mercimonio, in libero stato, per carità. Ma che questa, dopo averci mangiato sopra a più non posso, rappresenti ora la quinta essenza della resistenza militante, anche no, grazie. Perché se è vero che, come diceva Churchill, è meglio avere ragione, che essere coerenti, resta da capire se sia meglio avere ragione o non vergognarsi proprio di niente.