Ci sono degli argomenti tabù, che non si possono toccare altrimenti si scoperchia l’ira del web. I ciclisti in Italia sono uno di questi. Da una parte rappresentano una famiglia unita di amanti della bici, che è uno stile di vita e una categoria vessata da automobilisti aggressivi, da un’altra una casta che non vuol sentir critiche. Mettete da parte l’immagine dello sportivo con la tuta che si allena sulle strade italiane, rendetevi conto che è un ciclista anche una signora che fa la spesa in paese, un ragazzino che scorrazza sulla mountain bike, chiunque guidi una due ruote.
Ecco, partiamo da qui.
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L’Italia è un paese pericolosissimo per i ciclisti. L’Agi sostiene che ne muoia uno ogni 40 ore, un dato agghiacciante. Sempre l’Agi: “Nel 2018, ultimo dato Istat disponibile, in tutto il Paese sono morte 222 persone coinvolte in sinistri che hanno riguardato biciclette. Elevato anche il numero dei feriti: 16.224 solo nel corso del 2018”.
Non ci sono abbastanza piste ciclabili, le strade sono un colabrodo, nessuno rispetta le regole fino in fondo. In primis, spesso, chi va in bici in gruppo fregandosene del codice della strada (Art. 182. Circolazione dei velocipedi. comma 1. “I ciclisti devono procedere su unica fila in tutti i casi in cui le condizioni della circolazione lo richiedano e, comunque, mai affiancati in numero superiore a due; quando circolano fuori dai centri abitati devono sempre procedere su unica fila, salvo che uno di essi sia minore di anni dieci e proceda sulla destra dell’altro”) e a seguire gli automobilisti si sentono in diritto di suonargli il clacson e aggredirli o cercare la rissa perché li rallentano.
Conosciamo bene le argomentazioni dei ciclisti contro gli automobilisti, ma questa non è una gara a chi è migliore dell’altro. Facciamoci una domanda: se per guidare un mezzo a motore devi prendere la patente, perché per pedalare non è necessaria? In fin dei conti è la strada il regno in cui si applicano le regole e quella è la stessa sia per chi sta in auto che per chi è in bici.
Altro esempio: avete mai visto nella vita un vigile urbano che multa una persona in bicicletta? Mai! Sfido chiunque. Eppure, avrete visto di sicuro schiere di ciclisti che passano col rosso, che fanno lo zig zag sul marciapiede e soprattutto che vanno contromano. Il contromano in bici ormai è sdoganato. Se in una strada cittadina ti azzardi a suonare il clacson a uno che ti viene incontro frontale ti mandano pure a quel paese. Perché chi è in bici è esentato dal sistema a rispettare delle regole, in quanto è quasi non normato. In macchina devi metterti le cinture, in bici non è obbligatorio avere delle protezioni. In macchina quando sgarri paghi multe e ti vengono scalati i punti dalla patente.
Vi pare un trattamento equo?
Se fossi un ciclista avrei una paura pazza a viaggiare per le strade italiane. Strette, scassate, senza corsie dedicate. Non siamo a Copenhagen dove la gente va al lavoro in bici con un metro di neve, o in qualche altro paradiso delle due ruote. Nella maggior parte dei casi le strade sono le stesse di cinquant’anni fa, quando le macchine erano molte meno di oggi. Eppure, il mondo è cambiato, i mezzi si sono moltiplicati e le regole sono più complesse.
È possibile instaurare un dibattito su un tema del genere senza finire nello scontro tra ultras delle quattro ruote contro quelli delle due?
Quanti morti ci vogliono, ancora, prima che la politica si interessi realmente di questo problema?