Signori oggi è il 59° compleanno di Massimo Giletti, il nome più divisivo del giornalismo tv in Italia. e vi starete chiedendo dove sta la notizia. La sua storia, è una notizia, anzi un romanzo e merita due righe.
Venuto dal nulla, anzi dal biellese, figlio di una famiglia di industriali d’altri tempi (il nonno Anselmo portò 1000 operai, una chiesa e l’ambulatorio in un territorio in cui c’erano solo pascoli di pecore), cresciuto in mezzo ai macchinari per filati, agli operai e ai campi, avvezzo ad acchiappare rane e girini e a giocare e subire scherzi dai due gemelli più grandi di lui (una volta lo lasciarono solo in mezzo all’isolotto di un lago), il Massimo Giletti che non conoscete sembra un personaggio da film, stile Il profumo del mosto selvatico.
Poi c’è il Giletti pubblico. Bello, asciutto, sportivo, piscina tre volte a settimana, corsetta, palestra, corsa, solitudine quasi ascetica. Tanti amori ma pochissimi nomi, che non vuole rivelare nemmeno sotto tortura. Tra le tante storie una con la Clerici (sogno erotico dell’uomo vero, che una volta sarebbe stato definito dispregiativamente “uomo medio”).
Anche Giletti è così, medio ma assolutamente sopra la media.
Sguardo dritto in camera e a volte pose da attore che si può tranquillamente permettere perché è bello ed è un abile manipolatore dei sentimenti. Ma diciamolo pure: da uno che ci marcia, perché no? In fin dei conti il suo mestiere è tenere in mano il pubblico e quello nessuno glielo può criticare. Lo sa fare.
Quando lo cacciarono dalla Rai disse che dava noia a qualcuno ed è una frase che si sente molte volte a mo’ di lamento, ma nel suo caso è del tutto plausibile. L’Arena andava forte, faceva il 20% di share e il direttore di rete cancellò il programma senza nemmeno comunicarlo di persona al conduttore che lo apprese da un blog. Non se la prese, fece di più: si vendicò, in pieno stile gilettiano. Fece le valige e migrò da Cairo su La7 dove ancora tiene banco ogni domenica.
Gli danno del populista ed è questa sia la sua forza che la sua debolezza. Perché non è populista -il populista vero non esiste è anzi qualcuno che si definirà sempre vicino al popolo- e lui fa spallucce. Aldo Grasso lo ha più volte smontato e in questa stroncatura c’è tutto quello che di Giletti in Rai non veniva accettato. Non è Fazio ed è fazioso, conduce in piedi (lo ha imparato a I fatti vostri) e non porta la cravatta, si lancia in lunghi monologhi dritti in camera che sembrano dei piani sequenza di una telenovela. A dieci anni la madre lo portò a Lourdes e da quel giorno c’è stato almeno trenta volte. Li decise che avrebbe fatto il giornalista.
E lo ha fatto senza diventare Paolo Brosio, senza essere macchietta nonostante tutti provino a farlo passare come tale. Si laurea in Giurisprudenza con 110 e inizia la carriera universitaria a Londra. Mica pizza e fichi. Gira il mondo per metà della sua vita grazie all’esperienza di lavoro con il padre nell’azienda di famiglia. Ma era un padre-padrone, uno che voleva comandare e Massimo mollò con rammarico anche lui, a cui ancora è devoto a suo modo. Era necessario tagliare il cordone con la famiglia.
In quella fase si innamora di Mixer di Minoli e dice: io voglio essere così. Dopo un anno di tassellamento metodico Minoli cede e lo prende con sé. Un sogno che si avvera. Invece che ricevere complimenti in casa gli dissero che la tv era roba da cretini. Lui andò dritto come un treno.
In tv ha fatto di tutto: è comparso in Fantozzi 2000 - La clonazione come in Tolo Tolo di Checco Zalone, ha condotto due volte lo Zecchino d’Oro, sedici edizioni di Una voce per Padre Pio e Unomattina in famiglia.
Però però si scanna con Berlusconi, con Capanna, con De Luca, la sua inchiesta sull’Inps di questo inverno è stata stu-pen-da, fa un casino che non guarda in faccia a nessuno. Difende Corona, attacca Selvaggia, cazzia Arcuri.
Di lui si dice che sul lavoro sia marziale, terribile, che arrivi a tormentare i collaboratori. Vuole il massimo e lo ottiene. Così ha imparato da un padre severissimo a cui deve tutto, uno che aveva le amanti, che aveva vinto la Millemiglia nel 53, che pianse di nascosto quando il figlio si licenziò con una lettera.
Attorno a lui sono evidenti le invidie e le maldicenze. In pochi avrebbero retto i fiumi di inchiostro e critiche riversatosi sulla sua schiena. Cattiverie vere come quelle de L’Espresso che scrisse della sua tv: «I temi trattati sono rodati, conditi da quel pizzico di populismo che appassiona il giusto. Argomenti capaci di catturare l’attenzione di chi solitamente guarda la tv dei giochi preserali. E che per sentirsi coinvolto deve metabolizzare notizie non proprio fresche di giornata. Come quando dal parrucchiere si sfogliano le riviste».
E invece eccolo li, ogni domenica, che entra trionfale con Vasco in trasmissione, che scava nel caos della cronaca e spesso e volentieri fa più servizio pubblico lui di molti colleghi in RAI.
Può stare sulle palle, può essere criticato, ma nessuno può mettere Giletti in un angolo.