Trascendono dall’idea stessa del guadagno in quanto mercimonio, miserabile, se vogliamo. Il profitto sguarnito di innocenza, il cinismo e la pragmaticità anaffettiva, contraccolpo della natura umana, è oramai superato, sembrerebbe, adulato da sopraggiunte levità. Del tipo: denaro e margherite. Non denaro uguale sterco del diavolo. I nuovi forzieri dell’idea geniale tutta concentrata nel cosiddetto e-commerce sono giovanissimi, entusiasti, vitaminici. Una positività da infanzia e adolescenza riuscita, normale, borghese. Da: puoi tutto, ce la farai. Al punto che non una sanissima angoscia angustierà i loro sonni. Una vita bruciata. E noi, da mamme (in quanto chi vi scrive lo è), siamo felici, orgogliose. Bravi bravi, come battere le mani in prima fila, alla recita di Natale. E tuo figlio non dimentica una battuta. Così. Bravi bravi. E sono figli nostri, a guardarli. Ad esempio Mattia Ruta. Altro diciannovenne già galvanizzato da robuste certezze. La sua azienda, dice, fattura 400mila euro al mese. Il sistema è quello che abbiamo verificato nei colleghi coevi, giovanissimi e “proteinizzati” (beveroni da sorseggiare all’ultimo piano di un grattacielo di Dubai è il must).
Mattia Ruta prosegue sul solco della tradizione appena inaugurata, tutto sommato. Generazione di imprenditori due punto zero, premiati dai giornali dell’alta finanza, che guardano con occhi benevoli e insieme sospettosi al fenomeno imberbe. Mattia vende corsi, ti aiuta a diventare un vincente, la formula non si sgancia dal solito trend. Credici, credici, credici. Mattia Ruta, ad esempio, pare abbia cominciato con una serie di boutique segrete. Ma perché segrete? Poi ha iniziato a consigliare gli amici. “Fai così”, e quelli facevano così. E guadagnavano soldini ogni mese. E “Se arrivi a diecimila euro”, dice Mattia, “ne vuoi ancora”. E certo che ne vuoi ancora. E allora “produci”, dice Mattia. Non è complicato, non è facile. Ma è semplice. Dice. E guardate che l’esortazione messa in fila fa davvero effetto. E paura persino. L’incrollabile certezza. Ti va di dare una sbirciatina allo specchio e meditare: non hai capito un accidente della vita, ecco tutto. Non sei mai stata sicura nemmeno del tuo numero di scarpe.
“Il vostro più grande errore è non provarci”. Tuona Mattia da un Reel promozionale, ma con un sorriso, o la faccia del bravo ragazzo che ha risolto l’equazione impossibile del compito di matematica in quinta liceo. E la sensazione finale è nell’ordine: repulsa, ammirazione, sgomento. Mattia non è un fuffaguru e nemmeno i suoi sodali coevi. No. È un positivista, uno che apparterrà a una schiera di una neo razza degli anni duemila. Specie di bambini indaco per vocazione. Inscalfibili. Giovanottoni che mettono un punto a ogni passo e dopo alleneranno i tricipiti con l’identica tranquillità di esistere. Un continuum di prassi applicabili scambievolmente tra vita e lavoro, che comunque a occhio e croce per Mattia coincidono, senza che per forza si debba sudare le sette camicie. Il lavoro del futuro è un lavoro privo di sudore. Di anima. Di fatica. Un riscatto motivato, che veramente non ispira impeti eroici, ma appunto per quello ci va di esultare: evviva.
Lavorare collocandoci nell’esitazione altrui, traducendola in un piano volitivo e didattico, da prendere in prestito e farne una vita, una vita con lavoro. E guadagnare molti soldini, promette Mattia, non sudare, non spaccarsi la schiena. Bisogna che si resti in salute, che ci si tenga bene, la perfezione e la solarità che non emana chiarori, ma moniti impliciti, puoi farcela: comprati le scarpe giuste però. Beh, insomma, l’insita crudeltà è non troppo segreta, né tantomeno implicita, eugenetica smorzata di ferocia. Eugenetica punto. A diciannove anni non ti farai le canne, piuttosto regalerai vacanze da sogno ai tuoi genitori, ai quali non chiederai mai più la paghetta. Mattia Ruta docet.