Stanno facendo discutere le dichiarazioni di Roberto Saviano, giovedì sera ospite a Piazzapulita, su La7, dove ha spiegato senza giri di parole il proprio diritto a odiare alcuni politici che, a suo dire, portano avanti da tempo delle campagne d’odio. Nel mirino dello scrittore napoletano, i leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni e della Lega Matteo Salvini: “Io sono ben felice di essere contro” ha esordito, per poi sottolineare che, in particolare Meloni “mediaticamente cerca di accreditarsi come un leader democratico che non è con i toni, né nei programmi. Nessuna democrazia accetterebbe questo modo di aggredire gli immigrati...”. E neppure quando il conduttore Corrado Formigli gli ha ricordato che gode di una legittimazione elettorale la sua invettiva si è placata: “È sufficiente? Non sono sicuro”. Tanto da portare l’esempio della tedesca Enissa Amani, una comica condannata per aver offeso un politico di destra e che preferisce andare in carcere pur di non pagargli il risarcimento. "Lei dice: 'Stiamo legittimando il loro linguaggio, noi dobbiamo alzare la tensione, arrivare a uno scontro”. Così a sua volta, Saviano si è detto “ben felice di essere contro. Lo sarò sempre verso questo tipo di partiti e di persone. La mia è una campagna d'odio? Lo sia! Lo sia, contro questo tipo di politici!”. Che all’odio, o presunto tale, si risponda con eguale o maggiore quantità di odio, però, è un concetto che non è piaciuto per niente a Nando Dalla Chiesa. Lo scrittore, sociologo e docente universitario – nonché figlio del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, ucciso dalla mafia nel 1982 – è infatti convinto che “non si può esortare all’odio, perché è un patrimonio culturale progressista”. E che proprio gli intellettuali, invece, dovrebbero “ridurre la quantità di odio nella società”.
Professore, condivide la “campagna d’odio” che Roberto Saviano ha detto di voler innescare contro i politici che, secondo lui, portano avanti essi stessi campagne d’odio?
“Non condivido. Intanto non si può esortare all’odio. Credo che questo sia parte di un patrimonio culturale progressista al quale non possiamo rinunciare”.
Perché è sempre meglio non odiare?
“Perché odiare, mi chiedo, quando si può disprezzare o ci si può indignare. Ma l’odio è un’altra cosa. Non è un mondo che ha bisogno di iniezioni di odio, anzi, ce n’è fin troppo. Semmai bisognerebbe mettere in guardia dall’odio che alcuni propongono, sottotraccia o apertamente. Il nostro compito è di ridurre la quantità di odio nella società, non di alzarlo. Che non vuol dire non sapersi difendere”.
Saviano ha portato l’esempio di Enissa Amani, una comica tedesca condannata per aver offeso un politico di destra e intenzionata ad andare in carcere pur di non pagargli il risarcimento.
“L’odio è diverso dal qualificare negativamente una persona. Anche se gli avesse detto ‘sei un farabutto’ non significa odiare, ma prendersi la responsabilità di aver qualificato in modo spregiativo una persona con le conseguenze che il codice può comportare. Non è una manifestazione di odio, ma di disprezzo. Di impossibilità di tollerare certi comportamenti, di indignazione estrema. L’odio è un’altra cosa. Le parole hanno un peso e chi scrive dovrebbe saperlo.
Come Saviano, anche lei da sempre si batte contro le mafie. Crede che in questo periodo, in cui c’è preoccupazione per utilizzare al meglio i soldi europei del Recovery Fund, la lotta alla criminalità organizzata sia passata in secondo piano?
La mafia, purtroppo, non è un fenomeno estraneo all’uso dei fondi che arriveranno all’Italia, quindi le due questioni non sono alternative. Bisognerebbe ricordare che la mafia è un convitato presente, non invitato ma che si inviterà da solo. Quindi è necessario impedire che si appropri con la corruzione o l’intimidazione di una quota di quel denaro che dovrebbe essere rivolto al bene dell’Italia, non al male. Credo se ne parli poco e in modo dilettantistico.
Quando sente parlare in modo dilettantistico di mafia?
Per esempio quando dicono ‘ormai non è più la mafia di una volta’ riferendosi alla sola corruzione. Andatelo a raccontare a qualcun altro. Fate invece le ricerche sul campo e vedrete se non è presente anche con le intimidazioni. Magari non fa le stragi come una volta, ma come abbiamo elaborato in università con il concetto di “violenza a bassa intensità” prosegue la sua attività scoraggiando e facendo paura. Una bomba in un cantiere fa paura ed è una forma di violenza. Così come se un consigliere comunale fa una richiesta di accesso agli atti e la sera si ritrova l’auto devastata, non è che non subisca una violenza provando paura. Questa idea che la mafia sia ormai solo corruttiva è frutto di una grande distanza dalla realtà.
Che consiglio darebbe al premier Mario Draghi?
Gli ricorderei di quando venne all’università Statale con don Ciotti nel 2011 e, davanti all’aula magna strapiena, spiegò perché la presenza della mafia è nemica dello sviluppo. Le ha dette lui quelle cose e non credo le abbia dimenticate. Un governo presieduto da lui dovrebbe avere la possibilità di dar seguito a quel tipo di osservazioni. Se vogliamo che lo sviluppo non sia zavorrato, la mafia è la prima da colpire. Non si può ricostruire un Paese senza ridurre la sua presenza. E non basta il contrasto, bisogna ridurre il fenomeno mafioso. Proprio perché le parole sono importanti.