Ieri l’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) ha dato il via libera all’uso degli anticorpi monoclonali prodotti da Eli Lilly e Regeneron per la cura del coronavirus. Si tratta di una luce verde arrivata proprio nel momento di maggior attenzione mediatica nei confronti della cura, che in realtà era già balzata all’evidenza quando fu utilizzata per curare l’allora presidente USA Donald Trump ammalatosi di Covid-19. Di rapida efficacia in quel caso, fu tuttavia bollata come una “bomba medicinale” rischiosa e priva di approvazioni ufficiali, e presto ridimensionata nella categoria delle tante stranezze alle quali il tycoon ci ha abituato nel tempo.
Poi però, a distanza di mesi e in seguito alla sua approvazione per un uso d’emergenza da parte della FDA, sono arrivati dallo stesso universo medico-scientifico dei richiami all’attenzione sul trattamento, rientrante tra i pochissimi farmaci che sembrano garantire alle persone affette da coronavirus di arrestare rapidamente la progressione della malattia. In Italia, è stata la nota immunologa Antonella Viola a chiederne esplicitamente l’approvazione e l’introduzione, con specifico riferimento agli anticorpi monoclonali realizzati dalle compagnie Ely Lilly e Regeneron e rimproverando il “sorprendente ritardo dell’Europa”.
Per spiegare le parole della dottoressa Viola occorre chiarire che gli anticorpi monoclonali non sono affatto paragonabili ai vaccini, in quanto vengono solitamente utilizzati su pazienti già infetti. Un malato covid con decorso della malattia piuttosto serio rappresenta la linea temporale che ha messo in maggior crisi le strutture sanitarie di tutto il mondo, e di conseguenza causato la percentuale più alta di decessi. Detto in soldoni, cosa fai di fronte all’aggravarsi di una malattia per cui non c’è una cura? Ne sperimenti altre, ma possono non funzionare; quindi temporeggi per decidere cosa fare, ma il decorso è rapidissimo e troppe volte, specie durante la cosiddetta prima ondata, un simile processo si è tradotto molto rapidamente nella peggiore delle conseguenze.
Ecco, da questo punto di vista potrebbero subentrare gli anticorpi monoclonali, che da prime evidenze riscontrate sembrano poter garantire una riduzione del tasso di ricoveri fino al 70%, se somministrati in tempo. Per ora l’FDA e successivamente l’AIFA hanno approvato quelli delle compagnie USA Eli Lilly e Regeneron, chiamati bamlanivimab e REGEN-COV2.
Per chiarirne meglio natura e origini conviene affidarsi alle parole di chi è del settore; la ricercatrice Claudia Sala, membro del Monoclonal Antibody Discovery Lab di Siena, ne ha fornito una definizione piuttosto chiara in un’intervista rilasciata al quotidiano online Open, parlando di “proteine prodotte da una clonazione di cellule uguali […] questi monoclonali hanno una specifica capacità nel difendere l’organismo da SARS-Cov-2 e potrebbero diventare dei farmaci da somministrare a chi è infetto e aiutarlo a guarire.”
Secondo le indicazioni di AIFA ed FDA, dovrebbero essere somministrati il prima possibile dopo la comparsa dei sintomi, e utilizzati solo su pazienti ad alto rischio: over 65 anni, obesi, diabetici e affetti da malattie cardiovascolari o malattie renali croniche.
Tutto quasi schifosamente bello finora, ma quanto costano? Moltissimo a quanto pare: una dose si aggira intorno ai 2.000 euro per la sanità italiana. Fa scuola da questo punto di vista la Germania, che ne ha da poco acquistate 200 mila dosi per più di 400 milioni di euro.
Tuttavia in molti nel settore – tra cui la stessa ricercatrice Sala e il presidente dell’Aifa Giorgio Palù – mettono in evidenza un processo di compensazione che finirà per portare persino a un risparmio, vista l’enorme potenzialità di ridurre i ricoveri grazie al nuovo trattamento e stimando un costo medio dei ricoveri che si aggira sui 1.000 euro al giorno. Resta da capire ora l’investimento che verrà scelto dall’esecutivo su questo fronte, e le effettive evidenze mediche, finora rarissime in Italia. Una delle figure mediaticamente più in vista nella medicina del Belpaese, Andrea Crisanti, si è espresso contro gli anticorpi monoclonali, invitando il settore farmaceutico ad essere “molto chiaro”e notando come il primo trial di Eli Lilly, effettuato su pazienti con la malattia in uno stadio più avanzato, “ha fallito, perché ha mostrato di non funzionare”.