Mentre negli Usa le dosi di vaccino anti-Covid già distribuite superano gli 11 milioni, mentre la campagna vaccinale italiana si appresta a oltrepassare la prima soglia simbolica per diventare finalmente di massa, insomma, mentre il mondo si trova concretamente davanti alla possibile soluzione alla pandemia di coronavirus, c’è un colosso farmaceutico che sta per essere cancellato di diritto dalla temuta lista dei cattivi custodita dal senso comune mondiale.
È la Pfizer, vale a dire la compagnia USA che, quel vaccino di cui sopra, l’ha realizzato in appena 9 mesi, sbriciolando il record precedente nella velocità di realizzazione di un vaccino, detenuto dalla statunitense Merck & Company, che impiegò comunque 4 anni abbondanti a individuare un preparato anti-orecchioni, nel 1967.
Per risalire alle origini di quella che potrebbe essere presto individuata come salvatrice dell’umanità, bisogna tornare alla seconda metà dell’800 e alla cura di un'altra piaga dell'epoca: i vermi intestinali. Charles Pfizer, migrante dalla Germania e chimico specializzato, fondò allora l'azienda, un anno dopo il suo arrivo a New York con il cugino Charles Erhart, un pasticcere. Era il 1849, e da lì ci volle appena un anno per il primo sviluppo medicinale della compagnia: un antiparassitario chiamato santonina.
Intensificata l’attività con la crescita delle richieste di antidolorifici e disinfettanti nel corso della guerra civile, la vera svolta per Pfizer arrivò degli anni ’40, quando divenne la prima azienda a produrre in massa la penicillina.
Ma uno dei suoi farmaci più nominati e conosciuti è il Viagra, che agisce contro la disfunzione erettile. Scoperto nel 1989 e approvato solo nel 1998, con il suo successo ha portato Pfizer a cruciali operazioni di fusione con una serie di altre aziende, tra le quali Warner-Lambert, Pharmacia e Wyeth; mentre in tempi più recenti ha provato ad acquisire – per la bellezza di 69 miliardi di dollari – la rivale britannica AstraZeneca, che ha però respinto l’offerta. Stava persino per prendere sede in Irlanda nel 2016, vedendosi però bloccare la fusione con Allergan dal fisco americano, che individuò in quella mossa il solo obiettivo di evadere le tasse. Una circostanza, quest’ultima, che – insieme ad alcuni scandali recenti e l’insistenza su tutta una serie di farmaci decisamente lontani da un vaccino – ha contribuito a diffondere questa caricaturale figura di un colosso mangiasoldi, che calpesta chiunque sia necessario calpestare.
Ma ora? Ora tutto sembra già indirizzato verso un cambio radicale d’immagine, garantito dagli appena 9 mesi di lavoro per arrivare a un preparato anti-covid senza finanziamenti pubblici, e dalla comunicazione moderna e vicina alla massa costruita da Albert Bourla, CEO della compagnia dal 2019. Si deve in grossa parte a lui anche la spinta verso il cosiddetto processo di “revisione progressiva” dei vaccini, approccio che si discosta da quello classico e che ha di fatto affrettato non poco le procedure. Mentre di norma l’approvazione deve essere collettiva e vincolata a un fine sperimentazione, stavolta i dati sono stati girati alle agenzie di volta in volta non appena disponibili, senza mai fermare gli studi.
Insomma, gli assetti sanitari globali sono sconvolti, la disoccupazione cresce ovunque e il PIL mondiale sta crollando; ma la possibilità che a salvarci sia un colosso farmaceutico statunitense associabile all’odiato ‘cartello’ Big Pharma si fa sempre più concreta.
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