“Non sarà la propaganda sui social a far tornare in Italia Chico Forti. E non lo faranno tornare nemmeno gli annunci come quello fatto a dicembre dal ministro Di Maio, che ha avuto come unico effetto quello di irritare gli americani, tant’è vero che dopo sei mesi è ancora tutto fermo e non si sono ancora viste le carte per il trasferimento. Una situazione che addolora la famiglia e addolora anche me”: a dirlo è l’ex deputato Mauro Ottobre, che in particolare tra il 2013 e il 2018, gli anni in cui è stato in carica a Roma, ha fatto del rientro di Forti un proprio cruccio personale.
“Anziché fare proclami – sottolinea Ottobre, trentino come Chico – si sarebbe dovuto e si dovrebbe agire con la diplomazia e soprattutto facendo una cosa che ho fatto (e varie volte) praticamente solo io, tra l’altro a mie spese: andare fisicamente in missione a Miami per fare in modo di riportare Chico a casa”. Ottobre Forti lo ha incontrato, ci ha parlato di persona in Florida e ne ha ricavato una convinzione ben precisa: “Chico non è in prigione perché gli americani sono brutti e cattivi, ma perché era diventato un personaggio scomodo dopo il suo documentario-inchiesta che metteva in dubbio la versione ufficiale sull’assassinio di Gianni Versace e in particolare sulla morte del suo presunto killer Andrew Cunanan (derubricata a suicidio, ndr). E stranamente poco dopo l’uscita del documentario è stato incastrato per la morte di Dale Pike”.
Nell’inchiesta, realizzata nel 1997 e intitolata “Il sorriso della medusa”, Forti non entra nel merito di chi possa invece aver effettivamente ucciso o aver ordinato l’omicidio di Versace davanti alla sua villa di Miami, ma anche su questo Ottobre sostiene di avere un racconto di prima mano: “Chico è convinto che dietro ci sia la ‘Ndrangheta. Me lo ha detto davanti anche ad altri testimoni istituzionali. Evidentemente purtroppo il povero Forti interessa poco, ma è possibile che allo Stato italiano non interessi nemmeno scoprire chi ha ucciso davvero Gianni Versace?”
Per uno strano scherzo del destino, di recente lo stesso Ottobre, il cui padre era di origini calabresi, si è trovato coinvolto in un’indagine sulla ’Ndrangheta in Trentino, con l’ipotesi di reato di scambio elettorale politico-mafioso, a seguito di un incontro avvenuto nel 2018 con Innocenzio Macheda, ritenuto il capo di una cellula locale ’ndranghetista. “Un’ipotesi ridicola. Ero in campagna elettorale per le provinciali e – dice Ottobre, che peraltro in quella tornata non è stato nemmeno eletto – ho incontrato una volta questo signore (che era in Trentino da 40 anni e che non potevo certo immaginare nemmeno lontanamente in odore di mafia) come ho incontrato migliaia di altre persone per chiederne il voto, senza peraltro che questa persona mi domandasse alcunché in cambio. Ho collaborato con gli inquirenti (che tra l’altro mi hanno sequestrato il telefonino e hanno scoperto che non ho mai parlato con la mafia, mentre invece ho avuto parecchi contatti con l’antimafia) e proprio in questi giorni il mio avvocato presenterà richiesta di archiviazione, considerando che dall’indagine è emersa la mia estraneità ai fatti. D’altra parte la mia storia politica parla chiaro: una storia di atti parlamentari e concreti, incontri e promozione proprio contro la ’Ndrangheta”.
Tornando a Enrico “Chico” Forti, nato a Trento nel 1959 e trasferitosi in Florida negli anni Novanta, la sua vicenda giudiziaria è complicata e impossibile da sintetizzare adeguatamente in questa sede (si può approfondire qui), ma anche da un’analisi superficiale emergono anomalie e forzature, per quanto gli stessi innocentisti riconoscano alcuni errori commessi da Chico ma soprattutto dai suoi avvocati difensori dell’epoca. Quel che è certo è che nel 2000, dopo 24 giorni di processo, la giuria popolare della Contea di Miami-Dade ha giudicato Forti colpevole di omicidio di primo grado e per Chico è arrivata una condanna all’ergastolo senza condizionale. Ossia con possibilità di uscire solo da morto.
“Chico – dice Ottobre – avrebbe voluto la revisione del processo, ma progressivamente si è capito che per vari motivi non c’erano le condizioni, per quanto gli elementi non mancassero. Allora si è puntato perlomeno al rientro in Italia (il che comunque è ben diverso dal “Chico libero” di cui tutti parlano: anche nel nostro Paese dovrebbe scontare la pena), ma con il suo prematuro annuncio di dicembre Di Maio ha fatto un pasticcio e ha fatto arrabbiare gli americani. Gli americani non sono come noi. A loro non piace sentire che un condannato potrebbe uscire di galera e allora si sono irrigiditi, con il procuratore di Miami a esprimere pubblicamente il proprio disappunto. La riprova è che a sei mesi dall’annuncio le carte per iniziare l’effettiva pratica del trasferimento non sono ancora arrivate. Trasferimento che peraltro potrebbe avvenire solo con precise garanzie sul fatto che Chico sconterebbe la pena anche da noi, perché gli americani non vogliono farsi fregare”.
Dopo la nuova denuncia di stallo da parte della famiglia, la stessa Farnesina ha dovuto ammettere che “quella relativa al trasferimento in Italia del sig. Forti è una procedura complessa”. Ottobre concorda: “È molto complessa. Ed essendo molto complessa ha bisogno di diplomazia e non di tweet o annunci per far scattare i like o gli applausi facili ma mal riposti. Perché nessuno è andato fisicamente lì a occuparsi della cosa? Il rischio – conclude l’ex deputato – è che così Chico non torni mai”.