Passato Sanremo, finalmente è possibile tornare a parlare anche di altro. C’è un tema, però, che si ricollega a quanto avvenuto al teatro Ariston, ma che sarebbe bene approfondire in altre sedi perché, spente le luci dei riflettori, tocca la vita di tantissime persone. Parliamo dei diritti civili, che hanno trovato posto nelle esibizioni di Achille Lauro – oggi nel mondo dello spettacolo il simbolo del gender fluid - ma senza aprire realmente un dibattito nel merito della questione.
Ci abbiamo provato noi contattando Pietro Turano. Attore e attivista romano classe ’97, non solo conosce bene il mondo dello spettacolo, da anni infatti si batte per i diritti civili (anche sui social dove è molto seguito) e ricopre i ruoli di vicepresidente dell’Arcigay di Roma e di consigliere nazionale Arcigay. E se in fatto di tutele la sfera Lgbt “è messa malissimo” perché manca la volontà politica per una legge migliore contro l'omofobia e la transfobia “non solo a destra, così anche a sinistra a causa di moltissimi bigotti”, dopo l’ultimo Sanremo non ha più dubbi sul ruolo di Achille Lauro: “Noi lo definiamo ‘queerbaiting’, in pratica cavalca un tema come strategia di marketing” perché “piace all’italiano medio, il quale pensa che le cose da gay in tv è meglio se le propone un etero”.
Pietro, intanto a che punto siamo con i diritti civili in Italia?
Siamo messi malissimo a diritti civili. Non direi a un punto morto, ma sul piano legislativo abbiamo veramente poco o niente. Possiamo contare su una legge sulle unioni civili soffertissima, fatta a pezzetti rinunciando a molto in partenza e approvata con mille compromessi. Però non abbiamo ancora una legge contro l’omofobia e la transfobia di cui si parla da 30 anni. Anche stavolta è cambiato il governo mentre si votava e non si sa cosa succederà.
Come mai non avete ottenuto quello che chiedevate?
È una legge imperfetta e piena di compromessi perché è stato necessario mettere d’accordo tantissime opinioni diverse, anche nella maggioranza. Questo è il vero problema del paese, che sia a destra che a sinistra o al centro, ovunque c’è una larghissima componente che fa resistenza. È tutto un fatto di volontà politica. Prima avevamo una maggioranza che, in teoria, era democratica e di sinistra e volendo avrebbe potuto farla. Ma per quanto ci dicano che Meloni e Salvini sono brutti e cattivi, anche nel Pd è pieno di cattolici iper-bigotti che non accettano una legge come si deve, sennò l’avrebbero già fatta.
Eppure, viene evocata spesso la “lobby gay”, ma evidentemente non è così forte come la descrivono…
Infatti, ogni volta che sento evocare la “lobby gay” penso: “Magari ci fosse!”, solo che in Italia non è come in America, non esiste quel tipo di lobbysmo. Quando ci sono forze che fanno pressione non sono alla luca del sole. Come le raccomandazioni, negli Stati Uniti sono un processo naturale che funziona come garanzia, essendo trasparenti. In Italia invece sono percepite come un atteggiamento sporco e corrotto, perché non avvengono alla luce del sole e le si considera delle prevaricazioni fuori dalla meritocrazia. E così evocare la lobby gay è un modo pretestuoso per cercare di fermare certe battaglie sacrosante.
Quindi voi di Arcigay, se foste in America, vi sentireste legittimamente una “lobby gay”?
Noi ci priviamo come attivisti a fare pressione. È normale e anche giusto, perché rappresentiamo una comunità. Ma purtroppo vediamo i risultati… È come l’ideologia gender. È chiaro che esistono studi di genere, dei modi di concepire noi stessi dal punto di vista filosofico. È filosofia di indagine sul genere, un processo normale per esseri in evoluzione che si interrogano. Certo che esiste una indagine, ma non una ideologia come viene raccontata da certi soggetti in maniera strumentale.
Se nel Pd è presente una componente di “bigotti”, anche fra voi attivisti c’è chi oppone resistenza. Come Angelo Pezzana, che abbiamo intervistato nei giorni scorsi, il quale considera il fare outing “una moda” e la definizione gender fluid “pericolosa”. Come mai?
Al nostro interno siamo tutti diversi e diverse, ci accomuna una esperienza dal punto di vista identitario e quello che ne consegue. Poi ognuno ha il proprio percorso e quindi si sentono forti differenze. In particolare, per quelle generazionali. Chi ha vissuto epoche e problematiche diverse reagisce in maniera diversa. L’omofobia percepita da chi era adolescente 30-40 anni fa è per forza differente da quella di oggi. Si percepisce anche nel femminismo, che è un dibattito più visibile. Ma tanti temi emergono nuovi proprio oggi perché si evolve tutto, compreso il nostro modo di percepirci.
Per esempio?
La transessualità vent’anni fa non era come oggi. Abbiamo sviluppato nuove esperienze e modi di concepire il genere, di ricostruire ruoli e modelli. E non è detto che tutti comprendano l’evolversi di questo modo di percepirsi ed esplorare la propria sessualità. Io stesso mi pongo in senso critico.
In fatto di percezione, Achille Lauro come viene percepito dalla comunità Lgbt?
Non fa impazzire. Come principio può essere interessante quello che fa, ma non è credibile fino in fondo. Io la sento come una appropriazione culturale. Nella comunità viene definito ‘queerbaiting’, cioè una strategia di marketing: ti rendi conto che esiste un tema e te ne appropri essendo in una posizione di privilegio. Ma come mai non ci sono persone effettivamente ‘queer’ nelle sue esibizioni o a Sanremo? Quegli spazi sono sempre occupati da uomini etero, cisgender, bianchi che si possono permettere quella cosa. È interessante se fa quelle esibizioni per dare a quelli come lui una esperienza di decostruzione del ruolo di genere, ma allora è un simbolo etero contro la mascolinità imposta. Perché promuoverlo a icona gay? Adesso persino intellettuale, quando sbiascica solo due parole…
Insomma, non lo riconoscete come un simbolo?
Non ci sarà desiderio di fare qualcosa di scorretto da parte sua, sarà in buona fede. Però non posso non riflettere su questo, chiedermi il perché su quel palco realmente non ci siano altre esperienze diverse da quella. Diciamo che lui piace all’italiano medio, il quale pensa che le cose da gay è meglio se le fa un etero. Allora vanno bene anche in Tv.
Nel frattempo, nella vita di tutti i giorni i problemi rimangono. È di poco tempo fa la denuncia di un ragazzo di Caserta che non ha avuto una casa in affitto perché gay. Con quale frequenza avvengono questi episodi?
Continuamente! E rispetto ad altre storie, quelle legate alla comunità Lgbt sono molto meno visibili e raccontate, persino da noi stessi. Pensate che anche le persone più vicine a noi da questi episodi restano stupiti, invece sono all’ordine del giorno e su tutti i piani. Perché esiste ancora un livello di omofobia e transfobia che non sono atti di violenza o di odio manifesto, ma che viaggiano su frequenze molto più sottili. Si annidano in gesti quotidiani che alimentano le differenze e ci sottraggono alcune possibilità. “Va bene essere gay, ma con discrezione”. “Fallo a casa tua”. Sono ancora queste le mentalità in molte parti d’Italia. È capitato anche a me di non trovare casa in affitto con il mio ragazzo. Eravamo già in fase finale, ma quando siamo andati a vederla e la proprietaria ha capito che avremmo vissuto insieme la casa è diventata “non disponibile”. Non ti dicono il perché, però da un momento all’altro si erge un muro.
Per questo vorreste una legge più articolata?
Sì, perché non c’è una base normativa e legislativa e quindi ti senti solo, non riconosciuto. È fondamentale veicolare un tipo di cultura diversa, al di là di quanti casi possano essere intercettati da quella legge. In questo modo cambierebbe la cultura, invece siamo ancora al punto di partenza.
Quando si parla di “cambiare la cultura” di un pauese, spesso all’origine c’è la scuola. Credi sia necessario che certe tematiche entrino sempre di più negli istituti scolastici?
Assolutamente sì, infatti noi come associazione facciamo tante attività nelle scuole. Più che educazione sessuale, servono educazione all’affettività e contro il bullismo. E non è semplice, perché anche lì ci sono tanti i pregiudizi e così forti che ogni volta che entriamo in una scuola o chiediamo di attivare progetti saltano fuori genitori che si oppongono, poi scopriamo che fanno parte di associazioni per la “famiglia tradizionale” e che fanno pressione sui dirigenti scolastici. I dirigenti scolastici non è che non possano farci fare queste attività, solo che dopo certe pressioni preferiscono spesso lasciar perdere. Ma ce ne sarebbe un bisogno enorme. Io come responsabile delle scuole, ogni volta mi rendo conto di quanto i ragazzi cerchino punti di riferimento su questi argomenti, visto che proprio i più giovani si interrogano moltissimo sulla propria identità. Oggi accedono a quantità enormi di informazioni grazie ai social e hanno desiderio di organizzarle e ragionarci. Ma gli mancano i punti di riferimento e se anche mettono in discussione i ruoli di genere, non hanno gli strumenti per fare quel lavoro su loro stessi.