“A differenza di Eurovision, la cui reputazione è affondata, Intervision punta a consolidare le relazioni internazionali riservando una particolare attenzione al rispetto della sovranità culturale dei Paesi partecipanti”. Difficile capire male. Sono le parole che circolano tra i media russi, come riporta il Corriere della Sera. Putin ha deciso di riportare in vita l’Intervision, il lazzaro musicale sovietico, una creazione da Guerra Fredda. Ma stavolta si assiste a un rovesciamento fino a pochi decenni fa considerato impensabile. Non più Russia contro Stati Uniti, ma Stati Uniti alla corte russa. Marx, ne Il 18 Brumaio di Luigi Bonaparte, scrive: “Hegel nota in un passo delle sue opere che tutti i grandi fatti e i grandi personaggi della storia universale si presentano, per così dire, due volte. Ha dimenticato di aggiungere: la prima volta come tragedia, la seconda volta come farsa”. Questo evento pare dimostrarlo chiaramente.
La delegazione statunitense, annuncia l’emittente statale Tass, sarà presente il 20 settembre al festival musicale dai chiari intenti geopolitici messo in piedi a tre anni dall’inizio della Guerra di conquista dell’Ucraina (uno Stato sovrano). Mentre Zelensky viene mortificato alla Casa Bianca, Donald Trump corre al Cremlino. A dispetto dei modi forti, il presidente Usa è mansueto con dittatori e autocrati. Nel numero del 20 febbraio 2025, il Daily Star rappresentava il leader Maga come il cagnolino dell’ex agente del Kgb, ma basterebbe ricordare i due ultimi lavori di Bob Woodward (premio Pulitzer per il giornalismo) su The Donald per capire quale sia la posizione di Trump nei confronti di Putin: quella della missionaria.

D’altronde lo avevamo già spiegato, Trump, con un perfetto atteggiamento da “Quinta colonna” (si veda lo studio dello storico delle idee Alexandre Koyré), per mantenere il suo potere deve aggrapparsi ai suoi simili e umiliare chi gli imponga di riflettere democraticamente (per esempio i leader europei). Basterebbe vedere i Paesi che parteciperanno per capire di cosa parliamo: Russia, Bielorussia, Kazakistan, Kirghizistan, Uzbekistan, Iran, Cina, Venezuela, Egitto, Qatar, Cuba, e Serbia. C’è chi sperava – per esempio lo storico Niall Ferguson – che Trump, in questi mesi, stesse cercando, con una manovra nixoniana, di avvicinarsi alla Russia solamente per colpire e isolare la Cina. Poi gli accordi cinesi, per creare un po’ di caos, poi l’attacco all’Iran, dando fastidio alla Cina e un po’ alla Russia, tra rifornimento di petrolio e di armi.
Trump in realtà vive in un perenne stato confusionale, l’unico ammesso dal suo governo, che invece vorrebbe fare ordine su qualsiasi altra questione, cancellando sfumature e complessità. Da qui l’attacco alla libertà di espressione nelle università. La partecipazione al concertone putiniano non è altro che una conferma di come un presidente sostanzialmente antidemocratico debba puttaneggiare con i potenti per ricordare agli storici alleati, l’Ue su tutti, chi comanda. Geopoliticamente una mossa da bullo, che ha almeno il merito di dimostrare chi è davvero Trump. Un cantante stonato in una democrazia. Un campione della lirica nell’autocrazia.
