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Quello che mi ha lasciato Lele Adani. Tre parole: umiltà, amore, libertà

Moreno Pisto

12 maggio 2021

È per uomini come Lele Adani (la nostra cover story di fine campionato) che amiamo il calcio e che amiamo gli sport in generale. Fatti di sacrifici, rispetto, volontà e spirito infantile. Che per molti è una brutta cosa, per me è la chiave per continuare a essere curiosi, intransigenti. Per continuare a emozionarsi. In faccia ai cinici e ai presuntuosi

di Moreno Pisto Moreno Pisto

Aneddoto personale: sono sull’aereo di ritorno da Madrid, dopo aver visto la Juve perdere 2 a 0 contro l’Atletico Madrid ai quarti di Champions. Poche file davanti a me si mette a sedere proprio lui, Lele Adani. La gente lo assilla e lui parla con tutti e non lo fa per cortesia, lo fa infiammandosi, gesticolando, con fervore. Dando retta a chiunque. Penso: magari vuole riposarsi, magari vuole leggersi un libro, magari vuole farsi semplicemente gli affari suoi, non si romperà le palle a confrontarsi con perfetti sconosciuti per minuti e minuti? La risposta è no. Da qui ho capito quanta verità ci fosse nelle sue telecronache, quando ha urlato per il gol di Vecino all'ultimo minuto di Inter Tottenham, tirandosi addosso le critiche di essere troppo interista. O quando, mentre Lukaku correva verso la porta vuota palla al piede, gridava: "Andatevi a leggere la sua storia!". Non c'è tifo nei suoi entusiasmi. C'è verità, appunto. C'è amore. C'è fede. Verso il calcio con la C maiuscola. Per questo gli ho voluto dedicare una cover story, perché puri come lui ne sono rimasti pochi, pochissimi. Per questo quando ci siamo visti ci siamo abbracciati come se ci conoscessimo da tempo.

 

Lele Adani arriva dai campi di calcio, ma pare un professore di filosofia. Ex difensore di Brescia, Lazio, Inter, Fiorentina, adesso commentatore tecnico di Sky. Il migliore. Ci mette lo studio e il cuore, il cazzeggio e la lungimiranza, l’adrenalina e la riflessione, riesce a tenere insieme il clima da studio televisivo di Sky Sport e quello da bar della BoboTv su Twitch. E parla del calcio come un vescovo parla del Signore. Le parti più belle dell'intervista, per me, sono quelle più intime. Su sua madre: «Mia madre era un'anima superiore. Se uno dovesse dirmi come la raffiguro io rispondo: Dio. È per questo che ho fede. Con lei è andata via una parte di me, però la trovo ogni giorno, in una tazza di té piuttosto che nella brezza mattutina, tutto mi riconduce a lei e quanto mi manca il suo abbraccio, non posso farne a meno eppure non lo trovo». Sulla fede: «Chi ha fede prega, i modi di pregare e le conversazioni con Dio sono infinite e la cosa principale che mi dà la fede è l'ambizione di essere giusto e soprattutto la forza di non tradire mai il percorso che mi ha portato fino a qui. La gente deve sapere quanta fede ci ho messo ogni volta che ho fatto un allenamento oppure ci metto quando mi preparo a commentare una partita».

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Lele Adani al centro con il fotografo Ray Banhoff, a destra, Moreno Pisto e suo figlio a sinistra. Dietro un'opera di Simone Fugazzotto

Intervistandolo mi sono venute in mente diverse parole. La prima, umiltà. Mi ha raccontato: «A fine carriera sono tornato alla Sammartinese, ero ancora giovane, avevo 34 anni, ma dopo l'infortunio all'ernia che ho avuto con l'Inter non sono stato più il giocatore che ero prima e ho pensato che sarebbe stato bello concedere a me stesso e alle persone a cui voglio bene gli ultimi momenti della mia carriera, tornare nei campi dove mi allenavo da piccolo, a disposizione dell’allenatore che era proprio il mio amico Massimo, quello con cui giocavo a pallone per strada». La seconda, amore: «L’amore è la più grande forma di rispetto verso te stesso e gli altri, per me è una condizione che allo stesso tempo è logica e illogica, razionale e istintiva. Arrivo a dirti questo perché se ti dovessi dire cos'è Dio, ti direi che Dio è amore, allo stesso la forza della fede ti porta ad aprire il cuore verso il mondo, verso le cose terrene e ultraterrene, io ricevo amore ma devo dimostrarlo nel quotidiano, perché c'è un compito da assolvere in questa vita e ognuno deve trovare il suo». La terza: libertà. «Il mio personaggio guida è Muhammad Ali, ce l'ho tatuato in tutti i modi. Ho la sua figura, il suo nome, la sua scritta “float like a butterfly, sting like a bee”. Ciò che mi illumina è una filosofia. Un modo di pensare, un modo di essere. Spesso mi dicono che sono una persona che spinge a pensare e che a volte divide, e io rilancio dicendo: “preferisco dividere cercando un senso di giustizia che unire nella mediocrità e per la convenienza”». È per uomini come Lele che amo il calcio e che amo lo sport in generale. Fatto di sacrifici, rispetto, volontà e spirito infantile. Che per molti è una brutta cosa, per me è la chiave per continuare a essere curiosi, intransigenti. Per continuare a emozionarsi. In faccia ai cinici e ai presuntuosi.

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La copertina digitale di MOW

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