Una foresta? Sì. Dentro un palazzo storico? Esattamente. Ma perché? “Per lanciare un messaggio politico”, risponde Andrea Bartoli, che insieme alla moglie Florinda Saieva da anni coltiva cultura, futuro e bellezza in uno dei territori più difficili d’Italia: la provincia tra Agrigento e Caltanissetta, in Sicilia. Lui notaio e consulente in progettazione strategica, lei professionista in ambito artistico-culturale, sono ormai conosciuti e stimati a livello internazionale per i loro progetti rivoluzionari nel campo dell’architettura, del design, dell’arte e della rigenerazione urbana e sociale. Uno di questi è Farm Cultural Park a Favara, nell’agrigentino: un cortile con altri sette cortili dentro. Insieme formano un centro culturale di nuova generazione, dal 2010 punto di riferimento per innovatori, artisti e studiosi da ogni latitudine, oltre che per la comunità locale. L’ultimo spazio realizzato all’interno di Farm è, appunto, Human Forest: una vera e propria foresta dentro un edificio storico abbandonato da decenni, Palazzo Miccichè. A curarlo sono stati Laps Architecture e Analogique, con il contributo di una folta squadra di botanici, psicoterapeuti, sociologi, paesaggisti, sound artist, giornalisti, consulenti in diverse discipline. “Se possiamo mettere piante in un palazzo in rovina – continua Bartoli –, possiamo farlo anche fuori, negli spazi urbani, nei viali e nelle piazze. Ovunque. Il nostro messaggio è proprio questo, ossia spingere le persone a carpire l’importanza di piantare alberi e, così facendo, di migliorare il microclima, le condizioni del suolo e il nostro benessere fisico”.
Maria Cristina, giovane decana dello staff, apre le porte e tra palme tropicali e cespugli ci inoltriamo nella Human Forest. L'orecchio si setta subito sulle vibrazioni della ghiaia scura che sfrega sotto i piedi (chi è abituato a scivolare ogni giorno sull'asfalto che ne sa?). Rumore, poi silenzio e iniziano i contrasti. Cemento e natura, frastuono e quiete, spazio e vuoto. Del resto siamo nella terra di Pirandello. Stanza dopo stanza, si fanno largo installazioni temporanee e permanenti, opere d’arte e giardinaggio, narrazioni visive di progetti che si incrociano con quello di Palazzo Micciché. Sullo sfondo, questa “giungla urbana” che avvolge ogni cosa. “È il nostro manifesto: tutti parlano di ambiente e di crisi climatica, ma concretamente quasi nessuno agisce. Noi lo abbiamo voluto fare con questa azione esemplare e iconica”, spiega Bartoli. Dal 2019 Farm promuove Countless Cities, la Biennale delle Città del Mondo e questo progetto di riforestazione ne fa parte. “La consapevolezza è che il genere umano è sempre più urbano: nelle città vive il 60% in più delle persone rispetto a prima; le città sono il luogo dove si gioca il presente e il futuro dell’umanità. Molte di loro offrono modelli virtuosi in termini di vivibilità, ma in generale sono luoghi sempre più insostenibili. Ecco perché entrando ci si imbatte subito in questo spazio di decompressione urbana, una dimensione terza per riflettere su sé stessi e sul proprio rapporto con la natura. Viviamo in una società in cui prevale la cosiddetta plant blindness: siamo talmente stimolati da migliaia di input che non vediamo più la natura intorno a noi. Al massimo la valutiamo come un oggetto, senza pensare all’importanza e ai riflessi che ha sulle nostre vite”. Nella Human Forest ha sede anche l’Ambasciata dei non umani, dove si rappresentano i diritti delle altre categorie, come animali, piante, intelligenze artificiali. E l’anno prossimo sarà la volta di “Abbiamo tutto, manca il resto”, un progetto sulla Sicilia con opere ideate anche da fisici quantistici. Viene da chiedersi se ci troviamo davvero in quella che, secondo la 34ª indagine del Sole 24 Ore sulla qualità della vita, si trova al 94esimo posto su 107 province italiane. A proposito di contrasti, però, nel 2025 Agrigento sarà Capitale italiana della cultura. “E Farm sarà partner”, replica Bartoli. “Inoltre metteremo la creatività al servizio di una causa cruciale come l’accoglienza, nei prossimi due anni trasformeremo sia lo spazio di prima accoglienza dei migranti ad Agrigento che l’hotspot di Porto Empedocle”. Un altro esempio concreto di riqualificazione, termine di cui spesso si abusa. “Ci sono parole che periodicamente assumono appeal, una di queste è “rigenerazione urbana”: quando abbiamo iniziato non credo esistesse, noi stessi abbiamo scoperto di occuparcene dopo anni (sorride). Purtroppo si assiste a queste forme di retorica da parte di chi vuole accreditarsi sui temi senza averne concreta esperienza. A volte è solo un pretesto per vendere gin tonic”.
“Spazio, ci vuole spazio, per la stabilità dei nostri corpi”, sostengono Colapesce e Dimartino. Ma come si inizia a cambiare i propri, di spazi? “Condividendo tutto quello che si ha e facendone un progetto di vita. Da valutare, correggere, modificare continuamente. A Mazzarino, nel nisseno, abbiamo inaugurato un nuovo spazio che si chiama Plurals, progettato insieme a 1200 teenager; oggi Sou, la nostra scuola di architettura per bambini, è in 25 città. Una delle nostre due figlie, Carla, appena ha compiuto 18 anni ha costituito un’associazione che si chiama Ring e si occupa di empowerment di bambini e adolescenti sui fenomeni geopolitici. Lavoriamo per il territorio, convinti che quello che facciamo sia utile anche in una dimensione nazionale”. Come si sostiene tutto questo? “Si tratta innanzitutto di progetti di restituzione, che portiamo avanti con risorse derivanti dai nostri lavori. Nel tempo, però, tutto è diventato molto più grande di noi e quindi abbiamo agito in maniera più strutturata: partecipiamo a bandi, abbiamo una biglietteria e degli sponsor. Inoltre offriamo attività di consulenza a privati e istituzioni, perché non siamo semplicemente un sistema di centri culturali, ma una realtà al servizio della collettività”. Nel frattempo siamo arrivati fin sulla terrazza di Human Forest e la vista sulla città, sulla terra arsa di Sciascia e Camilleri, sull’imponente cattedrale di Favara ci dà ora un senso compiuto di comunità e identità, che in fin dei conti sono la linfa di questa vegetazione. Rimane solo un dubbio: Human Forest o bosco verticale? “Entrambi, perché hanno una funzione diversa: una è strutturale, l’altro è estetico”. Insomma, per tutto c’è uno spazio, se si vuole. E se il cielo può stare in una stanza e un cammello in una grondaia, figuriamoci una giungla in un palazzo.