Il periodo non è dei migliori. Il Coronavirus non ha fatto altro che far emergere tutte quelle precarietà che caratterizzano l’Italia da sempre: i lavoratori senza contratto, quelli a partita IVA e gli sfigati camerieri a chiamata. I limiti strutturali delle scuole e gli investimenti pari a zero sulla didattica. La sanità pubblica disossata, che lentamente striscia verso una privatizzazione.
Terreno fertile per imbastire rivolte nelle piazze, come è successo un po’ ovunque in Italia sul finire di ottobre, come sta continuando a succedere in maniera meno organizzata e come non è da escludere accada di nuovo, se l’esasperazione dovuta alle chiusure - anche e soprattutto in vista del natale - non dovesse placarsi. Ma quali rischi corriamo per davvero?
Per capirlo, è necessario comprendere chi abbia effettivamente preso parte a questo tipo di violenze e quali motivazioni abbiano realmente spinto queste persone a scendere in strada.
Quanto al primo aspetto, le differenze tra quanto accaduto a Napoli e quanto successo a Torino, ad esempio, sono evidenti.
Se nel capoluogo piemontese c’è stata una predominanza di saccheggi, di devastazione casuale, con le classiche scorie da contesti di adrenalina e casino, a Napoli, ma anche a Verona, chi si è scontrato con le Forze dell’Ordine sapeva perfettamente come muoversi.
Gli scontri di Verona, visti dalla parte dei manifestanti
Il manifestante inesperto, se non presta estrema attenzione a dove si muove e a cosa sta accadendo intorno a lui, ha ottime possibilità di venire massacrato dai reparti della celere, come successo a Firenze. Ma quelli che abbiamo visto per le strade di Napoli erano persone che sapevano perfettamente cosa sarebbe successo di lì a poco. Perché? Perché avevano con sé caschi integrali, armi (per lo più mazze) di diverse dimensioni, sapevano usare torce e fumogeni per creare scompiglio e avevano dimestichezza con bombe carta e molotov. Il commerciante che schiuma rabbia per i “ristori” ancora ben lontani dall’essere bonificati non si mette la cintura dei pantaloni arrotolata tra palmo e nocche, con la fibbia che penzola e che se ben lanciata spacca un lunotto, e non si porta acqua e limone per ridurre gli effetti dei lacrimogeni.
Le tv e i video circolati sulle chat di whatsapp, nei giorni successivi agli scontri, lo hanno mostrato chiaramente: ci sono stati momenti drammatici, con tafferugli e corpo a corpo in cui era chiara la presenza di una frangia esperta, abile a muoversi in questi frangenti, consapevole di come attaccare e difendersi dalle Forze dell’Ordine.
Gli scontri di Verona, visti dal lato delle Forze dell'Ordine
La domanda è: con la prospettiva di uno o più nuovi lockdown generalizzati, questi scontri sono destinati a diventare qualcosa di più esteso su scala nazionale, più organizzati ancora, qualcosa che possa vedere la partecipazione reale della gente comune? O rimarranno focolai di violenza organizzata dalla grande triade della guerriglia urbana ossia ultras, attivisti di destra e di sinistra?
Per capire cosa potrebbe succedere abbiamo contattato l’unico esponente delle manifestazioni di piazza delle scorse settimane che non si sia negato a un confronto. Il suo nome è Luca Castellini, dirigente nazionale di Forza Nuova, in prima fila tra le proteste di Verona, città in cui risiede e in cui sono scoppiati alcuni tra i maggiori tafferugli, oltre a Napoli, Torino, Roma, Milano e Firenze. Un nome balzato più volte agli onori della cronaca, il suo, quasi sempre in relazione alle sue esternazioni in qualità di soggetto al vertice della tifoseria organizzata della curva veronese, sponda Hellas Verona. Fu lui a dire di Balotelli che «è italiano perché ha la cittadinanza italiana ma non potrà mai essere del tutto italiano» o a ringraziare pubblicamente Adolf Hitler, per aver reso possibile i festeggiamenti della Curva Sud del 2017.
All’attivo anche il primo e unico bando ultra decennale che sia mai stato comminato da una società di calcio a uno dei propri tifosi. È questo, infatti, il provvedimento che la società Hellas Verona Football Club a preso nei confronti di Castellini, interdicendo il suo accesso agli impianti sportivi in cui giochi il Verona, fino al 2030. Un personaggio, insomma, in grado di farsi interprete meglio di chiunque altro, tanto di quella politica extra parlamentare che ha cavalcato i malcontenti di commercianti e categorie obbligate alla chiusura, quanto di quel mondo legato al tifo organizzato che qualcuno ha indicato come il vero serbatoio di violenti per alcuni degli scontri verificatisi nelle scorse settimane.
Castellini, il segretario della Polizia di Stato, Mazzetti, ha detto che “non sono manifestanti quelli che vediamo, ma criminali strutturati con tendenze para-militari”.
“Ci sono tante manifestazioni, pacifiche e statiche, e ci sono manifestazioni più numerose dove i paradigmi sono cambiati. Il problema è la polizia che soffoca le proteste. Si creano tensioni di piazza importanti, ma quello che lo Stato vuol far passare, ossia che ci siano gruppi che fomentano alle spalle dei manifestanti “buoni”, beh non è vero. C’è qualcuno che per attitudine sa scontrarsi, ok, gente arrabbiata che alza il tiro, ma anche le Forze dell’Ordine alzano il tiro e inspiegabilmente caricano, arrivano con gli idranti, lanciano i lacrimogeni, invece di far defluire e controllare. Nessuno vuole assaltare le questure. In prima linea c’erano anche ragazzi di periferia, immigrati di seconda generazione, gente normale”.
Però a Verona si sono viste scene che ricordano gli scontri che si verificano in prossimità degli stadi o nelle trasferte dei gruppi ultras. C’è un legame tra questi ambienti e quello che abbiamo visto?
“Sono proteste che sono arrivate a tanto perché la gente è esasperata dalla situazione. Ed è colpa anche delle Forze dell’Ordine che, nello specifico caso di Verona, hanno impedito ai manifestanti di arrivare nella piazza in cui si trova la prefettura. Se ci avessero lasciato defluire non sarebbe successo nulla, sono loro che hanno sbagliato”.
Ok, però: nelle manifestazioni c’erano sì persone normali, ma anche persone abituate allo scontro, che usavano la cinta e lanciavano torce. Ora, queste persone abituate a scontrarsi, possono creare unione e aumentare l’intensità delle rivolte, o allontaneranno la gente dalle piazze?
“Secondo me, e io parlo di quello che ho visto in Veneto, c’è una forte esasperazione da parte della gente che lavora, della gente che dice basta. Il fatto che vengano sostenuti da persone abituate a manifestare, che hanno avuto trascorsi di piazza importanti è ovvio, e questa unione può creare un problema maggiore per lo Stato, ma è sempre un qualcosa che si crea a causa della situazione che viviamo. Non è che si creano incidenti per partito preso. Alla base c’è un malcontento sociale importante, e nasconderlo, e dare la colpa ‘ai quattro stronzi’ che fanno politica estrema o ad altri ambienti come lo stadio è un errore. Io parlo con tanti commercianti e ristoratori, che stanno alla testa delle manifestazioni, gente incazzata e disposta a ottenere quello che vuole come e anche più di un ragazzo che va allo stadio”.
Questa situazione potrebbe aggravarsi nel caso di nuovi lockdown?
“Potrebbe aggravarsi come no, a seconda del comportamento dello Stato, che non è centrosinistra o destra fucsia. Se ci fosse la destra al governo sarebbe uguale, avremmo sempre cittadini poveri e frustrati. Le proteste potrebbero aumentare perché a differenza di altri stati europei, dove i soldi si tirano fuori, in Italia i soldi non arrivano, e se arrivano sono pochi. Le persone comuni arrivano al limite di sopportazione e si possono creare sacche di resistenza spontanee. Questa è gente che non arriva a fine mese. La gente normale ha deciso di fare casino per pretendere di lavorare. Le persone che sono in strada vogliono lavorare o avere sostegno. È l’unico sistema che hanno per cercare di evitare che la loro vita, per come la conoscevano, finisca per sempre per colpa di quello che viene imposto loro dallo Stato in cui vivono”.
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