A cavallo tra gli anni ’60’ e ’70, gli hippie occidentali erano soliti partire dall’Europa per avventurarsi nel cosiddetto Hippie Trail, un viaggio che avrebbe dovuto portare questi giovani e giovanissimi nei meandri dell’Asia, alla ricerca di loro stessi. Turchia, Iran, Pakistan, Afghanistan, India, Nepal, Bangladesh e Thailandia, una dopo l’altra, in una serie di tappe on the road, a colpi di trip mentali e droghe, per partecipare alla controcultura in voga all’epoca. La storia ha poi fatto il suo corso, con il mutare delle condizioni politiche in molti dei Paesi attraversati – dalla rivoluzione iraniana alla guerra in Afghanistan – a decretare la fine di quella stagione per certi versi irripetibile. Oggi potrebbe tuttavia presto prendere forma qualcosa di molto simile. Nel giugno 2022, la Thailandia (tu quoque) ha cancellato la marijuana medica da un elenco di stupefacenti vietati per l'uso e la distribuzione, rendendola legale per usi medici, culinari e di altro tipo. Certo, ufficialmente fumare erba per divertimento è ancora illegale, ma le maglie dei divieti, a queste latitudini, sono molto larghe. Anche perché le autorità si aspettano in silenzio che la legalizzazione delle droghe leggere possa rilanciare l’economia, dando nuovo impulso al turismo nazionale.
Per limitare l'abuso della droga, i responsabili politici hanno tracciato una serie di linee rosse, tra cui il divieto di vendita alle donne incinte e ai minori di 20 anni, oppure l’atto di fumare marijuana negli spazi pubblici. La teoria è ottima ma la pratica è ben diversa. In poche parole, per Bangkok garantire che l'erba venga utilizzata per scopi medici invece che ricreativi si sta rivelando complicato, se non impossibile. Già, perché nel far west (o meglio, far east) thailandese la marijuana si trova ovunque: dai gelati ai biscotti, dai cibi ai cosmetici, per non parlare dei migliaia di punti vendita sorti in tutto il Paese, ricchi di prodotti pronti per essere venduti a clienti entusiasti. E che non sempre li useranno per scopi legali. Business is business, e allora tanto vale chiudere uno o entrambi gli occhi. Secondo il Global Cannabis Report pubblicato dalla società di informazioni di mercato Prohibition Partners, nel 2021 le vendite globali di cannabis terapeutica sono state stimate in 34,7 miliardi di dollari. Il mercato potrebbe valere oltre 120 miliardi da qui al 2026, e la Thailandia vuole una cospicua fetta della torta. Nello specifico, il mercato domestico thailandese della marijuana è sulla buona strada per raggiungere i 42,9 miliardi di baht thailandesi (1,27 miliardi di dollari) nel 2025, secondo l'Università della Camera di commercio thailandese, rispetto ai 28,1 miliardi di baht rilevati nel 2022. Il Paese ha un clima favorevole alla coltivazione della cannabis e una consolidata industria del turismo medico, due fattori che combinati potrebbero dare linfa al settore. Il punto è che gli agricoltori thailandesi e le aziende locali saranno sempre più chiamati a soddisfare il boom della cannabis terapeutica, facendo i conti con l’ombra delle grandi aziende europee, statunitensi e canadesi, pronte ad accrescere il loro peso nel mercato globale. Il risultato del nuovo corso, intanto, è che oggi in Thailandia i caffè e le bancarelle vendono, alla luce del sole, tutti i tipi di prodotti a base di cannabis. Per il momento, i thailandesi possono coltivare e consumare tutte le piante di marijuana che vogliono, anche se, come detto, ci sono alcuni limiti su come possono commercializzare e vendere il prodotto. Insomma, la famosa pianta verde sta comparendo ovunque: sui gelati, sui classici piatti tailandesi e nelle ricette di frullati. “Qualcuno vende persino carne di pollo di uccelli che apparentemente sono stati nutriti con cannabis. La nuova legge rende legale praticamente tutto ciò che riguarda la cannabis”, ha scritto la Bbc. Persino il ministro della sanità pubblica thailandese, Anutin Charnvirakul, l’architetto della discussa legge sulla depenalizzazione della marijuana, è stato immortalato ad assaggiare in pubblico curry con erba, fra gli applausi dei contadini speranzosi che la svolta possa portare loro fresche fonti di reddito.
Stando ad alcune stime, il business della marijuana potrebbe generare 10 miliardi di dollari nei prossimi tre anni, ma potrebbe alimentare un giro d’affari molto più lucroso grazie al “turismo della cannabis”, con sempre più persone disposte ad atterrare in Thailandia per sottoporsi a terapie e trattamenti che utilizzano estratti di marijuana. Senza contare le orde di turisti occidentali in cerca di trasgressione e sballo, visto che difficilmente il Paese asiatico riuscirà a far rispettare i limiti posti all’uso ricreativo della sostanza. E pensare che, da queste parti, le persone venivano uccise, condannate a morte, per il traffico di droga. Nei primi anni Duemila era famosa la "guerra alla droga" avanzata dell'allora primo ministro thailandese Thaksin Shinawatra, che causò una pioggia di uccisioni e arresti tra i sospettati (più di 2.200 morti nei primi tre mesi, secondo Human Rights Watch). La campagna di Thaksin era popolarissima. Tanto che i thailandesi, terrorizzati e preoccupati per gli effetti dannosi di narcotici, come le metanfetamine, sulle loro comunità, erano disposti ad ignorare le violazioni dei diritti umani frutto della violenta repressione. Altri Paesi della regione hanno seguito lo stesso approccio punitivo di Bangkok. Citiamo le Filippine del presidente Rodrigo Duterte, che nel 2016 e per tutto il suo mandato ha avviato una guerra violentissima per contrastare il traffico di stupefacenti, mentre Singapore, Indonesia e Malesia, per decenni, hanno imposto la pena di morte per traffico di droga, anche per traffico di cannabis. I turisti che arrivano nel sud-est asiatico sono stati a lungo avvertiti delle dure sanzioni da affrontare nel caso in cui dovessero essere sorpresi con anche piccole quantità di marijuana. In ogni caso, il ministro Charnvirakul ha adottato la legalizzazione di questa sostanza come politica distintiva del suo partito, il Partito Bhumjaithai, durante le elezioni del 2019. La roccaforte del partito, infatti, si trova nel povero e rurale nord-est della Thailandia; la politica ha quindi fatto leva sugli agricoltori che lottano per guadagnarsi da vivere coltivando riso e zucchero e che necessitano di nuove fonti di reddito.
Un’altra ragione riguarda l’efficacia della tolleranza zero nel contrasto al traffico di droga e il sovraffollamento delle carceri. Ricordiamo che la Thailandia ha la più grande popolazione carceraria tra i paesi dell'Asean - circa 285.000 persone - e oltre l'80% dei detenuti è in prigione per accuse legate alla droga. Se le conseguenze politiche ed economiche di una simile depenalizzazione potrebbero premiare Bangkok, il governo thailandese deve fare i conti con due conseguenze non da poco. La prima: nei primi cinque mesi del 2022 prima della depenalizzazione, secondo il Ministero della sanità pubblica nazionale, nel Paese si registrava una media di 72 casi di dipendenza da marijuana al mese; tra giugno e novembre, e cioè dopo la nuova legge, il numero è salito a 282 casi. La seconda: la depenalizzazione della marijuana ha provocato un aumento del suo utilizzo tra i turisti stranieri, che spesso pensano di trovare in Thailandia un liberi tutti, tra locali notturni di sesso facile e droghe a volontà, ma che vanno invece incontro a seri problemi legali. Già, perché in Thailandia è possibile fumare marijuana all’interno delle proprie abitazioni o in locali autorizzati (ci sono più di 5.000 negozi di erba in tutto il Paese, che vendono fiori di cannabis, canne pre-rollate, commestibili con un livello di tetraidrocannabinolo (THC) inferiore allo 0,2%, cibi infusi e olio di CBD); farlo in un luogo pubblico può comportare una multa di 750 dollari e una pena detentiva di tre mesi, mentre per coltivare cannabis, le persone devono registrarsi presso le autorità. Il nuovo corso della Thailandia può generare un liberi tutti anche nel resto del sud-est asiatico? La domanda resta sospesa. In un report delle Nazioni Unite si legge che nel 2021 sono state sequestrate nell'Asia orientale e sudorientale 171,5 tonnellate di metanfetamine, di cui oltre un miliardo sotto forma di pastiglie. Si tratta di sette volte di più rispetto ai sequestri effettuati 10 anni fa, con circa tre quarti dei sequestri nei cinque Paesi del sud-est asiatico attraversati dal fiume Mekong: Cambogia, Laos, Myanmar, Tailandia e Vietnam. La marijuana potrebbe essere un falso problema. Ma potrebbe tuttavia generare controindicazioni inaspettate.