Ed eccolo ancora, Vittorio Sgarbi. Tra le sue puttanate quotidiane le moto non erano ancora rientrate. Ha definito una pubblicità in cui due donne si baciano “immorale”, il Covid una stronzata, si è espresso su tutto lo scibile umano, magari dal suo letto, in camicia sbottonata, in overdose di visibilità quando per candidarsi sindaco di Roma, quando per ringraziare Mattarella, quando per lamentarsi che le donne preferiscono i sex toy agli uomini. Oggi, dopo la morte del pilota svizzero, ha richiesto la chiusura delle gare di moto. Una cosa leggera, di poco conto, da niente. Da domani, gare di moto vietate. Perché, udite udite, sono pericolose. Piccola premessa: chi scrive lo apprezza. L’ho apprezzato, tantissimo, per i suoi Sgarbi quotidiani, l’arte raccontata da lui è puro godimento. L’ho difeso, perfino incitato, quando lo hanno alzato di peso e buttato fuori dal Parlamento. E non gli rimprovero nemmeno che ritenga opportuno fare le sparate come dove quando e verso chi preferisce. Mi piace pure come offende. Il suo modo di incazzarsi lo reputo funzionale alla sua biografia. È Sgarbi. È il personaggio Sgarbi. Nel bene e soprattutto nel male. Fine premessa.
Non mi era mai balenato in mente che Sgarbi potesse entrare nel dibattito motociclistico, soprattutto per la morte di un pilota di Moto3, che Sgarbi come categoria conoscerà a malapena. Ma che gli frega a lui? E che ci frega pure a noi? È morto un ragazzo di 19 anni. Cosa conta dove correva? Ma Sgarbi ha detto una cazzata. E nella quantità di robe che dice ci sta che prima o poi capiti di dire una cazzata più grossa delle altre. Ha detto una cazzata perché lui si chiede “che senso abbia praticare uno sport dove si mette continuamente a rischio la propria vita e quella degli altri”. Una competizione non può diventare una sfida alla vita, continua. E si domanda: a quali principi s’ispira uno sport del genere? Ai principi dello sport, Sgarbi. Molto semplice. Si può morire in tanti modi, ovunque, nei modi più assurdi. Smettiamo di prendere le funivie allora? Che senso ha prendere un mezzo che può metterti nelle possibilità di fare un incidente? Allora smetttiamo di prendere un’auto, di uscire di casa, in un perenne coprifuoco che proprio Sgarbi odia.
Invece morire in moto, per chi ama le moto, ci deve far dire che quei ragazzi saranno sicuramente stati strappati dalla vita troppo presto, che fanno uno sport dove si cade per un niente, che il pericolo non lo affrontano ma lo accarezzano, lo abbracciano e ci fanno sesso quasi, ma che almeno muoiono facendo qualcosa che gli piace e non in un turno qualunque di un giorno qualunque risucchiati da un macchinario andato a male. “Vivi come se dovessi morire subito, pensa come se non dovessi morire mai”. Chi l’ha detto? In tanti l’hanno detta sta frase. Il motociclismo è anche questo. Il motociclismo, caro Sgarbi, è opera epica, è arte, anche se tu non lo prendi in considerazione. Non c’è bisogno di scomodare il dottor Costa per dire che questi ragazzi sono eroi, superuomini anche se non lo vogliono ammettere, figli di un Dio minore.
Quello che ha detto Sgarbi è un’offesa. A Simoncelli. A Gresini. Tanto per citarne due che sono stati ricordati in questi giorni. Sgarbi non sa i passi avanti che sono stati fatti sulla sicurezza. Mai abbastanza, certo. Oramai in moto si muore solo perché ti salgono addosso altre moto, altrimenti è difficilissimo. E non puoi paragonare i piloti ai cavalli del Palio. I cavalli non scelgono di prendere in considerazione la possibilità di morire per una gara. Gli uomini sì. “Siamo piloti” ha detto Marquez, col cuore pieno di dolore. “Non lo so nemmeno io come facciamo, dopo una cosa così, a mettere il cervello in bianco e ripartire” ha commentato Aleix Espargaro di Aprilia. Il cervello in bianco. “Ogni volta che sono passato da quella curva ho pensato a Jason. Per 24 volte” ha dichiarato Quartararo, leader del Mondiale. Ed è brutto da dire ma vero, vero, verissimo: morire facendo qualcosa che ami è infinitamente più dignitoso e accettabile e importante che morire un po’ ogni giorno. Fa male perché i genitori e i piloti e tutti noi stiamo male se pensiamo a Jason Dupasquier. Ma è vero, è così. Riposa in pace Jason. Riposi un po’ di più anche Sgarbi, secondo me ne ha bisogno.