Fare il giornalista non ti dà tregua o tempi morti, perché le notizie sono delle dermatiti che si moltiplicano e prudono in continuazione, la velocità è fondamentale, la profondità altrettanto. Grattare via a ritmi frenetici, con la testa dentro alla notizia: spesso la vai a cercare, a volte viene a prenderti. Se è vero che questo mestiere è sempre meglio che lavorare, però, lo è proprio per cose come questa, un viaggio a Valencia. Partire in quattro, con leggerezza, due moto e un Volkswagen California e tremila chilometri di asfalto tra andata e ritorno. Se tutto questo non bastasse c’è l’ultima corsa di Valentino Rossi. Scrivere di lui diventa inevitabilmente banale, scontato: ne ha parlato chi sa scrivere meglio, chi ci ha pensato più a lungo e anche chi l’ha conosciuto nell’intimità.
Mentre prepariamo i bagagli nel nostro hotel ci rendiamo conto che il viaggio non è stato andare a vedere Valentino, è stato capirne il ritiro. Capire che andare e godersela, osare anche, è tutto quello che conta. Poi le cose cambiano, finiscono, ma qualcosa alla fine te lo lasciano sempre. A partire dalla compagnia di colleghi che poi sono soprattutto amici, persone di cui (forse) puoi anche fidarti. Abbiamo passato così questi giorni di novembre, tra paesaggi fenomenali e ore eterne sotto la pioggia a centotrenta all’ora. Una zingarata lontana dalla redazione, dai ritmi quotidiani e dalle famiglie. Ogni tanto un messaggio, un vocale: dormiamo lì, siamo arrivati là, ci vediamo presto. Con il California si viaggia comodi, ci si cucina e soprattutto ci si lavora, la magia di quello che il mondo chiama il furgoncino Volkswagen però, è tutto nella chimica che si crea in chi lo abita e lo vive. È un po' come sedersi in spiaggia attorno al fuoco, andare a un concerto assime. È colla.
Un viaggio che tutti e quattro ci porteremo addosso a vita. Ognuno la sua di vita, ognuno con le sue idee e i suoi irrisolti, ma gira e rigira ci siamo tutti chiesti una cosa: che stai provando, ad essere qui? Che ti lascia nel cuore Valentino che si ritira? Cosa scrivere, come raccontare? Di roba ce n’è sempre troppa. Ci sono i rivali di sempre che, per un motivo o per un altro, sono venuti ad assistere all’ultima gara. Ci sono i piloti che hanno indossato i suoi caschi, Bagnaia che ha vinto con quello bianco con la scritta “Che Spettacolo!”. Poi c’è la gioia, sempre. Curiosità prima e perplessità poi hanno smosso le tribune: Dorna poteva fare di più, uno show più americano. Ma Valentino è quella roba lì, un “pilota da corsa con il numero 46”, come scrive lui. Il pilota fa le gare, corre, vuole arrivare prima degli altri e non scambierebbe mai la sua vita con quella di un attore che si lascia andare all’emozione davanti alle telecamere. Poco circo, molto gas, poche lacrime, molta festa. Ecco cosa è stato il ritiro di Valentino, perfettamente coerente con la sua persona.
A fine della gara è stato il silenzio collettivo e poi un po’ di magone, almeno per noi. Eravamo preoccupati perché adesso è veramente finita. Da appassionati ma anche un po’ da giornalisti, senza Valentino ad animare il circo è chiaro le corse non saranno la stessa cosa. “Abbiamo campato a caviale e champagne per vent’anni” ha detto Carlo Pernat, che da buon genovese parla in senso letterale, economico insomma. Il giro di schieramento a Valencia Valentino l’ha fatto da solo, pianissimo e uscendo per ultimo, così come il giro d’onore prima di rientrare ai box. Un giro con calma dopo una vita di corsa. Il suo messaggio è stato chiarissimo: mi sbronzo, abbraccio un po’ tutti, festeggio, rido. È solo la fine di un campionato e sono felice di averci corso, di aver corso coi migliori al mondo. Ha ragione lui, nel dubbio conviene godere. Poi con calma si tornerà a casa, la strada più breve è sempre al ritorno. Quando la MotoGP tornerà in pista lo farà senza il numero 46 per la prima volta dopo un quarto di secolo. Sarà strano sì, solo perché è stato bello però.
Questo è stato #MOWGoesToValencia: capire che l’esperienza è più della presenza, il momento è più della fotografia. Valentino Rossi si è ritirato davvero, ma il viaggio che ha fatto rimarrà per sempre. Noi, tutti noi, potremo dire io c’ero. Non solo in pista quel giorno, ma davanti alla tv la domenica delle gare, a vederlo vincere fino a trasformare il podio in una formalità e a parlarne coi genitori, i figli, gli amici. A unirci, a imitarlo, a ridere di gioia. E poi, certo, Valentino Rossi non smetterà mai.