Quante volte non siamo stati attenti? A noi, alle attenzioni che ci venivano date, a non macchiare la tovaglia, a non sporcare le relazioni, a non dire bugie agli altri e, soprattutto a noi stessi?
Quante volte abbiamo fatto promesse mai mantenute, agli altri come a noi stessi, come raccontava molto introspettivamente il compianto Scott Weiland nella fantastica “Interstate Love Song” composta ai tempi della sua militanza negli STP, Stone Temple Pilots? Grande Scott, anima tormentata ma pura.
E quanto è il peso della nostra anima, sono davvero 21 grammi come narrato nell’omonimo (e stupendo) film in cui si intrecciano le vite di Sean Penn, Naomi Watts e Benicio Del Toro? E quanto vale?
Non è necessario essere nello stesso posto fisicamente, se l’anima è presente. A volte si può essere accanto senza essere altrove, non serve cercare una presenza che si avverte già dentro di noi. Anche in amore.
Serve solo lavorarci sopra, siamo fantastici nella nostra possibilità di migliorarci, con piccoli passi verso un obbiettivo di completamento. Abbiamo una nostra piccola religione, nel credere in noi stessi.
Parafrasando, anche il biliardo è come una religione. Sai dove devi tirare ma devi crederci, e concentrarti sull’obbiettivo, allenarti, studiare, soffrire, sbagliare. Un ciclo continuo, sempre in divenire.
Quando ero ragazzo mio padre mi chiamava per vedere tal Mariano Scartezzini, i suoi 3000 Siepi e la capacità di andare a cannone… o tutto o niente. Un atleta pazzesco, schivo, anche lombrosianamente incuteva timore, con la sua barba che oggi definiremmo hipster, lui che però di hipster non aveva nulla.
Era forse più vicino ad un Rambaldo Melandri di Amici Miei, se vogliamo trovargli un simpatico sosia.
Aveva una grandissima applicazione, e si percepiva, un focus sull’obbiettivo, una concentrazione unica in una gara che nell’atletica ha un suo fascino particolare ed una sua lettura, a mio avviso, molto singolare.
Non solo devi fare 3 cazzo di chilometri, ma ci sono 4 stramaledetti ostacoli lungo l’ovale e, soprattutto, lei, la cosiddetta riviera, un muro con l’acqua dopo, un muro spezzagambe che rappresenta il classico ostacolo duro della vita, difficile da separare, bastardo, e con una pozza d’acqua subito dopo, che ti bagna le scarpe, i polpacci, i muscoli e l’anima. Satana non avrebbe potuto concepire una specialità più allucinante di questa. E li vedevi scivolare, cadere, nella riviera, spaccarsi mezzi, ma erano indomiti, sempre pronti a ripartire, benché devastati sia nel fisico che, probabilmente nell’anima. Perché anche all’ultimo giro, dopo 34 ostacoli, di cui 7 riviere, c’era l’ultimo prima del traguardo, il trentacinquesimo, e quanti ne ho visti inciampare, cadere, perdere al fotofinish… ma sempre con quella luce negli occhi, la “fame” sportiva.
Come Scartezzini, mai domo, martoriato dagli infortuni e dalle circostanze, vedasi le olimpiadi di Mosca boicottate alle quali non partecipò, mancando una più che certa medaglia. Ma non si arrese comunque.
Non si perse mai d’animo, calma e gesso, come si dice nel biliardo, pronto per l’avventura successiva, l’insegnamento. Io lo vorrei incontrare, Scartezzini, ed abbracciare, sperando di non fare la fine di quel tale che lo abbracciò dopo la vittoriosa gara con relativo primato italiano di Roma nel 1980, che venne allontanato in malo modo. “Sta su de doss”, direbbero a Milano. E, a mio avviso, anche a ragione. Ritroviamo le distanze, tanto sentite in questi periodi, se queste rimandano ad una sana educazione.
Riconosciamo la deferenza da dare agli altri, non diamo sempre per scontata l’empatia, entriamo in contatto con chi ci sta davanti, facciamoci spiegare chi sono, presentiamoci partendo dall’anima, rispettiamo il carattere degli ombrosi, spesso hanno più sincerità loro di tanti falsi sorrisi di plastica.
Papà amava questi soggetti, puri, schivi e sempre “a cannone”. Ed io pure, anche se spesso si avvitano su se stessi e non riescono ad uscire dalle loro paure. Scartezzini no, ero bambino, era un esempio da seguire.
Grazie papà Marzio. Grazie Mariano. Ci si plasma nella sofferenza, ognuno nella propria forma. Unica.