È passato l’emendamento in Senato di Pd e Iv che impone lo stop a messaggi violenti e offensivi. Avrebbe dovuto trovare tutti d’accordo e invece le associazioni pro-vita sono insorte: “È un ddl Zan mascherato” hanno protestato, supportate dalla destra: “Addio libertà d’espressione”. A mandare su tutte le furie gli oppositori di questo emendamento, l’inserimento della dicitura “identità di genere”. E così si è scatenato il pandemonio nell’Aula del Senato, mentre era in approvazione il decreto Infrastrutture e Trasporti nonostante Lega, Fratelli d’Italia e le associazioni per la vita da giorni stiano provando ad attirare l’attenzione su un punto del provvedimento. Parliamo del comma 4 bis dell’articolo 1 introdotto con un emendamento approvato alla Camera, che stabilisce il divieto con affissione sulle strade ma anche su mezzi pubblici o su mezzi privati di pubblicità che abbiano contenuti con “messaggi sessisti o violenti o stereotipi di genere offensivi o messaggi lesivi del rispetto delle libertà individuali, dei diritti civili e politici, del credo religioso o dell’appartenenza etnica oppure discriminatori con riferimento all’orientamento sessuale, all’identità di genere o alle abilità fisiche e psichiche”.
Tre parole, che però associazioni cattoliche e partiti di centrodestra considerano una grave minaccia. L’emendamento è stato firmato dalle deputate Raffaella Paita di Italia Viva e Alessia Rotta del Pd, approvato dalla Camera senza nessun sussulto e giunto in Senato con un voto di fiducia. Tra l’altro, in quest’ultimo passaggio è avvenuta una circostanza molto strana, visto che una settimana fa Italia Viva e Pd erano divisi sul ddl Zan (che contiene l’identità di genere), infatti l’opposizione ha sottolineato questa incongruenza: “Come è possibile che in un decreto riguardante gli investimenti e la sicurezza delle infrastrutture, trasporti e circolazione stradale, sia stata inserita una norma ideologica, volta a limitare la libertà di espressione, con il pretesto che l’esercizio di questa libertà non può avvenire sulle strade e sui veicoli? Una cosa assolutamente inaccettabile, introdotta di soppiatto” ha dichiarato Lucio Malan, senatore di Fratelli d’Italia, fra i più strenui oppositori all’emendamento.
Anche fuori dai palazzi di governo, però, c’è chi mal digerisce quelle tre paroline magiche: “Sarà ancora possibile affermare in una pubblicità che i bambini sono maschi è le bambine sono femmine? Che un bambino nasce da una mamma e un papà?” si è chiesto Antonio Brandi, presidente di Pro Vita & Famiglia, visto che “l’identità di genere non è entrata con il cavallo di Troia del ddl Zan e ora surrettiziamente il Governo ci riprova inserendola in questa norma sotto la foglia di fico, come al solito, delle discriminazioni” ha aggiunto Jacopo Coghe, vicepresidente della Onlus. A difendere l’emendamento, ci ha allora pensato una delle firmatarie: “L’emendamento è il frutto di un lungo lavoro trasversale che permette di dare un valore sociale a questi temi. In quel caso l’identità di genere era declinata in varie forme al contrario di quanto accade nel nostro emendamento. Aver proposto e fatto approvare la modifica però è la dimostrazione che la forza politica che esprimo cerca di dare una mano sul tema dei diritti civili e che le battaglie in solitudine frenano il progresso. Bisogna lavorare con una logica di tessitura per aiutare chi subisce discriminazioni” ha chiarito Raffella Paita.