Alla fine, non poteva che capitare anche a Marco Montemagno di doversi scusare sui social. L’esperto di comunicazione, uno tra i più seguiti professionisti nel settore del marketing italiani, dopo un video in cui consigliava alle giovanissime influencer di non spogliarsi sui loro profili è stato costretto al dietrofront: “Amiche mie credete allo zio vecchio. Questo non è un modo di esprimere la vostra libertà, è purtroppo un modo di dimostrare una grande inferiorità perché una non è in grado di fare nient’altro che far girare le ‘chiappette’. Anche perché immagina quando poi, cazzo, crepi e sulla tua lapide c’è scritto: ‘Eh come faceva vedere le ‘pere’ su TikTok era da numero uno”. Dopo queste dichiarazioni e l’indignazione di migliaia di utenti (in particolare donne) che oltre alle accuse di sessismo hanno smesso di seguirlo, Monty è stato costretto a rimuovere il video e a pubblicarne un altro di pubblica ammenda: “Un video vergognoso e offensivo. Di un uomo 50enne bianco che fa mansplaining in modo paternalistico a delle ragazze su come devono usare il loro corpo. Inizierò a leggere, documentarmi, aprire la mia testa per capire meglio il mondo femminile. Organizzerò interviste con donne per parlare del tema. Sono nato negli anni 70 sono intriso di cultura italiana maschilista…”, ha dichiarato sconsolato.
Per comprendere meglio la questione, ma soprattutto i rischi che chiunque può correre sui social esprimendo una opinione – in particolare chi lavora nella vendita di beni o servizi attraverso queste piattaforme -, abbiamo chiesto un parere a Paolo Borzacchiello. Scrittore, consulente e imprenditore, fra i massimi esperti di intelligenza linguistica applicata al business, da anni si occupa di studio e divulgazione di tutto ciò che riguarda le interazioni umane e in particolar modo il linguaggio. Secondo lui l’accusa di mansplaining è infondata, anzi, proprio perché “il cervello bombardato di immagini a ritmo serrato ogni giorno è facilmente influenzabile”, per Borzacchiello il collega non ha detto niente di sbagliato: “Da un lato, esiste il fenomeno di ‘priming’, per cui le prime immagini che una persona vede influenzano la percezione di tutto quello che poi pensa circa una determinata esperienza. D’altro lato, l’errore cognitivo chiamato ‘halo effect’, per cui l’immagine che una persona mostra di sé influenza in modo positivo o negativo quello che la persona dice”. E se, probabilmente, Montemagno avrebbe potuto esprimere meglio questi concetti, ormai la rincorsa al “politicamente corretto" espone tutti noi a un grande rischio: “La paralisi comunicativa anche perché, tecnicamente e in linea di principio, chiunque può offendersi per qualsiasi cosa”.
Borzacchiello, intanto come valuta il primo video di Marco Montemagno che ha scatenato le polemiche e portato alle sue scuse? Le sembra che compia mansplaining o è un’accusa pretestuosa?
Montemagno è un grande professionista, che da sempre adotta un tono scanzonato per parlare di cose anche serie. Ho riletto molte volte le frasi riportate dai quotidiani online, perché non ho visto il video e quindi mi baso su quello che hanno riportato. Il video è sicuramente molto forte, tuttavia voglio fare alcune precisazioni doverose, visto che le parole sono importanti e vanno trattate con le pinze.
Entri pure nel merito.
Prima di tutto dall’accusa di mansplaining, ovvero “atteggiamento paternalistico di alcuni uomini (ma non solo) che tendono a commentare o a spiegare a una donna, in un modo condiscendente, troppo semplificato o troppo sicuro di sé “qualcosa di ovvio, oppure qualcosa di cui lei è esperta, perché pensano di saperne sempre e comunque più di lei oppure che lei non capisca davvero”. Montemagno dà consigli sempre e a tutti: a ragazzi, ragazze, uomini, donne, giovani e vecchi su come si usano i social. Lo fa da sempre, e da sempre lo fa appellandosi “zio Monty”. Quindi, per quel che mi riguarda, si è comportato come fa di solito, è il suo stile. La frase “dai retta allo zio Monty” è tipica del suo modo di fare. Può piacere o non piacere, possiamo opinare su altri temi evocati dal suo video, ma decisamente è un suo tratto distintivo: non mi sento di definire quello che ha fatto mansplaning. E se lo è, allora lo è sempre e lo è sempre stato. Il che mi porterebbe a chiedermi come mai nessuno mai prima abbia reagito in questo modo prima d’ora.
Dopo quel video, anche perché migliaia di utenti lo hanno attaccato e hanno smesso di seguirlo sui social, Montemagno ha deciso di pubblicare un altro video di scuse. È stata una mossa azzeccata?
Non so se pubblicare il video di scuse sia stata una mossa azzeccata, perché per rispondere dovrei essere a conoscenza delle sue strategie di marketing. Posso dire, in base a quello che ho letto, che le scuse che ha fatto tengono conto di pesanti accuse non tutte perfettamente centrate. Mi spiego: è perfettamente opinabile che mostrare le chiappe sia necessariamente un segno di inferiorità. Concordo con chi ha detto che è semplicemente un modo di esprimere la propria individualità e che nessuno dovrebbe permettersi di giudicare. Mostrare le chiappe è una scelta che non implica in alcun modo inferiorità. A costo di risultare, invece, politicamente scorretto, penso invece che la frase relativa al tipo di ricordo che video del genere possono creare in chi li guarda abbia un senso: il cervello, soprattutto quando è bombardato di immagini a ritmo serrato ogni giorno, è facilmente influenzabile.
Quali sono gli effetti?
Da un lato, esiste un fenomeno chiamato priming, per cui le prime immagini che una persona vede influenzano la percezione di tutto quello che poi la persona pensa circa una determinata esperienza. D’altro lato, esiste un altro errore cognitivo chiamato “halo effect”, fenomeno per cui l’immagine che una persona mostra di sé influenza in modo positivo o negativo quello che la persona dice. Il commento di Montemagno era un consiglio professionale, per quanto espresso in modo sicuramente molto tranchant e, anche se a qualcuno può dispiacere quello che ha detto, era un consiglio che esprime una verità invalicabile: siamo tutti i giorni giudicati dalle apparenze e veniamo valutati in base a quello che mostriamo di noi. Può non piacere, ripeto, ma è così. Il pregiudizio è certamente un fatto culturale, ma è anche un fatto biologico, retaggio della nostra evoluzione, da cui non si scappa. Dire a una donna che verrà ricordata per quello che ha mostrato di sé, tecnicamente, è una affermazione corretta. Possono definirla sessista, ma è tecnicamente corretta. Vale anche per gli uomini, di qualsiasi colore, età, religione, preferenza sessuale: veniamo ricordati per quello che mostriamo e diciamo.
In quest'epoca, quanto conta mantenere un linguaggio “politicamente corretto” per personaggi pubblici e aziende?
Fondamentale, purtroppo. Sottolineo “purtroppo”, perché la questione del politicamente corretto è molto ampia e si presta a manipolazioni e fraintendimenti, se non faremo presto qualcosa per porre, almeno, alcune linee guida. Si rischia la paralisi comunicativa anche perché, tecnicamente e in linea di principio, chiunque può offendersi per qualsiasi cosa. Io lavoro molto a favore del linguaggio inclusivo e in genere a favore di una cultura che, grazie all’uso sapiente delle parole, favorisca la progressiva diminuzione di stereotipi e pregiudizi legati a sesso, età, religione e così via. Ma dobbiamo stare attenti a procedere con calma e intelligenza. Aziende e personaggi pubblici sono, di fatto, in balia di chiunque decida di attivare una shit storm su qualcuno che è inviso o su qualcuno che dice qualcosa di non condiviso: è molto facile trovarsi bannati, o cancellati, a causa di onde di odio scatenate dalla Rete.
A questo punto, se basta che qualcuno si indigni per una opinione, quali sono i rischi nella comunicazione?
Il silenzio. Se Orwell scrivesse un sequel a 1984, probabilmente descriverebbe un mondo di persone che non parlano, per paura di offendere qualcuno. La stessa creatività rischia di spegnersi, perché ormai ci sono intere categorie di argomenti di cui non si può parlare, o sui quali le persone hanno paura di esprimere una opinione per il rischio ban. Come dicevo, dovremmo fare ogni tanto, tutti, un bel respiro e ragionare con calma su come procedere, con voglia di costruire e un po’ di conoscenza di come funziona il cervello. Non mi piace un mondo in cui chiunque può farsi giustizia da solo con tempeste di… merda … che può scatenare senza il minimo controllo. Anche perché il passaggio da un mondo giusto a un mondo giustizialista è davvero dietro l’angolo.
Qual è la ricetta di Paolo Borzacchiello per non “incartasi” come è accaduto a Marco Montemagno?
La ricetta è semplice e complessa al tempo stesso: semplice, perché consiste nell’avere una comprensione così alta del linguaggio da riuscire a esprimere concetti anche complessi e spinosi offendendo il minor numero possibile di persone. Complessa, perché ora come ora è impossibile non offendere nessuno. Dobbiamo lavorare tutti insieme sul come non offendere gli altri quando parliamo… ma anche sul come non offendersi per qualsiasi cosa venga detta.